Può la vittima diventare colpevole?

Ogni giorno, purtroppo, si continua a udire la parola violenza. Essa non è solo fisica ma può essere o divenire mortificazione dell’animo. Purtroppo è molto più semplice comprendere e provare empatia per la vittima di una violenza fisica ma non è lo stesso quando la violenza è psicologica o semplicemente quando la vittima è talmente assuefatta al suo carnefice da non riuscire più a comprendere che ciò che subisce è solamente un male non meritato.

Nel mese di gennaio abbiamo assistito all’ennesimo caso di cronaca in cui una donna Ilenia Grazia Bonavera, ventiduenne di Messina, è stata cosparsa di benzina e bruciata viva, si presume dall’ex fidanzato.

Questa vicenda è stata differente, tuttavia, dalle altre, giacché Ilenia non rispecchia quello che la società identifica come “vittima”; infatti si rifiuta di accusare l’ex fidanzato nonostante le prove sostengono il contrario e si è rivelata una persona aggressiva non solo verbalmente ma anche fisicamente. Ha aggredito un infermiere costringendolo a recarsi in pronto soccorso per la medicazione e durante il programma televisivo “Pomeriggio 5” ha attaccato la madre, colpevole ai suoi occhi di accusare ingiustamente l’ex fidanzato. Tralasciando la vicenda giudiziaria, ciò che ha suscitato in me totale sdegno è stata la colpevolizzazione della vittima, indegna secondo molti di recarsi a parlare della sua vicenda in televisione. Sembrerebbe un non – senso, eppure molti hanno considerato il suo atteggiamento e le sue parole non come prova di fragilità e bisogno di aiuto in seguito alla vicenda subita, bensì come comportamenti non corretti da parte di una vittima di violenza.

Tra i molti che sul web hanno espresso la propria opinione, anche Selvaggia Lucarelli si è rivolta alla giovane scrivendo un post su Facebook: “Cara Ylenia, difendendo il tuo fidanzato stai buttando nel cesso la grande possibilità che il caso ti ha concesso e che ha negato a tante ragazze vittime come te della violenza di animali che non voglio chiamare uomini: quella di continuare a vivere. E non solo…”.

La Lucarelli si rivolge alla giovane quasi colpevolizzandola di non essere un esempio ottimale. Ma è possibile che una vittima debba  corrispondere all’immagine che la società vuole di essa? Non è suo diritto essere libera di esprimere il dolore senza farsi, necessariamente, paladina di una categoria? Non è suo diritto riprendere in mano la vita e non stare a subire i giudizi delle persone incuranti che dietro ogni gesto e ogni parola c’è una ferita da ricucire e un sorriso da riacquistare?

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