Esiste un’alternativa al capitalismo? Una proposta di ripensamento del sistema.

Il sistema capitalistico come fino ad ora l’abbiamo conosciuto ha fallito. La presente disamina parte da questo assunto, volutamente provocatorio, ma non credo così lontano dalla realtà. Si tenterà di delineare possibili scenari alternativi, perché, a dispetto di quanto hanno voluto e vogliono strenuamente farci credere, il capitalismo non è il sistema, ma un sistema economico come altri ve ne sono stati in passato, con i suoi punti di forza e di debolezza.

Orbene, quali e quanti sono stati i fallimenti del capitalismo. Il primo fallimento si annida nel deterioramento dell’uguaglianza sociale, nel totale disinteresse verso i diritti umani e lo sviluppo culturale, morale e sociale della persona. Con una visione improntata esclusivamente all’accumulo di ricchezze e beni e del denaro come unico strumento per misurare il valore (denaro e valore sovente nell’immaginario capitalistico divengono indistinguibili), il sistema capitalistico si disinteressa totalmente delle arti, della cura estetica delle città e dei luoghi e di tutte quelle discipline, in passato amate e coltivate dagli antichi, ora bollate come passatempo per oziosi. La conseguenza è una popolazione più incolta e meno attenta ai bisogni del prossimo. Da cui discende il secondo, grande, fallimento del capitalismo, ovvero la creazione di una massa di persone egocentriche, che ha come conseguenza l’accrescimento indiscriminato delle disparità economiche.

La competizione esasperata, unita ad una “bestialità” derivante dalla poca cura dedicata all’accrescimento dello spirito, porta a rendere le persone degli animali feroci, con aumento degli episodi di violenza sia fisica che verbale. Il terzo fallimento del capitalismo è la globalizzazione, che, come già accennato in altri articoli, da potenziale strumento di eliminazione delle diseguaglianze è divenuto, invece, canale di accrescimento della povertà e del sorgere di nuove forme di schiavitù. Infine, il denaro da semplice mezzo di scambio di beni e servizi è divenuto il fine ultimo dell’esistenza per la maggior parte degli individui, accartocciandosi nella più grande fiction economica mai vista: l’unico bene che non ha un valore in sé diviene l’unico bene desiderato.

Capita sovente nell’immaginario neoliberale confondere i due concetti di denaro e valore, rendendoli pressoché indistinguibili. Già Aristotele aveva messo in guardia i suoi contemporanei dai rischi derivanti dall’eccessivo attaccamento al denaro e al profitto. Ad oggi, ci siamo ridotti ad un sistema che sottrae denaro all’economia reale, vero teatro di scambio di beni e servizi, per andare ad essere inserito nelle attività finanziarie, spesso neppur esistendo a livello materiale.

La prima giusta obiezione che si potrebbe muovere ai vari assunti di cui sopra è che i sistemi socialisti e comunisti non hanno di certo portato maggior benessere agli Stati che li hanno adottati, anzi. Spesso le popolazioni sono state gettate in condizioni di povertà estrema, oltre che di assoggettamento a regimi dittatoriali. I sistemi socialisti hanno fallito nel ridurre l’ideologia marxista, ancora oggi valida nei principi, ad un mero controllo centralizzato da parte dello stato dei mezzi di produzione. Si è visto come una simile operazione non potesse reggere, producendo il mercato delle esternalità non assorbibili dal libero scambio.

Oggi è impensabile, oltre che anacronistico credere che l’alternativa al capitalismo possa essere il socialismo di matrice marxiana. Interessante, però, al riguardo è la lettura che dà del pensiero marxiano Alain Badiou. Il filosofo francese sostiene, infatti, che i concetti di Marx sono molto più attuali adesso che ai suoi tempi. In particolare il mercato mondiale e la disoccupazione di massa sarebbero molto più reali adesso che nel 1850. E in effetti guardando ai 2 miliardi di persone senza lavoro che non sono né salariati, né proprietari né consumatori e guardando, altresì, alla progressiva concentrazione della ricchezza nelle mani di una sempre più stretta oligarchia, il sospetto che l’attualità delle opere dell’intellettuale tedesco sia fondata sorge.
Infatti il nome di Marx e del “Il Capitale” non vanno sussurrati con timore, quasi a riecheggiare tetri scenari di razionamenti russi, gulag e lavori forzati nelle inospitali terre siberiani che nulla hanno a che fare con il suo pensiero. Va, invece, capito, riletto, ripreso in quei concetti che, come sostenuto da Badiou, sono più che mai attuali alla luce del capitalismo selvaggio da cui siamo affetti come società mondiale.

A ben guardare, per un vero cambiamento sembrerebbero mancare i protagonisti. Vi sono stati nel tempo alcuni movimenti, giovani e freschi, come Occupy Wall Street, le Primavere Arabe e la protesta degli ombrelli di Hong Kong, ma molto spesso si è trattato di episodi, di gruppi sparuti e formati da persone di buona volontà che non hanno saputo o potuto intercettare una fetta più ampia di popolazione. A ciò si aggiunga all’orizzonte una classe politica asservita, con poche idee, molti proclami e con talune, sempre più frequenti, derive fasciste e totalitarie.

