Effetto haters. Perché l’Italia sta diventando un Paese di “odiatori” seriali.

L’una di notte, non ho sonno. Mi riprometto ogni volta: mai prendere in mano il cellulare. No, non riesco proprio a chiudere occhio. Cedo. Sapevo che non dovevo farlo, meglio un libro accidenti. Inizio a “scrollare” metodicamente i vari social. Facebook, Instagram, Twitter (questo per la verità un po’ meglio, preda di millantati “radical chic”). Mi si apre dinnanzi uno scenario che definire svilente è eufemistico. Anche Linkedin tra manager con le loro “lauree presso università della vita”, non mi suggerisce buoni segnali su come va l’andazzo. Decisamente, però, i più accaniti sono i commenti sotto gli stati/notizie di Facebook, che mi restituiscono un quadro agghiacciante.

Iniziamo dall’italiano con cui sono scritti la maggior parte di questi commenti. Dalla forma, dunque, poi passiamo al contenuto. La punteggiatura, vabbè, non la considero proprio, perché la gran parte non credo ne conosca l’esistenza. È triste ammetterlo, perché le parole scritte e lette sono quanto di più prezioso personalmente conosco, ma questo è quasi ormai un dato di fatto acquisito, assorbito nella nostra realtà: il linguaggio sta estinguendosi. Eppure, le parole e la scelta che uno fa delle parole evidenziano la consapevolezza che una persona ha di quanto la circonda e del modo di interpretare ciò che accade. Fingiamo, però, per assurdo che anche senza un utilizzo almeno sufficiente della lingua italiana, il contenuto che l’interlocutore vuole esprimere possa essere, nonostante questo, adeguato.
Quello che personalmente mi sorprende è l’acredine presente nella maggior parte dei commenti, il tono perennemente incattivito e, soprattutto, la facilità di giudizio su qualsiasi evento, fatto, notizia che gran parte delle persone hanno. Giudizio, quasi superfluo aggiungerlo, negativo il più delle volte.

“Nonna Irma all’età di 96 anni va in Africa per aiutare i bambini”. Titola la pagina di Repubblica. Bellissimo, leggiamo i commenti sotto. Tra i molti commenti di apprezzamento, molti hanno il barbaro coraggio di commentare e riporto testualmente: “ma con tanti bambini che hanno di bisogno qui in Italia, questa va in Africa?” o, ancora, “alla sua età invece di starsene a casa”. Cioè uagliù, parliamo di una signora anziana che si fa ore di aereo, affronta disagi, difficoltà, si alza dalla poltrona di casa sua e percorre migliaia di chilometri in aereo per aiutare bambini in difficoltà, voi che commentate che state facendo per l’umanità di qualsiasi razza? Niente se avete il tempo di sta “ngopp a facebook”. Mi freno dal rispondere quello che vorrei, perché non credo che sortirebbe altro risultato che una sterile polemica, di bassa caratura condita di insulti, che poi è quello che molti cercano. Ora, alcuni possono essere troll, terminologia utilizzata per rappresentare personaggi che creano profili fake appositamente per arrecare disturbo, provocare, non si sa bene perché o per quale gusto. Ma è veramente così? Decido, in maniera che definire autolesionista è dire poco, di approfondire e spulciare un po’ i profili degli haters di turno. Per scoprire, tra la sorpresa e lo scoramento, che sovente sono persone anche di una certa età, con foto di famiglie e figli, che generalmente pubblicano semplicistici stati di buongiorno o preghiere di vario stampo (eh beh quando si dice il vero spirito cattolico…).

