Lasciate che i bambini vengano a me! Sfruttamento e schiavitù dei bambini del mondo

Gli investimenti diretti esteri e il potenziale di crescita elevato insieme a un contesto di inadeguate ispezioni del lavoro e, in alcuni casi, di una persistente mancanza di sicurezza umana fanno aumentare rischi del lavoro minorile in alcune regioni dell’Africa orientale e occidentale, come la Tanzania e il Kenya nell’Est e il Ghana e il Mali in Occidente.

Lasciate che i bambini…

Bambini accovacciati davanti ai telai in Nepal, chini sotto carichi di carbone in Colombia, esposti ai pesticidi nei campi di caffè in Tanzania, stipati nelle concerie e nei laboratori tessili clandestini in India (ma anche in alcune province italiane). Sono scene di ogni giorno, che per molti anni i media avevano per lo più ignorato fino al 16 aprile 1995, quando alcuni colpi di fucile posero fine alla vita breve e intensa di Iqbal Masih.

Schiavo nelle manifatture di tappeti del Pakistan a quattro anni, attivista sindacale a nove, martire a dodici. I vili assassini di Iqbal non sapevano che quel gesto, apice coerente di una catena di abusi e violenze che gli sfruttatori dei bambini perpetuano pressoché indisturbati da sempre, avrebbe aperto gli occhi del mondo su una delle pagine più oscure della civiltà umana.
Oggi l’opinione pubblica internazionale, i media, i governi, le imprese e i sindacati sono molto più attenti al fenomeno del lavoro minorile di quanto non fossero prima del 1995, e l’UNICEF, assieme alle numerose Organizzazioni non governative (Ong) che hanno promosso campagne di sensibilizzazione su questo tema, ha un merito innegabile in questo mutamento di coscienza.
Oggi possiamo sperare che il XXI secolo bandisca dalla storia il lavoro minorile forzato, al pari di quanto già accaduto con la schiavitù e con l’apartheid.

Queste sono le parole di un documento dell’Unicef del 2007. E l’esperienza dei “bambini che lavorano” nel secolo XXI è comunque grave e lontana dallo scomparire per come il monito-speranza abbia potuto far pensare.

Sintesi dei dati attuali tra schiavitù e sfruttamento dei bambini.

A livello mondiale, esistono più di 150 milioni di bambini schiavizzati in impieghi rischiosi per la loro salute mentale e fisica, con una vita sottratta allo svago e alla istruzione.

Secondo le più recenti stime ILO il numero di bambini lavoratori nel mondo è diminuito passando da 246 milioni nel 2000 a 168 milioni nel 2012, ovvero l’11% della popolazione minorile mondiale.

Nemmeno a dirlo, le aree più povere del mondo, Sudamerica, Africa, Asia, sono quelle in cui si concentra il fenomeno del lavoro minorile con l’aggravante della coazione a ripetersi dello stesso fenomeno, a macchia d’olio.

Le aree marginali del Nord del mondo non sono immuni.

L’Unicef traccia la differenza tra child labour  e children’s work, attraverso cui passa il discrimine della pericolosità per lo stato psicofisico del bambino rispetto al lavoro che non pregiudica svago salute e istruzione.

 Le forme peggiori del lavoro minorile.

La fonte dell’ILO registra nel mondo 74 milioni di bambini utilizzati  in varie forme di lavoro pericoloso, come il lavoro in miniera, a contatto con sostanze chimiche e pesticidi agricoli o con macchinari pericolosi.

Nelle miniere in Cambogia, nelle piantagioni di tè nello Zimbabwe, nelle fabbriche di bracciali di vetro in India. Ancora, il lavoro di strada, ossia l’utilizzo di bambini nelle metropoli sudamericane africane e asiatiche per la raccolta di rifiuti da riciclare o per vendere cibo e bevande.

L’altro tipo di impiego di bambini è più invisibile e ancora più bieco per la possibilità quasi certa dello sfruttamento anche sessuale dei bambini coinvolti. È il lavoro domestico e familiare, in cui sono impiegate soprattutto le bambine.

