Il caso Deiulemar: una (triste) storia di risparmio tradito.

Il nome della compagnia di navigazione Deiulemar S.p.a. ai più probabilmente non evocherà nulla. Eppure i cittadini di Torre del Greco hanno ancora ben vivido il ricordo del disastro finanziario e delle conseguenti vicende giudiziarie, scaturiti dal fallimento della società di navigazione.

Ma andiamo con ordine. Torre del Greco è una cittadina a pochi chilometri da Napoli, di spiccata tradizione marinara. Il cittadino Torrese è generalmente un marittimo, padre di famiglia, gran lavoratore e risparmiatore. Le donne attendono pazientemente ed in maniera operosa il ritorno dei mariti, crescendo tra mille difficoltà da sole ma con tempra campana i figli, mettendo da parte il più possibile “per un domani”. Per questo Torre del Greco, dato anche il contesto socio – culturale circostante, può, o meglio, poteva essere considerato un paese campano ricco e florido.

La storia della Deiulemar inizia nel 1969, quando venne fondata dalle famiglie Della Gatta, Iuliano e Lembo (il nome della società è l’acronimo delle iniziali dei loro cognomi). La Compagnia diviene in poco tempo il fiore all’occhiello della città, dà lavoro ad un popolo di esperti naviganti, oltre naturalmente a generale un indotto notevole per tutta Torre. I fondatori diventano i veri padroni della città, bisogna passare da loro per qualsiasi favore, prestito, operazione. Per capirne, l’importanza vengono loro dedicate strade. Diventano, in poche parole, quello che gli Agnelli sono per Torino o i Moratti per Milano.

Il disastro annunciato si consuma, però, lentamente, sotto gli occhi di una Banca compiacente, anzi meglio complice: la Banca di Credito Popolare di Torre del Greco.
Gli armatori, infatti, pensano bene di sfruttare questo diffuso consenso cittadino per raccogliere risparmio tra i loro dipendenti e più in generale tra i loro “sudditi”, che, fiduciosi nei loro benefattori, ben volentieri si prestano. La Deiulemar inizia così ad emettere non si sa bene come obbligazioni che vengono fatte sottoscrivere ai cittadini/risparmiatori, rassicurati anche dalla presenza della citata Banca che diviene garanzia del loro credito verso la Società. Le obbligazioni paiono convenienti, promettendo degli interessi che rispetto a tutti gli altri investimenti proposti dal mercato appaiono quasi utopici. Un tasso di rendimento del 7% su ogni euro investito è un’enormità in un mercato finanziario che ormai è quasi del tutto a tasso zero. Giusto per comprenderci, i BOT, i buoni del tesoro, oggi hanno un tasso di rendimento sotto lo zero.
Ma come la più semplice ed affidabile norma finanziaria insegna, alto rendimento alto rischio. Il nodo di fondo resta la totale incomprensione dei risparmiatori verso il rischio a cui stavano andando incontro. La Compagnia sembrava solida, con nuove navi inaugurate e una flotta invidiabile. E solida lo era per davvero. Solo che la prima zona d’ombra è che qualsiasi società, anche la più solida, che voglia raccogliere risparmio se si rivolge a un pubblico di investitori non/qualificati, deve passare il vaglio, o meglio, dovrebbe passare il vaglio della Banca d’Italia e della Consob. Queste ultime, sempre condizionale, dovrebbero vigilare sulla bontà dei prodotti immessi sul mercato finanziario. Ebbene qui questo controllo è del tutto mancato, mentre gli eredi dei Della Gatta, Iuliano, e Lembo, man mano distraevano il patrimonio della Compagnia (che naturalmente nel frattempo cresceva a dismisura con tutte queste immissioni di liquidità), spostandoli in trust, fiduciarie e società fittizie creati ad hoc. Quando, poi, è stato il tempo per gli obbligazionisti di riscuotere, ciò che hanno trovato è stata una scatola vuota, da cui non era più possibile attingere nulla e, ormai, sull’orlo del fallimento.

La tragedia che si è consumata a Torre del Greco, forse solo un cittadino la può comprendere. I risparmi faticosamente sudati e guadagnati “sull’acqua salata” da un giorno all’altro spariti, bruciati, scomparsi. Cittadini, prima che risparmiatori, traditi nella fiducia che con tanta dedizione avevano riposto in chi consideravano benefattori e fautori di benessere. Al tempo in cui si scrive, le vicende giudiziarie sono faticosamente ancora pendenti, con i giudizi penali a carico degli esponenti di questo clan di criminali, che si intrecciano al difficile fallimento della compagnia e al contestuale recupero delle somme. E naturalmente i soldi devono essere in qualche modo ritrovati in conti correnti off shore alle Isole del Canale, con aggravio di fatica e tempo per gli operatori della giustizia. I risparmiatori traditi, inutile dirlo, non rivedranno tutti i loro soldi.

La giustizia farà, si spera, il suo corso, ma tante sono le domande che rimarranno prive di una risposta, su come sia stato possibile gettare un’intera città in ginocchio, in una maniera così evidente. Ad esempio, come è stato possibile per i Della Gatta Iuliano e Lembo spostare i soldi (così tanti soldi) in conti all’estero? Degli istituti di credito, fiduciarie o chi per essi lo hanno reso in qualche possibile. E le normative antiriciclaggio? Un qualsiasi cittadino “medio” se sposta cinquecento euro in più dal conto iniziano a fare domande e a bloccare tutto. Perché, di nuovo, i controlli/non controlli delle Autorità di Vigilanza sono stati del tutto fallaci, quando non del tutto assenti? Forse, in questi cupi tempi di grande e giustificata sfiducia negli istituti di credito, ciò che tocca fare e premunirsi con le armi della conoscenza e del buon senso. Tassi di rendimento troppo elevati nascondono di certo dei rischi, a volte nemmeno così prevedibili o immediatamente individuabili.

Al vaglio della nuova Legge di Bilancio, c’era un’ipotesi di stanziamento di fondi destinati all’educazione finanziaria, guarda caso scomparso immediatamente dai radar. I migliori protettori dei nostri risparmi siamo, purtroppo o per fortuna, noi stessi, con buona pace di Bankitalia e Consob.

Annarita Lardaro

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