Analfabeti funzionali, il dramma italiano: chi sono e perché il nostro Paese è tra i peggiori

Hanno più di 55 anni, sono poco istruiti e svolgono professioni non qualificate oppure sono giovanissimi che stanno a casa dei genitori senza lavorare né studiare. Tutte le percentuali per capire la dimensione di un fenomeno in crescita e spesso sottovalutato.

È “low skilled” più di un italiano su quattro e l’Italia ricopre una tra le posizioni peggiori nell’ indagine Piaac (indagine internazionale sulle competenze degli adulti) essendo penultima in Europa per livello di competenze (preceduta solo dalla Turchia) e quartultima su scala mondiale rispetto ai 33 paesi analizzati dall’Ocse (con performance migliori solo di Cile e Indonesia).

Non si parla in questo caso di persone incapaci di leggere o fare di conto, ma piuttosto prive «delle competenze richieste in varie situazioni della vita quotidiana», sia essa «lavorativa, relativa al tempo libero», oppure «legata ai linguaggi delle nuove tecnologie», precisa Simona Mineo, ricercatore Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (ex Isfol).
«Chi è analfabeta funzionale non è incapace di leggere – continua Mineo – ma, pur essendo in grado di capire testi molto semplici, non riesce a elaborarne e utilizzarne le informazioni». Un monito che riguarda gli italiani tutti dal momento che senza pratica, le capacità legate all’alfabetizzazione possono essere perse anno dopo anno. Un po’ come a dire che analfabeti non si nasce ma si diventa.

Secondo l’Unesco, nel 2015 gli analfabeti in Italia erano pari all’1 per cento, percentuale che si riduce allo 0,1 se si considera solo la popolazione dai 15 ai 24 anni .
Tuttavia, i dati dell’analisi Piaac mostrano come, nonostante l’Italia abbia un tasso di alfabetizzazione che sfiora il 100 per cento, la percentuale di analfabeti funzionali è la più alta dell’Unione europea.

Volendo fare un identikit dei nuovi analfabeti italiani il 10 percento di essi è disoccupato, i più fanno lavori manuali e routinari, sono soprattutto uomini e 1/3 di loro è over 55.
Tra i soggetti più colpiti le fasce culturalmente deboli (come i pensionati e le persone che svolgono un lavoro domestico non retribuito). Per quanto riguarda, invece, la distribuzione geografica, il sud e il nord ovest del Paese sono le regioni con le percentuali più alte (da sole ospitano più del 60 percento dei low skilled italiani).
Inoltre, la percentuale di low skilled cresce al crescere dell’età, passando dal 20% della fascia 16-24 anni all’oltre 41 percento degli over 55.
«Questo perché chi è nato prima del 1953 non ha usufruito della scolarità obbligatoria – continua la ricercatrice Mineo – ma anche perché nelle fasce più adulte si soffre maggiormente dell’analfabetismo di ritorno, ovvero la perdita di quelle competenze minime acquisite».

Balsamo contro l’ analfabetismo funzionale potrebbe essere tornare tra i banchi di scuola da adulti o partecipare attivamente al mondo del lavoro. Eppure, non tutte le occupazioni possono “salvarci” dall’essere potenziali analfabeti funzionali, solo quelle definite skilled, ovvero quelle intellettuali, scientifiche e tecniche.
A incidere sul fenomeno è anche l’ambiente in cui si è cresciuti.
Infatti il 73 % dei low skilled è cresciuto in famiglie in cui erano presenti meno di 25 libri. Mancanza che può portare i giovani a cadere in un circolo vizioso.

Le nostre competenze, quindi, non sono statiche. La famiglia, l’età, l’istruzione e il lavoro possono incidere notevolmente.
D’altronde, come ricordava Tullio De Mauro, «la regressione rispetto ai livelli acquisiti nel percorso scolastico colpisce dappertutto gli adulti. Occorre, quindi, riflettere su stili di vita e assetti sociali che producono questi dislivelli di competenze e queste masse di deprivati tra gli adulti».

Carmen Camarca

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