Lo sfruttamento sessuale dei minori a fini commerciali si valuta che coinvolga un milione di bambini ogni anno.

Le bambine utilizzate in questo tipo di lavoro, all’interno della famiglia oppure come lavoro domestico, hanno il peso della doppia schiavitù, dell’abuso e della violenza.

Caso emblematico a Dakar, Senegal.

Nella sola città di Dakar, capitale del Senegal, sono 8.000 i bambini che vivono come mendicanti. I talibè senegalesi, anche i bambini fantasma, a Dakar.

Talibé in wolof, la lingua parlata prevalentemente in gran parte del Senegal, significa discepolo.

I Talibé sono i discepoli delle Darah, scuole coraniche gestite dai Marabout, autorità religiose nell’islam senegalese.

Nelle Darah si insegna a memoria il corano e niente più; un progetto del governo senegalese di Darah moderne, con insegnamenti, oltre al corano, di francese, matematica, e altre materie, stenta a decollare.

Infatti molti talibè, la maggior parte, non parlano francese, ma lingue locali, neppure il wolof.

Spesso vengono da regioni remote del Senegal, come la Casamance, a sud, oppure la regione di Matam al confine con la Mauritania. Addirittura vi sono talibè che vengono dalla Guinea, dalla Guinea Bissau, oppure dal Mali.

La fame e la prolificità allontanano questi bambini presso i Marabout che possano accoglierne uno, anche in un’altra nazione.

Non tutti i Marabout sfruttano i bambini cui dovrebbero attendere.

Le organizzazioni religiose occidentali non possono decidere sulle sorti delle scuole coraniche, in Senegal, le Darah ed i Marabout, solo gli sforzi del governo possono modificare le cose… con quasi alcun buon risultato.

In uno studio condotto nel 2006 da UCW sulla condizione dei bambini mendicanti in Senegal con il supporto di partner e Ong locali, si conferma che nella regione di Dakar i bambini mendicanti sono quasi 8000, per lo più maschi, con un’età media che si aggira intorno agli 11 anni.

Abbandonati dalle loro famiglie, in molti arrivano a Dakar per fuggire dalla povertà delle campagne senegalesi, mentre altri provengono dagli Stati limitrofi (Mali, Guinea Bissau, Guinea Conakry, Gambia, Niger e Costa d’Avorio).

Sfruttati e anche venduti, patiscono la fame e qualsiasi sopruso.

Ai Talibè si aggiunge un’altra categoria di bambini mendicanti, quella dei Fakhman.

Adolescenti che hanno lasciato la famiglia, il villaggio o la scuola coranica a causa di maltrattamenti fisici o psicologici.

Frustrati e maltrattati sono affascinati dal mondo della città e scelgono di vivere per strada dove tutto è possibile.

Hanno il gruppo che conferisce appartenenza, ma la gerarchia produce in esso abusi, dei grandi sui più piccoli, per esempio.

La Chiesa cattolica utilizza lavoro minorile in Uganda?

È dell’anno 2016 una inchiesta giornalistica condotta da Vinnie O’Dowd e Danny Vincent per la BBC News.

Secondo i riscontri dei due giornalisti, a Kabale, nell’anno della visita di papa Francesco in Africa, in una piantagione di thè di proprietà della Chiesa cattolica sono stati utilizzati bambini sottopagati.

Non sappiamo se il Papa ne sappia qualcosa o si tratti di un ennesimo segreto africano. Papa Francesco, durante il suo viaggio, ha affermato di conoscere che la più grande piaga lì è lo sfruttamento del lavoro dei bambini.

La conferma della verità di tale assunzione, se ce ne fosse bisogno, viene dalla viva voce di Alex Turyaritunga. È un adulto ora. Ma è stato un bambino soldato. Nella guerra del 1994. Oggi fa l’infermiere con l’Agenzia dei rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) in Uganda.

A cavallo del confine tra Uganda e Ruanda, a Kabale, dopo la guerra si ritrovò sbandato e venne aiutato dalla chiesa cattolica per l’istruzione anche per i fratelli.

Oggi, all’età di 32 anni, non stima più molto la chiesa cattolica.