Ma passiamo ad Instagram, suvvia cosa potrò mai trovare di così negativo in un social che nasce per dare sfogo al narcisismo, presente in ognuno di noi, per la propria immagine o per la vita spettacolare che conduce, fatta di piatti belli e non si saprà mai se buoni, viaggi megagalattici e fisici scolpiti. La fiera dell’edonismo, insomma, che dovrebbe renderci tutti concentrati solo su noi stessi. È qui che mi imbatto in una foto di Valentina Dallari, che per chi non seguisse la sostanziosa offerta trash della nostra tv, è stata una tronista della nota trasmissione Uomini e Donne. Bella, alternativa, dal carattere spigoloso, tatuata. Nelle ultime foto postate appare molto magra, troppo ahimè. Come se quella folgorante bellezza, stesse appassendo sotto il peso di qualcosa di troppo grande. L’accanimento verso di lei è allucinante, iniziato già un bel po’ di tempo fa, con commenti che in un’escalation di orrore partono dal “sei troppo magra”, per passare da un sempreverde “fai schifo”, fino ad arrivare a “brutta tossica anoressica”. Per citare solo i più lusinghieri. Di recente, Valentina ha confessato, forse per liberarsi di un peso lei ormai così leggera, di stare combattendo con un mostro vero, anche lui nascosto vigliaccamente ma non dietro uno schermo che puoi bloccare. Combattere è il verbo giusto da utilizzare in questi casi, perché contro una malattia, un disagio, un’ombra scura di cui spesso si può morire, si combatte. Punto. E al tuo fianco si battono silenziosi, come scudi, i tuoi affetti, i tuoi cari che devono assistere impotenti, mentre ti guardano lasciarti morire di fame. È atroce, cosa dire di più. Quindi, se uno volesse essere anche solo minimamente d’aiuto, verso una ragazza di venticinque anni cosa altro dovrebbe commentare, soprattutto se coetanea o quasi, se proprio ne sentisse l’estremo bisogno? “Una forza, ce la farai ne uscirai”, forse. Oppure un semplice cuoricino, simbolo di vicinanza. Un messaggio più articolato di augurio sarebbe tanto. E sono convinta, tanti (e tante) lo faranno in maniera spassionata, non perché si debbano idolatrare i cosiddetti personaggi televisivi, ma per il solo fatto che dietro il personaggio c’è una persona (e una famiglia) in difficoltà che si disvela, che si mostra nel suo momento di massima fragilità. Perché, quindi, non esprimerle umana vicinanza, soprattutto perché di anoressia si stima che solo in Italia soffrano circa 3 milioni di persone? Mi ritrovo, invece, in ad interrogarmi sul meccanismo mentale che porta le persone ad arrogarsi il diritto di offendere, di colpire quando è uno è a terra, di sentirsi immuni da un male che potrebbe colpire chiunque, anche loro o un familiare, di utilizzare frasi ingiuriose e negative, che mi fanno bruciare gli occhi nel leggerle, facendomi perdere un ulteriore pezzettino di speranza verso l’umanità, se ancora si cela dietro quegli schermi. E togliendomi definitivamente il sonno.

