“La forma dell’acqua – The Shape of Water”: una fiaba sulla mostruosità umana

Con 13 candidature agli Oscar e 7 Golden Globe, La forma dell’acqua (The Shape of Water) è l’ultimo film di Guillermo Del Toro. La pellicola ha una trama semplice, ambientata nell’America degli anni Sessanta, durante la Guerra Fredda.

Elisa, giovane donna muta, lavora come donna delle pulizie in un laboratorio scientifico di Baltimora. Un giorno viene trasportata nel centro una creatura anfibia, catturata in Sud America e considerata dai popoli del luogo come divinità. I superiori di Elisa hanno l’obiettivo di studiare le capacità respiratorie del “mostro”, allo scopo di creare una tecnologia utile agli Americani per respirare nello spazio, superando quindi i Russi e il loro primo uomo lanciato in orbita.

La creatura mostra una sensibilità e un’intelligenza maggiore dei suoi aguzzini, ed Elisa non può fare a meno di innamorarsene a poco a poco, avendo trovato in lui un essere che non la considera “diversa” per essere muta, ma la accetta (e ama) per quella che è.

Ma lo studio deve proseguire e si programma una vivisezione dell’anfibio. Riuscirà Elisa a salvarlo?

Caratteristica principale della pellicola è un’atmosfera poetica, diffusa grazie a piccoli dettagli che influenzano la percezione che lo spettatore ha del film stesso: il dolce fluttuare delle vesti e dei capelli nell’acqua, i movimenti delicati e femminili della protagonista, i colori sfumati, le melodie degli anni Sessanta. Il mutismo di Elisa aiuta inoltre a concentrarsi su questi aspetti, in un silenzio carico di significati.

L’atmosfera del film ricorda quella de Il favoloso mondo di Amelie di Jean-Pierre Jeunet, con la differenza che in quest’ultimo film gli aspetti fiabeschi sono più evidenti, mentre ne La forma dell’acqua il regista Del Toro marca sugli aspetti horror della storia. È così che ne esce un film caratterizzato da scene dolci-amare, che uniscono l’affetto che si prova per i personaggi alla repulsione per gli aspetti mostruosi dell’anfibio e dei suoi carnefici, in bilico tra sogno e incubo. Grazie alla sua sensibilità il disgusto suscitato dall’aspetto del mostro passa in secondo piano, e lo spettatore si affeziona a lui, contrariamente a quanto accade con gli antagonisti della storia.

Il regista costruisce quindi un film ribaltato, in cui il vero mostro non è l’anfibio ma il suo aguzzino, dalla fisionomia umana ma privo di qualsiasi umanità.

Non stupisce che la pellicola sia candidata per così tanti premi: La forma dell’acqua è un film che colpisce dritto al cuore, che consente di riflettere sulla diversità.

GiuliaDafne

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