Popular Social Media: picchi d’ansia tra utenti. Studi scientifici accusano!

Anche l’American Journal of Epidemiology conferma una stringente connessione tra utilizzo dei social media e soddisfazione sociopersonale dell’utente.

Anche l’American Journal of Epidemiology conferma una stringente connessione tra utilizzo dei social e la soddisfazione sociopersonale dell’utente.

Facebook è il social che, essendo tra i più popolari e il più utilizzato, renderebbe più infelici, incidendo dunque sulla salute.

Lo studio, pubblicato dal Washington Post, è stato condotto da Holly Shakya,

professore dell’Università della California di San Diego insieme a Nicholas Christakis, direttore dello Human Nature Lab a Yale.

La ricerca ha monitorato la salute mentale e le vite sociali di 5.208 adulti, prendendo in considerazione tutte le attività di navigazione su Facebook degli utenti lungo il corso di due anni, tra il 2013 e il 2015.

Partendo dai like agli aggiornamenti di stato sul social, ne è venuto fuori che, se, per esempio, il numero di Like disattendeva l’aspettativa dell’utente, ciò finiva per corrispondere a un peggioramento del 5-8% del suo stato fisico e mentale.

La risposta di Facebook è stata che un altro studio, del professor Robert Kraut della Carnegie Mellon University, fa dipendere il livello di salute fisica e mentale degli utenti dal tempo di navigazione in Internet e che il numero maggiore di like e di commenti ricevuti aumenta il loro livello di ‘soddisfazione sociale’ dall’1 al 3% rispetto agli altri che non li hanno ricevuti.

Beh, a me sembra che l’ultima affermazione dia una conferma ulteriore allo studio epidemiologico per cui il livello di soddisfazione utenti sposta verso l’alto l’asticella perlomeno dell’ansia, se non ne ricevono.

Senso di isolamento, di ansia e inadeguatezza.

Altri studi confermano il senso di inadeguatezza degli adolescenti quando hanno a che fare con social

che basano la loro esistenza sull’immagine di .

Da qui l’isolamento e magari la chiusura completa al mondo reale, non uscendo più dalla propria stanza!?

Perché l’attività sui social è psicologicamente disturbante.

Pare ci sia una linea rossa tra disturbo psicologico e i contatti online che sostituiscono le interazioni personali dirette con i propri coetanei.

Si sottolinea il bisogno di amicizie e di interazioni reali che le dipendenze online mascherano.

Hikikomori o l’ossimoro della Rete.

È vero che la rete fornisce e può fornire aiuto a chi si è chiuso il mondo reale alle spalle della porta della sua stanza.

Ed è anche vero che può essere la Rete ad aver indotto l’isolamento in una stanza.

La navigazione esclusiva online, quella che taglia fuori il mondo reale, chiamato Hikikomori, è apparso come fenomeno di massa tra i giovani giapponesi ed è stato rintracciato anche in Europa.

Aiuta a costruire legami senza eccessivi pericoli, se si sta in guardia comunque, e senza metter in gioco il corpo, nel senso che puoi costruire anche l’Avatar di te stesso.

Ma il rapporto ossessivo tra Hikikomori e web è la causa o l’effetto della malattia?

È la rete che attira con le sue lusinghe allontanandoti dal mondo?

Oppure, data l’apparente insostenibilità del confronto cui il mondo reale ti chiama, a volte ci si reclude nella propria stanza con l’unico mondo che ti illudi di forgiare con le tue mani, una vita fuori dalla vita?

In Inghilterra la sanità pubblica si occupa di Instagram, Snapchat e YouTube.

Una ricerca britannica della Royal Society for Public Health su un gruppo di giovani fra i 14 e i 24 anni conforta la tesi che Instagram, piattaforma di Kevin Systrom, sia di fatto il social più pericoloso per la salute mentale dei giovani.

A che titolo entrano i social nell’analisi di un istituto di sanità pubblica?

Mi pare sufficiente come risposta la seguente dichiarazione di Shirley Cramer, AD della Royal Society: “I media sociali sono diventati uno spazio in cui formiamo e costruiamo relazioni, modelliamo l’identità di sé, esprimiamo noi stessi e apprendiamo il mondo che ci circonda; È intrinsecamente legato alla salute mentale”.