Gli esempi potrebbero essere quasi infiniti, della mole di un romanzo. Questi due mi sembravano adatti ad esemplificare un pezzetto di stato delle cose. Lo so, hai ragione amico lettore che stai perdendo un po’ del tuo tempo a leggermi, internet è un universo sterminato, fatto di una miriade di persone di vario genere, estrazione, cultura che vi accede indisturbata, senza avere alcun titolo, né patente per farlo. Giusto per attuare un parallelo storico, alla scrittura, forse la più grande invenzione della civiltà umana, non tutti hanno potuto avvicinarsi per lunghi secoli. Era prerogativa ed esclusiva dei ceti elevati e del clero. Gli amanuensi serbavano le opere per sottrarle all’oblio del tempo, ricopiandole con paziente maestria. Solo molti secoli dopo, l’invenzione della stampa ha permesso di accedervi a più ampie fasce di popolazione, borghese perlopiù (ricchi, dunque, perché i libri costavano). Se non tutti potevano accedere al sapere, non tutti parallelamente potevano diffondere il proprio pensiero con tale immediatezza. Si consideri che, ancora dopo la Seconda Guerra Mondiale la figura professionale dello scrivano che redigeva le lettere per il popolo ancora analfabeta molto era diffusa ed aveva un grandissimo prestigio sociale (si vedano i film di Totò). Ora, invece, tutti hanno diritto di parola e quella parola può arrivare immediatamente a tutti. E quella parola, per il solo fatto di avere un mezzo di propagazione, assurge ad opinione, giudizio. Idea. “E’ una mia idea”, espressione ormai frequentissima e, in quanto tale, va rispettata. Ma perché dovremmo rispettare tutte queste presunte “idee”? L’idea è un’entità elevata, Platone inserì le idee nell’iperuranio perché avvicinavano gli uomini agli dei. L’idea è il risultato di studio, ragionamento, approfondimento, insomma di cui oggi siamo orfani. Siamo davvero così presuntosi da pensare di poter avere un’idea su qualsiasi ambito dello scibile umano o, peggio, su ogni situazione umana soprattutto se vissuta da altri? Siamo davvero così giudicanti, mi chiedo, da ritenere di poter capire la sofferenza che un nostro simile può provare vivendo una situazione ed esprimere su di essa un giudizio? E, ancora, mi domando, abbiamo davvero perso del tutto l’empatia verso il prossimo, la capacità di immedesimarci, di sentire o provare a capire quello che qualcun altro sta provando in un dato momento della sua esistenza? E, infine, ci stiamo davvero così incattivendo da non accorgerci di poter aggravare il dolore di qualcuno, offendendolo per il solo fatto di poterlo fare in maniera immediata con un click, sfogando chissà che frustrazioni personali?

L’Italia sta, quindi, diventando una nazione di “Haters”? Non ho la pretesa di rispondere a questi interrogativi, probabilmente questo non è neppure un articolo, gli articoli quelli seri si scrivono in terza persona, seguendo un filo logico e con la piccola presunzione di diffondere o informare qualcuno di qualcosa. Non avrei, altro di cui informare al riguardo se non del depauperamento a cui sta andando incontro la nostra società, che parte dall’impoverimento progressivo nell’utilizzo de linguaggio, per approdare all’anestetizzazione di ogni sentire comune, di ogni forma di gentilezza verso il prossimo e, soprattutto, di qualsivoglia capacità critica verso ciò che la televisione, i giornali (quando va bene) o, internet (quando va male) ci vomitano addosso continuamente e che non ci soffermiamo neppure un attimo a cercare di discernere. È più un flusso di pensieri, dunque, di sconforto provocato dalla visione di un pezzetto di “virtuale realtà”, mi si conceda l’ossimoro, notturna. E così il popolo di internet nelle nebbie della notte non mi sembra altro che un carrozzone di un circo, fatto di figure archetipiche: il “paranoico”, “il cospirazionista”, “il pervertito”, “il razzista”, “il cinico”, “l’accanito”, “il frustrato”. Che, spero, in cuor mio siano, appunto, sbiaditi archetipi, quelli che Mentana ha definito “webeti” e che io, talvolta, ho il timore siano terribilmente presenti e radicati nella nostra realtà attuale, capaci di travalicare lo schermo dietro il quale si annidano.

Annarita Lardaro

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1 thought on “Effetto haters. Perché l’Italia sta diventando un Paese di “odiatori” seriali.

  1. Non sono un sociologo nè uno psicologo e non credo nemmeno che a un problema complesso corrisponda una risposta semplicistica.
    Posso solo esprimere un’opInione, per quanto generica: l’Italia è piena di gente irrealizzata e/o fallita ( non necessariamente dal punto di vista finanziario, intendo anche fallita emotivamente e sentimentalmente), di conseguenza ricorre a ciò che nei secoli sono sempre stati il rimedio mentale di tutti i frustrati: il pettegolezzo, il rancore, l’odio sociale o etnico.
    Chi è felice della propria vita ( come io sono), non ha tempo di odiare e cercare di rovinare la vita altrui.

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