Un’indagine della BBC ha scoperto prove che la terra su cui si trova una piantagione di thé, proprietà della chiesa lì a Kabale, in Uganda, occupa sottopagandoli, bambini di 10 anni.

Il problema del lavoro minorile in Uganda stima tre milioni di lavoratori bambini, dai 5 ai 14 anni, quando l’età legale è superiore ai 14 anni.

Intervistato un supervisore dell’impresa in anonimato per la stampa ha confermato ciò. Che i bambini vengono pagati tra i 1,000 scellini ugandesi  (20p; $0.30) e i 2,000 al giorno.

Il supervisore ha affermato che la terra è di proprietà della chiesa cattolica e che essa è in rapporti d’affari con la società Kigezi Highland Tea Limited, suo datore di lavoro.

Il team della BBC in visita nella fattoria ha visto 15 bambini che lavoravano insieme agli adulti della comunità locale. Operazioni di raccolta delle piantine giovani, trasporto a spalla nel punto di raccolta su per una ripida collina e anche operazioni di diserbo.

Confermato da un funzionario locale della chiesa il rapporto di affari con la società, Kigezi Highland Tea Limited, stabilitosi  “attraverso il comitato del piano di sostenibilità finanziaria” della diocesi.

Vani i tentativi di avere risposte dalla società. Il vescovo Callisto Rubaramira, della diocesi cattolica di Kabale ha negato, nonostante la troupe avesse incontrato bambini di 10 anni che stavano preparando le sementi di tè da un camion all’uscita della diocesi.

Il segretario del vescovo locale ha negato. Il vaticano ha scaricato la responsabilità, ove ci fosse, sulla chiesa locale.

The dark side of chocolate in Costa D’Avorio.

Anche il cioccolato ha il suo amaro e non parlo del gusto del cioccolato amaro fondente.

Le multinazionali del cioccolato utilizzano i bambini per la raccolta delle cabosse di cacao e l’insaccamento delle fave di cacao nelle piantagioni in Costa d’Avorio, maggiore produttore.

E non si tratta soltanto di sfruttamento di lavoro minorile, si parla anche di tratta dei bambini e di riduzione in schiavitù.

Interessante è il documentario di Miki Mistrati e Roberto Romano del 2010. 

Non si hanno dati certi, per come un addetto alle politiche antisfruttamento della ILO afferma, ma si stima che più di 200mila di età compresa tra i cinque e i quindici anni, siano le vittime di una vera e propria “tratta”.

Dal 2003 Save the children  denuncia come in Costa d’Avorio sia un dato di fatto lo sfruttamento sistematico dello schiavismo minorile nelle piantagioni di cacao.

Turbolenze politiche creano, nel nord-ovest del paese, dove lo stato ancora non ha il pieno controllo del territorio, sacche di schiavismo minorile, soprattutto dal Mali e dal Burkina Faso. Il tutto stimolato dal fenomeno dell’abbandono delle terre.

Il prezzo per il reperimento e l’utilizzo dei bambini a tempo indefinito è di 230 dollari. Sono alloggiati in baracche, non hanno diritti, non hanno paga, lavorano per 12/18 ore e se si rifiutano vengono percossi. La malnutrizione è l’ulteriore afflizione.

Se al produttore iniziale va un euro/kg per le fave di cacao portate a destinazione delle compagnie di esportazione, che piazzano il cacao in borsa, tra cui la più grossa è la Saf Cacao, il valore è moltiplicato all’ennesima potenza per i profitti (si pensi che soltanto un chilo di cacao si trasforma in 40 barrette, a costi manodopera zero!).

I bambini vengono in Costa d’Avorio, secondo l’incaricato per il governo ivoriano della lotta allo sfruttamento dei minori, braccio destro del presidente, “fuori stagione del cacao” in bus per fare una gita estiva! Perché il periodo del cacao va da ottobre a marzo!

Vengono raccattati dal Mali, Benin, Togo, Ghana, Niger, Nigeria, Camerun, Burkina Faso per la raccolta delle cabosse di cacao.

Irresponsabilità e mancate risposte delle multinazionali del cacao.

