Contro gli Usa? Julia Olson e the Case Juliana, et al. La sfida legale è lanciata

Dalla piccola cittadina di Eugene, alcuni giovani donne e uomini, dall’età di 8 anni ai venti, con Julia Olson sfidano gli Usa

La protesta a New York City è di questi giorni.

Contro Trump (manco a dirlo!), all’annuncio che ha dato di ritirare la partecipazione degli Usa dall’accordo sul cambiamento climatico firmato a Parigi nel 2015, che aveva visto circa 200 nazioni prendere coscienza del problema

Julia Olson e il riscaldamento climatico globale.

L’Oregon si è portato avanti, si può dire.

Ha lanciato già dal 2016 la sua azione legale contro chi inquina nostra madre terra in nome della generazione futura.

Dalla piccola cittadina di Eugene, alcuni giovani donne e uomini, dall’età di 8 anni ai venti, si fanno rappresentare da Julia Olson per un delitto di “mancata promessa di futuro”.

L’avvocato ha trascinato in tribunale il governo americano, durante la presidenza Obama, causa che è rimasta in piedi sotto Trump, contro le politiche ambientali condotte dalle due amministrazioni.

Mediamente i suoi 21 clienti hanno circa 15 anni. E la battaglia portata avanti ha buone possibilità di vincere. Il giudice Ann Aiken ha dichiarato ammissibile la causa.

Me li figuro, tutti insieme o alla spicciolata, questi giovani temerari nell’atto di bussare alla porta dell’avvocatessa, per chiedere una speranza per il futuro, che sembra cancellato dalle politiche dissennate degli ultimi trent’anni, in tutto il mondo.

Come il giovane protagonista del film Il cliente, anch’essi giovani, anzi giovanissimi. Sono 21 e chiedono di essere difesi da chi li sta privando del loro futuro. E la nostra legale assomiglia un po’ alla legale americana Erin Brockovich.

Il Libro Bianco del 1965 che sembra scritto oggi.

In un piccolo ufficio ad Eugene, in Oregon, è partito tutto dal libro bianco del 1965, Ripristinare la qualità del nostro ambiente, in era Lindon Johnson. Così nacque la passione di Julia Olson per la causa ambientale, mirata a salvare madre terra e il pianeta umano delle generazioni presenti e future.

Si trattava di una ricerca commissionata ad una squadra agguerrita e competente di scienziati che misero sull’avviso dei rischi ambientali, tipo l’aumento di un quarto delle emissioni di anidride carbonica entro il 2000 e l’innalzamento di tre metri del livello dei mari.

Solo radicali contromisure avrebbero potuto limitare i danni.

Così si dissertava nella forte e accorata lettera di accompagnamento, in cui con un ironico “Ciao ciao New York, ma anche Washington”, il senatore democratico di allora, Daniel Moynihan, compendiò il succo del lavoro delle commissioni, rivolgendosi ad un non convinto collega repubblicano.

Oggi, le previsioni si mostrano più che acclarate, giacché non abbiamo, ogni governo di ogni paese, saputo utilizzare il fattore tempo in modo saggio per rendere più ecocompatibile la nostra produzione di scorie, infettando l’aria che respiriamo e il cibo che produciamo e l’acqua che beviamo.

Da questo assunto di “Lesa Natura” nasce la causa all’amministrazione Obama, accusata di non aver spinto abbastanza l’acceleratore. E, al di là delle dichiarazioni interventiste, di non essersi impegnato seriamente contro il riscaldamento climatico, rendendo precario il futuro dei suoi ventuno clienti.

Case Juliana, et al. v. United States, et al.

Il ciak per questa storia che sembra un film è partito e la causa si sosterrà nei prossimi mesi.

Il quesito è stato ritenuto ammissibile con parole chiare da un giudice federale il 10 novembre 2016, all’indomani delle parole di Trump che minimizzavano il rischio ambientale globale, il riscaldamento globale per intenderci.

Mary Wood, autorevole esperta internazionale di diritto dell’ambiente, ha affermato che si tratta della “causa che potrebbe salvare il pianeta”.

Il caso prende il nome della prima ricorrente, la ventenne Juliana Kelsey.