Che fare, dunque, abbandonarsi a questa deriva e attendere che populismi, movimenti parafascisti si insinuino nuovamente come ai tempi di Mussolini e Hitler, nell’insoddisfazione delle persone, nella rabbia e nell’incultura? Analizzando il caso italiano, da noi il Movimento 5 Stelle ricorda in alcuni proclami movimenti parafascisti e siede in Parlamento, per non citare Lega e Case Pound che ogni tanto risorgono… Talvolta l’andamento sembrerebbe quello, la storia ha la triste e preoccupante tendenza a ripetersi, come posto in evidenza da Hegel e da Vico prima di lui, senza che l’essere umano sappia imparare ed evitare di commettere gli stessi errori.

Ma riprendiamo l’assunto inziale, il capitalismo come l’abbiamo conosciuto ha fallito. Si, ma non sempre e non dovunque. In quegli Stati che hanno saputo correggere le strutturali imperfezioni del mercato, il neoliberismo ha portato rinnovato benessere alle persone, accrescimento del livello culturale e riduzione progressiva delle diseguaglianze. Non solo gli Stati scandinavi e la lontana Islanda, ma anche il territorio del Benelux, la Spagna prima dello scoppio della bolla immobiliare, la stessa Germania sebbene ci sia lì un discorso di egemonia politica in Europa che andrebbe affrontato. Il minimo comune denominatore dell’economie di queste nazioni è uno Stato che interviene con politiche sociali volte a riequilibrare le naturali diseguaglianze generate dal libero scambio. Così l’attenzione esclusiva al profitto e all’appropriazione del lavoro e dell’uomo come “merce”, si argina con interventi “dall’alto” volti a ridurre le ore di lavoro, ad incentivare l’assunzione delle donne e la possibilità di mettere al mondo figli, di combattere la disoccupazione di lungo periodo attraverso reali sistemi di reinserimento immediato nel mercato del lavoro. Utopia si dirà. Cose da Paesi evoluti, numericamente inferiori e soprattutto con un tasso di corruzione molto al di sotto di un Paese come l’Italia. Ci sarebbe poi il discorso antropologico e così via. Tutte obiezioni sacrosante, ma anche autoassolventi. L’Italia post costituente aveva delineato un sistema di regole e principi, nato dalla convergenza di tutte le correnti politiche uscite dalla guerra, molto simile alla social-democrazia degli Stati scandinavi e, per certi versi, anche più avanguardista. La visione economica e sociale che vien fuori dalla Costituzione italiana è tutto un gioco di equilibri i tra quella ricerca dell’eguaglianza sostanziale dei cittadini sancita dall’art. 3 e l’art.41 sulla libertà dell’iniziativa economica privata (nota bene che non deve mai svolgersi in contrasto con l’utilità sociale). Gioco di equilibri che è stato espresso in maniera magistrale da politiche attive in favore del lavoro, del welfare e dell’istruzione. Non altrettanto ben espresso da riforme recenti come il Jobs Act, espressione chiara degli intenti neoliberisti del Governo che l’aveva emanato.

La Costituzione italiana si badi bene non è anacronistica nei suoi principi fondanti. Nasce, come detto, dalla più grande convergenza di consenso che si sia mai vista in Italia. Sorge sulle ceneri di disastri, fallimenti, morti e vergogne indelebili. È ragionata e sofferta nei suoi principi, è ben scritta, è attuale ed universale. Non è temporanea e di passaggio come Governi e leggi o politici più o meno capaci. È la vera alternativa che abbiamo sotto gli occhi e deve essere riletta e ripensata nei suoi principi cardine, perché può fungere da vero collante. Va interpretata attraverso leggi che sappiano attualizzarne i principi, senza stravolgerli. Al momento in cui si scrive, il testo del Jobs Act è al vaglio della Consulta per valutarne la costituzionalità o meno. Era quasi scontato che dovesse accadere. Se il capitalismo selvaggio ha fallito, non si comprende perché i politici italiani guardino ancora a politiche neoliberiste sfrenate. Siamo sicuri che il sistema inglese a cui le ultime riforme del mercato del lavoro strizzano l’occhio, siano meglio delle nostre a cavallo degli anni ’60 e ’70? Siamo sicuri di volere un sistema che in qualsiasi momento può imporci di prendere lo scatolo di cartone con i nostri effetti personali e ridurci ai margini della società? Siamo sicuri di volere un sistema che non abbia attenzione alle bellezze artistiche che ci circondano, all’ambiente, al diritto alla salute e all’istruzione?
Se vogliamo questo la strada è quella giusta, ma non facciamoci davvero convincere che tutto questo dipenda dai migranti, dall’Europa ecc.., perché ci è più comodo. Tutto questo dipende anche e soprattutto da noi.

Annarita Lardaro

Iscriviti alla newsletter settimanale per rimanere aggiornato su tutti i nostri articoli!

1 thought on “Esiste un’alternativa al capitalismo? Una proposta di ripensamento del sistema.

  1. la possibile alternativa può essere l’uso di monete complementari e del baratto (quest’ultimo molto utile a aziende che investono parecchio nel pubblicizzare i propri prodotti).

    In generale invece, potremo guadagnarci tutti solo quando tutte le nazioni avranno sufficienti risorse (soprattutto sanitarie) da soddisfare totalmente il fabbisogno dei propri cittadini (il che comporta l’uso illimitato tecnologico alla massima evoluzione, ma anche però che il popolo mondiale si riducesse numericamente fino ad un valore “accettabile”)

Comments are closed.