Martin Luther King e la disobbedienza pacifica: 50 anni dopo Memphis

A cinquant’anni dalla morte di Martin Luther King, gli Stati Uniti hanno ricordato il reverendo pacifista con una manifestazione di commemorazione che ha attraversato l’intero Paese.

La sua eredità e il suo impegno civile sono ancora vivi nella comunità statunitense e nei vari movimenti pacifici, dal movimento “Black Lives Matter”, contro le violenze della polizia, alla “March for Our Lives”, manifestazione contro le armi libere. A questa manifestazione, intervenne anche la nipote di King, Yolanda Renee di 9 anni, riprendendo la celebre frase nel nonno “I have a dream”.

Erano le 18.01 del 4 aprile 1968 quando Martin Luther King, sul balcone della stanza 306 del Motel a Mulberry Street, dove alloggiava a Memphis, fu colpito alla testa da un colpo di fucile di precisione. La corsa al St. Joseph’s Hospital, fu vana. I medici constatarono un irreparabile danno cerebrale e la sua morte venne annunciata alle 19.05 del medesimo giorno. Nonostante le richieste del Presidente degli Stati Uniti Johnson al popolo di non cedere all’impulso della violenza, i giorni dopo la scomparsa del reverendo si registrarono in oltre 120 città atti violenti. L’8 giugno, venne arrestato James Earl Ray con l’accusa di aver ucciso King. All’inizio confessò di essere lui l’assassino, ma dopo tre giorni ritrattò la sua versione professandosi innocente. Il 10 marzo 1969 venne condannato a 99 anni di reclusione. Ad essere indagato e condannato al pagamento della somma di 100 mila dollari alla famiglia di King, fu Loyd Jowers, proprietario del ristorante Jim Grill situato a Mulberry Street, dove avvenne l’omicidio, accusato di aver complottato una cospirazione ai danni del reverendo.

Emblema dell’instancabile resistenza non violenta, paladino degli emarginati, Martin Luther King si è sempre esposto in prima linea contro gli abusi di potere e contro le discriminazioni sociali. Il suo nome è senza dubbio accostato ai grandi attivisti pacifici di tutti i tempi, da Gandhi a Richard Gregg. Si è fatto carico dei più complessi e profondi problemi civili. Nonostante abbia lasciato la sua comunità a soli 39 anni, il reverendo King ha consegnato il suo testamento di libertà ai posteri che lo hanno adottato, dimostrando che il suo insegnamento è ancora vivo e attivo. Specialmente dopo la sua morte, il movimento di massa che King aveva costruito negli anni, non era più rivolto, forse non lo è mai stato, solamente agli afroamericani, bensì radicato sul territorio. I suoi discorsi, i suoi metodi pacifici e la sua bontà d’animo riecheggiano ancora oggi all’interno delle comunità statunitensi e non solo.

Il caso Rosa Parks, il celebre discorso “I have a dream” e il Premio Nobel

Negli anni ’50, la questione razziale, la segregazione e la negazione dei più elementari diritti civili alla comunità nera, aveva portato molta tensione nella comunità afroamericana. Il caso scoppiò nel 1955, a Montgomery in Alabama, quando una donna nera, Rosa Parks, venne arrestata per aver occupato un posto riservato ai bianchi su un autobus rifiutandosi di cederlo. L’allora sconosciuto reverendo Martin Luther King, prese la situazione di petto, organizzando un boicottaggio pacifico delle autolinee di Montgomery, in cui la comunità nera non userà gli autobus per ben 381 giorni. In seguito a questa decisione, King fu arrestato con l’accusa di aver intralciato un servizio pubblico. Questo episodio fu il primo di una lunga serie di boicottaggi, scioperi e cortei, tutti strumenti utilizzati per la sua lotta di libertà, tutte tecniche gandhiane di non violenza, della disobbedienza civile, con l’obiettivo di scuotere l’opinione pubblica americana dell’importanza dei diritti civili della comunità afroamericana.

Celebre rimase il discorso che Martin Luther King tenne il 28 agosto 1963 durante la “Marcia per il lavoro e la libertà” davanti al Lincoln Memorial di Washington. Con la frase “I have a dream”, che pronunciò più volte, si rivolse all’enorme folla che lo acclamava sottintendendo la speranza che ogni uomo venisse riconosciuto uguale ad un altro, con gli stessi diritti e le stesse prerogative, senza distinzione.  La lotta e l’attivismo del 35enne reverendo afroamericano ebbero rilevanza internazionale, tanto che gli valsero nel 1964 il Premio Nobel per la pace. 

Martin Luther King e le influenze musicali

Talmente forte e penetrante la personalità di Martin Luther King da ispirare grandi interpreti ed artisti della musica mondiale. Moltissimi musicisti hanno fatto riferimento nelle loro canzoni al reverendo ucciso nel 1968. Michael Jackson ha preso più volte come icona il reverendo nei suoi brani, scegliendolo nel video di Man in the Mirror, nominandolo nella canzone They Don’t Care About Us, oppure prendendo una parte del discorso “I have a dream” in HiStory. Oltre al “re del pop”, anche gli U2 hanno dedicato dei brani a King come Pride (In the Name of Love) e MLK, titolo coniato prendendo le iniziali del reverendo. Anche One Vision dei Queen, l’inedito Super Pop di Madonna, If I Can Dream di Elvis Presley e Justice and Love dei Linkin Park, fanno riferimento alle attività svolte da Martin Luther King.

Isabella Insolia

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