La passione di questa giovane donna cominciò ascoltando una conferenza sul clima il cui relatore era James Hansen, scienziato.

Quest’ultimo aveva denunciato lo stato della California per negligenza ambientale.

Juliana lì apprese che essere giovani e subire uno stato di fatto non era un binomio incontrovertibile!

Qui entra in gioco la giurista Wood che conosceva i genitori di Juliana Kelsey e così il nucleo iniziale si formò.

La giovane donna, di madre abruzzese ambientalista, ora si occupa di educazione ambientale, coinvolgendo ragazzi delle elementari. È membro degli Earth Guardians e organizza camp a casa su tematiche ambientali.

Who is she, Julia Olson?

Del Colorado, si immagina medico, fa esperienze kafkiane in ambito giudiziario, partecipa a programmi studenteschi delle Nazioni Unite e comprende che vuole fare altro.

Si laurea con tirocinio da Earthjustice, si sposa e si trasferisce ad Eugene, qui in proprio fa l’avvocato ambientalista.

Nella piccola cittadina, cosa farà o continuerà a fare da grande, lo deciderà alla visione di un film, in un cinema con aria condizionata, dove cerca di scampare alla torrida estate del 2006, incinta del primo dei due figli. Il film documentario è “Una scomoda verità dell’ex Vice Presidente Al Gore.

Da qui la fondazione, nel 2010, di Our Children’s Trust, la Ong che mette insieme legali e altri volontari per pianificare le cause.

Così dalla festa della mamma del 2011, la Ong ha presentato cause legali in 50 stati – anche un caso federale a Washington, DC – in rappresentanza di giovani.

Osserva il giornalista Sutter: “Sembra che David potrebbe battere Golia”.

I fondamenti della causa ambientale di Julia Olson.

L’idea di fondo del caso che gestisce contro le amministrazioni americane è semplice come l’acqua da bere.

L’obiettivo non sono le singole violazioni di leggi, ma la dimostrazione che sia stato leso un diritto costituzionale per la cui tutela una corte federale deve e può intervenire.

E fa centro. Il quinto emendamento infatti garantisce a tutti un giusto processo, senza il quale il governo non può privare una persona della vita, della libertà o delle proprietà.

Così quando i singoli ragazzi e ragazze si trovano chi con i piedi nell’acqua, chi su un’isola assalita da alghe anomale e in preda a continui uragani, si rimboccano le maniche e decidono che gli si sta “frodando” il futuro.

Gli eventi che hanno vissuto sono, purtroppo, la risultanza del riscaldamento globale.

E in aula basterà dimostrare che i governi americani, pur conoscendo il legame tra questi problemi e il riscaldamento del pianeta, non si sono impegnati a ridurre la problematica.

Troppo poco, troppo tardi

Sotto Carter, dice Julia Olson, un alto dirigente intervistato di recente confermò che allora si parlava già di “punto di non ritorno”, senza interventi immediati.

Lo stesso Obama, a fine mandato, ha dichiarato quanto fossero spaventosi gli alert che gli arrivavano dai suoi consulenti ambientali.

A dire della Olson, “Troppo poco, troppo tardi” è stato fatto dalla sua amministrazione, se si pensa alle politiche di fracking, prelevamento di gas dagli strati di scisto.

Insomma per quanto Obama passerà alla storia come il presidente più green di mai, anche la Wood, è delusa dagli interventi che sono stati operati quasi in fine mandato: moratoria sull’estrazione del carbone, il blocco all’oleodotto Keystone e il bando delle trivellazioni nell’Artico.

Il fracking, che ha trasformato l’America in un Paese esportatore di petrolio e gas, è avvenuto con lui”, afferma in modo perentorio la Wood.

Dal Digesto di Giustiniano la Wood, autrice di Nature’s Trust, deriva l’altro pilastro su cui poggia la causa, la dottrina del public trust, ovvero il diritto d’uso di certi beni pubblici come l’acqua, i fiumi, le coste e l’aria.

È sempre la Wood ad affermare che si tratta di “beni che lo Stato, nella sua funzione di trustee, deve tutelare. C’è l’aria e, per traslato, anche l’atmosfera. Non c’è alcun dubbio”.

Percorso in salita del caso?

