Indipendenza della Catalogna, il “si” del Parlament. Vince il “si” per l’autonomia in Veneto e Lombardia.

Il Parlament catalano ha votato l’indipendenza, dopo settimane di manifestazioni di piazza a Barcellona e in altre città catalane, il pugno duro di Madrid e l’indecisione di Puidgemont.

Nei giorni immediatamente successivi il Consiglio dei Ministri straordinario, convocato sabato scorso da Rajoy – per ufficializzare la richiesta di autorizzazione al Senato di applicazione dell’art. 155 della Costituzione, con cui Madrid commissaria l’autonomia della Catalogna – il Govern è stato a lungo diviso tra indipendenza e nuove elezioni. Dinanzi all’ostinazione del Premier spagnolo, la coalizione di maggioranza, capeggiata da Puidgemont, ha deciso dunque di mettere ai voti la dichiarazione di indipendenza. Il “si” del Parlament ha così sancito la rottura con Madrid, mentre migliaia di persone si sono riversate nelle strade di Barcellona per manifestare il proprio consenso. Per la prima volta, dalla costituzione dell’Unione europea, avviene una secessione all’interno di uno Stato membro. E, di certo, la dichiarazione di indipendenza della Catalogna potrebbe, in breve tempo, assumere le pericolose vesti di un “precedente” storico, con il rischio di diventare una vera e propria mina “esplosiva”, la cui onda d’urto è un’occasione ghiotta per il rilancio degli odierni nazionalismi d’Europa.

La dichiarazione di indipendenza della Catalogna inaugura il secondo tempo di una partita, della quale, almeno per ora, si conoscono in parte gli esiti. Nonostante la tenacia di Puidgemont, la proclamazione di indipendenza non poteva dirsi scontata. L’ostinazione e la linea dura di Madrid hanno però dissipato gli ultimi dubbi del Govern e dello stesso leader catalano, che con probabilità verrà tratto in arresto. La durezza di Madrid nei confronti della Catalogna mette in guardia le altre regioni autonome della Spagna. Il commissariamento dell’autonomia della Catalogna rappresenta un segnale chiaro da parte di Madrid: unità nazionale prima di tutto. Non saranno tollerate prove di forza nazionaliste che minacciano la Costituzione e l’unità della Spagna.

Nelle ultime ore, il premier Rajoy ha dichiarato ai media di aver assunto il governo della Catalogna e, senza indugio, ha subito fissato la data delle elezioni al 21 dicembre.

Mentre in Spagna si gioca una delle partite politiche più pericolose per la tenuta di uno Stato di diritto e democratico – diviso tra unità e secessione – il 22 ottobre si è svolto il Referendum per l’autonomia in Lombardia e Veneto. Al Referendum, fortemente voluto dalla Lega (sin da ora ex Lega Nord), i Lombardi e i Veneti si sono espressi favorevoli all’autonomia regionale. In Lombardia, dove Roberto Maroni non ha fissato il quorum, ha piuttosto vinto l’astensione, in particolar modo a Milano. In Veneto, invece, dove era previsto il quorum, gli esiti del Referendum sono stati sorprendenti sia per il risultato che per l’affluenza al voto.

In Veneto, il successo del Referendum – il cui quesito faceva esplicito richiamo all’art. 116 della Costituzione – consentirà al Governatore Zaia di aprire le trattative con il Governo senza affanno. Forte della partecipazione popolare, Luca Zaia non ha resistito alla tentazione di avanzare la richiesta di Regione a Statuto speciale per il Veneto, che implicherebbe però modificare l’art. 114 della Costituzione. Richiesta irricevibile per l’odierna legislatura, oramai agli sgoccioli. La mossa azzardata di Zaia è stata immediatamente criticata da Roberto Maroni, il quale, pur dichiarandosi soddisfatto del risultato del Referendum, non ha potuto evitare critiche sulle falle del voto elettronico, costato parecchio alle casse della Lombardia.

Il parallelismo tra questione catalana e quella settentrionale in Italia è certamente apparente. Il Referendum per l’autonomia regionale, voluto dalla Lega con l’appoggio anche di altre forze politiche, non è anti-costituzionale. E i leader del Carroccio sono stati previdenti proprio nella formulazione del quesito referendario. È evidente che nel nostro paese – dalla nascita della “Padania” di Umberto Bossi all’attuale federalismo, propagandato dalla Lega – la questione dell’autonomia resta relegata ad una autogestione regionale sulla fiscalità e sulle materie di competenza concorrente o esclusiva dello Stato, quali istruzione e sicurezza, che appaiono necessarie per la costruzione del federalismo.

L’unica similitudine tra Catalogna, Lombardia e Veneto è racchiusa negli interessi economici e fiscali. Lombardia e Veneto rappresentano il 35% del PIL italiano. Nonostante siano a tutti gli effetti le prime per produttività e crescita nel nostro paese, la Lega non avanzerebbe mai una pretesa di indipendenza.

L’ideologia leghista, per quanto permeata da populismo e istanze identitarie, non contempla un Nord diviso dal resto d’Italia. C’è coscienza tra gli esponenti della Lega – più o meno oltranzisti sulla questione settentrionale – che un Nord indipendente avrebbe i giorni contati in Europa e in un mondo globalizzato.

Ai leader catalani sembra invece sfuggire il pericolo di una secessione. Una “febbre” nazionalista, alla quale senza dubbio la cecità di Madrid ha fortemente contribuito.

Lontana dal rischio di venti secessionisti o, meglio nel nostro caso, indipendentisti, l’Italia non è comunque immune al nazionalismo e, a distanza di quasi due secoli, l’unità nazionale ha lasciato irrisolto il divario tra Nord e Sud. Non diversamente dalla Spagna. Non diversamente dal resto del Mondo.

 

Chiara Colangelo

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