Intervista a Nicola Manzan dei Bologna Violenta: “Cortina” è il loro ultimo lavoro discografico

“Cortina” è il nuovo album dei Bologna Violenta. Il duo è composto da Nicola Manzan, fondatore del progetto nato nel 2005 e da Alessandro Vagnoni che si è aggiunto nel 2015 come batterista dal vivo e polistrumentista in studio.

Ho avuto il piacere di intervistare Nicola Manzan, violinista, polistrumentista e produttore trevigiano. Nella sua carriera ha lavorato in studio e dal vivo con artisti italiani ed internazionali, tra cui Jesu, Menace, Igorrr, Baustelle e Fast Animals and Slow Kids.

  • Buonasera Nicola. Inizio con una curiosità: la scelta del nome “Bologna Violenta” da cosa trae origine?

Nel 2005 vivevo nei pressi di Bologna e avevo da tempo in mente di fare un disco grindcore, o comunque di musica estrema. In quel periodo iniziavo a lavorare alle 5 di mattina, quindi la sveglia era molto presto e mi capitava di vedere durante la colazione dei film poliziotteschi in tv. Quando ho iniziato a registrare i primi brani ho pensato che Bologna Violenta potesse essere un bel titolo per il disco che stavo facendo, anche perché la musica e l’immaginario erano una buona metafora dello stato d’animo e della situazione generale che stavo vivendo.

  • “Cortina” è il vostro ultimo album. Avete affermato riguardo alla scelta del nome: “Cortina, come ad indicare una sorta di cortina di ferro, una barriera spesso invisibile che ci impedisce di fare dei passi in direzione diversa da quella già conosciuta, quindi verso territori ignoti ed inesplorati.” Cosa impedisce, a volte, di superare la barriera del conosciuto per giungere al nuovo e all’imprevisto?

Innanzitutto, sono convinto che tutti cerchiamo sempre la nostra “comfort-zone”, quindi anche nel momento in cui si scrive della musica si tende ad usare sempre lo stesso linguaggio che abbiamo imparato da chi ci ha preceduto. Ovviamente di linguaggi ce ne sono molti e diversi fra loro, ma ogni tanto ho l’impressione che sia stato fatto un po’ tutto e si continuino a rimescolare sempre le solite idee. Soprattutto a livello pop/rock, c’è pochissima sperimentazione, si usano sempre le stesse scale ormai da secoli e non ci si smuove dalla solita forma-canzone. O meglio, quello che ci arriva dai vari mass – media è tutto basato sul già sentito, sul già fatto, sulla semplicità della formula che funziona. Questo fa sì che a livello pop non ci possano essere grosse novità, almeno dal punto di vista melodico e armonico.

  • Che melodie troverà l’ascoltatore all’interno di “Cortina”?

Per me l’idea di creare delle melodie e delle armonie che non fossero convenzionali era il fulcro di tutto il disco. Volevo che fosse una specie di elogio della dissonanza, ma dove la melodia non deve mai essere assente. Un po’ come se ci fosse sempre una nota sbagliata da qualche parte che dà fastidio e crea tensione e disagio, mentre le consonanze risultano dei brevissimi episodi in cui l’orecchio e la mente si rilassano.

  • Anche l’immagine di copertina è stata da voi esplicitata con parole forti e poetiche al contempo. Avete affermato: “La foto di copertina, raffigurante il Trampolino Italia di Cortina d’Ampezzo, vuole rappresentare da un lato quella sorta di salto nel vuoto che abbiamo affrontato scrivendo e registrando questi brani, dall’altro la maestosità delle strutture architettoniche abbandonate che sono diventate parte integrante di luoghi un tempo incontaminati, come fossero cicatrici indelebili che ci ricordano quanto la mano dell’uomo abbia avuto un peso determinante per le sorti di questo pianeta”. Sono molte le strutture abbandonate in Italia e nel mondo, credi possano essere questi luoghi simulacro della visione della vita odierna e della distorsione che vive l’uomo di oggi?

Ci sono vari aspetti che vanno evidenziati. Da una parte c’è la stupidità dell’uomo che costruisce senza sapere se avrà la possibilità di finire quello che sta facendo (penso ai tanti scheletri di cemento che infestano la nostra penisola). Dall’altra c’è il simbolo di qualcosa che c’è stato, che forse non tornerà più, e che inizialmente doveva essere “per sempre”, ma poi è finito, come tutte le cose.
Quindi, nel migliore dei casi, si tratta di edifici che ci ricordano un passato neanche troppo lontano, di cui spesso subiamo il fascino. In molti altri casi si tratta di semplici scempi architettonici ai danni di luoghi che avrebbero avuto un aspetto decisamente migliore se non fosse stato per la mano dell’uomo, anche tenendo conto del fatto che, soprattutto nel secondo dopoguerra, in Italia abbiamo avuto anni di costruzione selvaggia ed irrispettosa dei luoghi dove si costruiva, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Il menefreghismo rispetto al pianeta che ci ospita è un aspetto che mi ha sempre infastidito, così come l’antropocentrismo che ci ha portati a distruggerlo.

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