L’argomentazione principale nella causa contro il governo americano è ben articolata in più punti:

  • Manca una regolamentazione federale sulle emissioni di gas serra
  • C’è un’attività di continue annessioni di nuovi territori da perforare
  • Si utilizzano sempre più corsi d’acqua per l’estrazione di combustibili fossili

Ergo

il governo federale sta violando il diritto, sancito dalla costituzione americana, di vita, libertà e proprietà dei bambini.

In aggiunta si contempera anche la componente discriminatoria, che diventa doppia, trattandosi di bambini, giacché non sono loro la causa del problema eppure ne subiranno pesantemente le conseguenze ora, nel presente, e nel futuro.

Una prima scaramuccia si è prodotta durante un’audizione nel marzo del 2016, quando il governo federale di allora e un avvocato difensore (degli interessi sui combustibili fossili) chiesero al giudice federale, Thomas Coffin, di respingere la causa.

Costoro affermarono che non esiste il diritto fondamentale di essere liberi dal cambiamento climatico, perché non esiste un diritto costituzionale a un ambiente senza inquinamento.

Hanno dunque declinato qualsiasi responsabilità per l’inquinamento climatico del mondo e dichiarato che i tribunali federali non sono il luogo adeguato per sollevare generalmente le contestazioni sulle politiche federali.

Le argomentazioni, però, non hanno convinto il giudice Coffin che ha raccomandato che il caso venisse ammesso a processo, affidandone il prosieguo al giudice Aiken per le raccomandazioni finali.

Cosa ha potuto fare il giudice Ann Aiken?

Lei, giudice federale del distretto dell’Oregon, non ha avuto difficoltà alcuna a riconoscere il principio di interrelazione tra l’atmosfera e l’aria.

L’assertiva sentenza lunga 54 pagine ha asserito l’esistenza di un diritto costituzionale ad un clima che consenta la vita e che il governo non può calpestarlo.

Ha inoltre sottolineato la previsione contenuta nel public trust per cui il governo deve preservare le risorse essenziali per le future generazioni.

E, dulcis in fundo, proprio in era trumpiana, la Ann Aiken ha calcato sulla autorità che le corti hanno di ordinare al governo di preparare e applicare un piano nazionale di recupero climatico per i cittadini di oggi e di domani.

Viene semplice, dalla nostra Italia, chiedersi: Ma chi glielo fa fare al giudice di inimicarsi la Casa Bianca?

La risposta è della Wood con l’ineguagliabile candore americano: “Sono nominati a vita, possono permettersi il lusso di non aver paura di nessuno”.

Sic et simpliciter!

Beh, questa sentenza mi sembra il giusto processo di eterogenesi dei fini, “principio secondo cui le azioni umane possono conseguire fini diversi da quelli perseguiti”.

Ossia, l’azione anticlima di Trump ottiene ben altri risultati in virtù di una azione giudiziaria.

Come si difenderà il governo americano?

Non potrà adire testi che affermino che il cambiamento climatico non dipenda dall’attività umana.

Verranno ascoltati soltanto gli esperti nominati dalla corte e il presupposto è che l’interdipendenza tra clima e azione antropica è già assodato per gli scopi di questa mozione.

Intervistata nel settembre del 2016, da John D. Sutter, giornalista per il CNN Opinion che si occupa di cambiamenti climatici e di giustizia sociale, Julia Olson, ricordando il film di Al Gore, in quel pomeriggio di caldo, lei, incinta allora, dice:”È un istinto così umano portare la vita nel mondo e far crescere i bambini”.

E aggiunge “e ora c’è questa responsabilità in più di portarli nel mondo e di lasciargli questo mondo che non è sicuro. È una grande responsabilità per un genitore e voglio che ne sentano tutto il peso della responsabilità del pianeta, che lasciano ai loro figli. Voglio veramente che i nostri presidenti e i nostri politici e i nostri leader, le persone nei dipartimenti del Governo federale e i giudici sentano quel peso” (Traduzione Melina Rende).

Approfondimenti

Repubblica.it_venerdi_julia_olson_causa_governo_americano_ambiente

Democracynow.org_see_you_in_court_kids_suing

Theguardian.com_climate-change-teens-sue-s-government-failing-protect

Democracynow.org_protesters_take_to_streets_in_nyc

 

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