La Ong International Labor Rights Forum,di fronte alla visione del video del giornalista ha di fatto costatato che la convenzione sottoscritta tra il loro organismo e le multinazionali del cacao fosse carta straccia, il Protocollo Harkin- Engel (anche detto Protocollo sul cacao) firmato nel 2001.

La Nestlé, insieme ad altre aziende cioccolatiere da Hershey, Mars a World’s Finest Chocolate, sono state denunciate dall’International Labor Rights Fund e dalla Global Exchange, ma nessuna ha voluto parlare con il giornalista, Miki Mistrati.

I minori vengono caricati su bus e scaricati lungo il confine, poi i trafficanti li recuperano per portarli nelle piantagioni, in moto.

Fanno percorsi secondari per non farsi beccare dai controlli al confine, perché la legge che vieta lo sfruttamento minorile c’è in Costa d’Avorio. Ma da sola non basta se tutti chiudono gli occhi.

Il documentario filma tutta la storia con attenzione e la storia è pericolosa se si pensa che un reporter è stato trovato ucciso perché stava cercando di documentare proprio questo.

In Ghana, la tratta dei bambini.

Nel reportage di Riccardo Iacona per Repubblica, si parla di un Centro di protezione fondato dai salesiani ad Ashaiman, alla periferia di Accra, la capitale del Ghana. Nato per contrastare il traffico di bambini, tra i 7 e i 17 anni.

Il Ghana è diventato il punto di transito dei trafficanti di bambini. Qui li prendono, qui li preparano, per poi portarli all’estero e sfruttarli come forza lavoro.

Destinazione nei Paesi del Golfo, come Arabia Saudita, Kuwait, Qatar. E per molte ragioni. Alcuni per essere impiegati come inservienti domestici, altri per sfruttarli nei campi, mentre altri ancora finiscono nel mercato della prostituzione minorile, a volte con la complicità (involontaria!) delle famiglie.

Il target dei trafficanti di bambini sono quindi i villaggi più poveri e in particolare i nuclei familiari più vulnerabili, con poca terra, tanti figli che non vanno a scuola, la fame nello stomaco e le tasche senza soldi.

In un reportage, i bambini di Aleppo in Turchia.

Mani piccole e veloci. Questo ci vuole per lavorare. A Gaziantep, nel Sud-est della Turchia. Sono le mani dei bambini di Aleppo, scampati alla Siria a ferro e fuoco, sono prigionieri in Turchia e sono contenti di aiutare le proprie famiglie. Tagliano e cuciono, i più grandi, i più piccoli impilano i pezzi. In condizioni precarie.

Sono centinaia i laboratori, come questi. Dalle scarpe all’abbigliamento.

Scappati dalle bombe sporche sono vivi. Non vanno a scuola non giocano, lavorano fino a che non gli si spegne il sorriso.

In Turchia al 2014 si parlava di un milione di bambini occupati in attività lavorative fra i 5 e i 14 anni, nonostante la legge proibisca il lavoro minorile fino ai 15 anni, 18 per i lavori più pericolosi.

Se solo due marchi H&M e Next hanno risposto, nello stesso anno, di aver individuato manodopera minorile in alcune fabbriche turche e di aver preso provvedimenti, le altre aziende, tra cui Burberry, Adidas, Marks & Spencer, non hanno mai inviato il questionario compilato.

La denuncia è di Business and Human Rights Resources, una Ong inglese. La guerra in Siria sta rimpolpando le fila dei ragazzini senza accompagnamento o comunque senza assistenza. Costretti ad arrangiarsi.

Child Labour Index del 2014.

Due dei più grandi mercati mondiali di crescita, la Russia e la Cina, secondo il Child Labour Index del 2014, hanno mostrato un aumento significativo dei rischi del lavoro minorile nel corso dell’anno 2013.

Secondo Maplecroft, la Cina è passata dalla 53a posizione di rischio alla 20ma, mentre la Russia è scesa da 11° a 69°. Entrambe sono classificate come a “rischio estremo”. Sono stati notati anche cambiamenti negativi sostanziali nei profili di rischio del Nepal (14°, 34° nel 2013), Guinea (30°, 36° nel 2013) e Guinea Equatoriale (109°, 114° nel 2013).

