Omertà e impotenza nella terra dei fuochi: recensione del film “L’Equilibrio”

Esistono modi e modi di trattare il tema della criminalità organizzata. Vincenzo Marra nel suo nuovo film, “L’Equilibrio”, ne parla tramite lo scontro tra una vecchia e una nuova generazione episcopale.

Don Giuseppe (Mimmo Borrelli) ha lavorato in Africa, presta servizio a Roma ma chiede di essere trasferito in Campania. Qui avviene il passaggio di testimone, pieno di attriti, tra Don Antonio (Roberto del Gaudio) – il prete “uscente” – e il protagonista. Quest’ultimo non condivide le abitudini relazionali di Don Antonio con i fedeli del posto. Mentre Don Antonio è ormai perfettamente integrato nel sistema malato e corrotto dell’hinterland campano; Don Giuseppe prova a fare ciò che è più giusto anche se più difficile.

Quando tenta di salvare una vita ne vede finire tante altre in rovina. Ad ogni sua buona azione ne corrisponde una uguale e contraria. Per strappare una bambina da un contesto familiare malato, Don Giuseppe vede un adolescente semi-redento morire. E tutto perché non è riuscito a tenersi a distanza, a rimanere indifferente dinanzi al degrado morale e sociale della sua comunità. Mette a repentaglio la sua stessa vita ma capisce ben presto di essere un combattente solo. Sia dai vertici della Chiesa che dai suoi “colleghi” non riceve appoggio e comprensione. E questo alla fine porta la vicenda ad un triste epilogo.

La forza della fede, la tenacia di un uomo vengono infatti schiacciate da un sistema malsano fortemente radicato. Le scelte di vita di Giuseppe lo intrappolano in un circolo vizioso: c’è un problema, prova a risolverlo, non ci riesce, ritorna al punto di partenza. All’inizio del film l’ipotesi di mettere i suoi voti in discussione per una donna portano Don Giuseppe a tornare a Napoli. Alla fine del film, quando falliscono i tentativi di indirizzare sulla retta via i boss del posto, o almeno i non affiliati, il prete torna da dove è venuto.

Convincenti le interpretazioni degli attori che interpretano ruoli minori (Francesca Zazzera, Giuseppe D’Ambrosio) ed è particolarmente solida quella di Roberto del Gaudio, nonostante egli dia un volto alla “parte malata” della Chiesa.

L’evoluzione del personaggio di Don Giuseppe  è pressoché assente. Rasenta quasi un’involuzione. La staticità facciale di Mimmo Borrelli non aiuta in tal senso. Non aggiunge un mordente vitale alla “lotta contro il crimine”.

Senza nascondersi dietro inutili moralismi – del resto solo chi è senza peccato può scagliare la prima pietra – bisogna ammettere che provare a fare la differenza a volte non basta. Bisogna necessariamente farla. Soprattutto in posti come Napoli e dintorni.

Se ci fosse stato più Equilibrio tra resa cinematografica e qualità di recitazione questo film avrebbe potuto dar voce, a suo modo, al disagio sociale campano.

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