Millennial: storia di una generazione boh e senza futuro!

Studi recenti rilevano che i ventenni di oggi sono più tristi e soli dei loro coetanei delle generazioni precedenti.

Non possiamo indicare con certezza quale sia l’età adatta per essere definito a pieno titolo un millennial. Secondo alcuni si tratterebbe dei giovani nati tra la metà degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta, che oggi hanno tra i 20 e i 30 anni. Secondo altri, invece, sono considerati millennial coloro che oggi hanno tra 16 e i 35 anni.

Su di loro è stato detto che hanno più difficoltà dei loro predecessori nel trovare un posto di lavoro e che devono faticare molto per crearsi una vita indipendente e autonoma, per conquistare quella stabilità che i loro genitori sembrano aver raggiunto molto prima e con molta più facilità.

Recenti pubblicazioni scientifiche hanno, inoltre, evidenziato che gli attuali giovani e giovanissimi soffrono di solitudine e depressione (che spesso portano al suicidio) in misura maggiore rispetto ai loro predecessori.

Ma quali sono le cause di così tanta infelicità?
Secondo un recente articolo di Forbes, una prima causa va individuata nella capacità della solitudine di essere contagiosa.
Questo perché le persone che si sentono sole sono meno capaci di raccogliere gli stimoli sociali positivi, come l’attenzione degli altri, e quindi si ritirano prematuramente dai rapporti sociali, destabilizzando così un’intera rete sociale.
La seconda ragione va ricondotta a quello che è stato definito il paradosso della connettività.
Infatti, usiamo sempre più spesso il web (in particolare i social media) per alleviare la nostra solitudine, e in effetti nel breve periodo questo migliora la soddisfazione sociale e riduce la solitudine. Tuttavia le conseguenze drammatiche dell’era del 2.0 si percepiscono soprattutto nel lungo periodo quando si distruggono anche le poche relazioni reali ancora in vita, sostituite da quelle online. Queste connessioni tendono a essere superficiali, insoddisfacenti.

L’uso dei social network, infatti, ha raggiunto un punto di saturazione tale per cui il mondo virtuale non è più “qualcosa che facciamo”, ma quello che siamo.

Secondo uno studio britannico, controlliamo il telefono una media di 221 volte al giorno, ossia una volta ogni 4 minuti. Un americano medio passa cinque ore e mezzo al giorno sui media digitali, con cifre che raddoppiano nel caso dei più giovani. In questo modo i social media riducono la quantità di tempo trascorso dagli utenti in solitudine senza interruzioni, ossia quei momenti in cui la gente può riflettere su se stessa ed elaborare la propria interiorità.

Inizia, dunque, ad emergere un ritratto sfaccettato di una generazione iperconnessa, che si trova a vivere il paradosso di essere la generazione più istruita dal secondo dopoguerra ma anche quella più marginalizzata e vulnerabile.

Una generazione alle prese con un futuro incerto e un mondo in continuo mutamento, percepito un po’ come una giungla competitiva, dove i forti vincono e i deboli perdono.

Carmen Camarca

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