La classifica di Maplecroft in 197 paesi comprende 83 paesi classificati ad ‘estremo rischio’, con Eritrea, Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Sudan, Afghanistan, Pakistan, Zimbabwe, Yemen e Burundi che comprendono i 10 paesi in cui il problema del lavoro minorile è maggiore.

Senza alcun miglioramento significativo di fatto, nel corso dell’anno passato, il Myanmar si è spostato dalla sua posizione di 1° (come paese peggiore in tutto il mondo) in tutte e sei le precedenti edizioni dell’indice del lavoro minorile, al terzo dell’Indice 2014. Questo riflette il miglioramento degli impegni e delle capacità del governo per combattere il lavoro minorile. Tuttavia, la situazione rimane grave.

Ad esempio, i bambini vengono reclutati come bambini soldati da gruppi militari e ribelli per svolgere compiti non combattenti. Inoltre, i bambini provenienti da Myanmar sono sempre più vulnerabili alla migrazione e al traffico pericoloso dello sfruttamento del lavoro, sia all’interno del paese che in quello transfrontaliero.

The Child Labour Index 2014 valuta la frequenza e la gravità degli incidenti del lavoro minorile segnalati, nonché la performance dei governi per prevenire il lavoro minorile e garantire la responsabilità degli autori.

È stato sviluppato per consentire alle aziende di comprendere e identificare i rischi legati al lavoro minorile dei bambini impiegati nelle loro catene di fornitura, in violazione degli standard internazionali in materia di età minima di occupazione o in occupazioni che limitano o danneggiano il loro sviluppo complessivo.

Il traffico globale è un fattore di forza lavoro minorile – i bambini migranti sono il gruppo più vulnerabile.

Il problema è particolarmente prevalente in Cina e in Russia, entrambi sono stati ridotti dal Dipartimento di Stato Usa dall’Elenco di vigilanza Tier 2 al livello 3 nella sua relazione Trafficking in Persons 2013.

Ciò è dovuto al fatto che i governi continuano a non rispettare le Norme minime, e a non fare sforzi significativi per eliminare il problema.

Il traffico globale è un fattore critico per il crescente profilo di rischio della Russia nell’indice del lavoro minorile.

Gli ultimi 10-12 anni hanno visto cambiamenti significativi nella natura del lavoro minorile in Russia, specialmente tra i figli dei migranti che si trovano sempre più spesso a lavorare nei negozi e nei cantieri.

I bambini che svolgono attività lavorative in Russia sono spesso impegnati nelle forme peggiori del lavoro minorile, soprattutto nelle zone rurali in cui il lavoro agricolo può comportare rischi per la propria salute, come l’uso di macchinari pericolosi e pesticidi nocivi.

Regna un clima di impunità in Cina per la scarsa applicazione delle leggi sul lavoro minorile, esacerbata da una significativa popolazione migrante interna.

Statistiche ufficiali non sono disponibili, ma stime suggeriscono che fino a 100.000 bambini sono impiegati solo nel settore manifatturiero. L’impiego del lavoro minorile in programmi di “lavoro e studio” vocazionali e la continua occupazione dei bambini nelle fabbriche presentano rischi significativi per le aziende anche nelle province più economicamente sviluppate.

L’analisi di Maplecroft indica che i rischi del lavoro minorile crescono nell’Africa sub-sahariana, che ospita 43 (oltre il 50%) dei paesi  ad ‘estremo rischio’  nell’indice del lavoro minorile.

Gli investimenti diretti esteri e il potenziale di crescita elevato insieme a un contesto di inadeguate ispezioni del lavoro e, in alcuni casi, di una persistente mancanza di sicurezza umana fanno aumentare rischi del lavoro minorile in alcune regioni dell’Africa orientale e occidentale, come la Tanzania e il Kenya nell’Est e il Ghana e il Mali in Occidente.

Fonti

I_bambini_che_lavorano 

storia-dei-talibe-bambini-fantasma

piantagioni e sfruttamento minorile Uganda

Iqbal_Masih

maplecroft.com

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