 

Insieme allo Young Health Movement, hanno posto sul banco degli imputati, Instagram.

Cosa delinea l’indagine svolta solo nel Regno Unito su 1.479 giovani fra i 14 e i 24 anni?

Su Instagram il campanello di allarme è insorto massicciamente con l’inserimento di nuove funzioni, come le “Storie”.

Pare abbia da sempre ricevuto critiche, giacché la piattaforma permette di creare con gli #hashtag (come in casa madre Facebook che ne è proprietaria e su Twitter, del resto) nicchie di contenuti problematici e disturbanti, da quelli “a favore anoressia” fino ai più complessi fenomeni giovanili di autolesionismo.

Il problema, come sempre, è come viene utilizzato il social Instagram e Snapchat.

Se ci sono problemi di stima di sé, qualunque social media lo acutizzerà.

Se la piattaforma è giudicata positivamente in termini di promozione della propria identità, il giudizio negativo è dato nella percezione negativa che se ne ricava da parte di utenti che, nell’utilizzo, soffrono di ansia, depressione e di sindrome da esclusione.

Il Fomo, la cosiddetta “fear of missing out“, che precipita nel panico chi è disconnesso e non può seguire passo passo gli aggiornamenti in bacheca.

Un altro studio recente dell’American Academy of Pediatrics  sottolinea l’induzione di depressione e accrescimento del disagio sociale provocata dalla pressione esercitata dalla rappresentazione poco realistica del corpo e dal clima continuamente festaiolo ed esaltato,

presente nei profili più popular dei cosiddetti Vip, seguiti da milioni di utenti.

Non è immune da critiche insieme a Instagram, anche Snapchat, che ne condivide il primato tra i peggiori in classifica per il benessere e la salute. Entrambe fanno base sull’immagine e possono indurre sentimenti di inadeguatezza e ansia fra i più giovani.

Snapchat o come fare della propria vita un cartone animato.

Controindicazioni e Avvertenze nell’uso dei social media.

Nell’ordine di impatto più positivo è risultata YouTube.

Twitter, Facebook e Snapchat hanno avuto le postazioni con un crescendo di impatto via via più negativo, arrivando ad indicare come i peggiori, Snapchat e Instagram.

YouTube non crea problemi di tipo psicologico, anche se può disturbare il meccanismo del sonno.

Educare ai social, secondo la Cramer, è ormai necessario.

Mentre i social, a mio parere, dovrebbero impegnarsi a segnalare le immagini, magari con una ironica Gif che dica “guarda che è effetto Photoshop!”, per mettere sull’allerta gli utenti più influenzabili.

Risposta di Instagram.

Michelle Napchan, capo delle policy dell’app per Europa, Nord Africa e Medio Oriente, ha dichiarato che la preoccupazione della società è quella di mantenere Instagram un posto sicuro, dove le persone si sentano a proprio agio nell’esprimere se stesse specialmente quando si parla di giovani.

Esiste il supporto della comunità per ogni persona che da ogni parte del mondo usa Instagram per condividere le proprie problematiche mentali. “Per permettere ciò lavoriamo con gli esperti per mettere a punto gli strumenti e le informazioni più adatte”.

Cyberball. Come incide il social network sul cervello umano.

Dialogano, dice una ricerca dell’Università della Pennsylvania, in un articolo pubblicato sulla rivista Pnas. La rete neuronale in cui viaggiano i pensieri e le decisioni, sotto forma di impulsi, colloquia e sceglie di far diventare post o cinguettii alcuni di essi.

Lo studio assai interessante si è dedicato a come risponde il cervello all’esclusione sociale. E, in particolare, sul cosiddetto sistema di mentalizzazione. Esso include distinte regioni cerebrali responsabili di concepire stati mentali inconsci e consci in se stessi e negli altri.

Mentalizzazione è l’abilità consistente nel considerare il comportamento altrui come frutto di stati mentali simili ai propri e come capacità di tenere a mente la mente propria e altrui, ossia di riconoscerne l’esistenza e regolare il proprio comportamento in base a ciò.

80 adolescenti di 16 o 17 anni, monitorati da Risonanza magnetica funzionale, sono stati occupati a giocare con Cyberball, un gioco virtuale che simula l’esclusione sociale.

Il volontario partecipa, con due altri giocatori fittizi, indotto però a ritenerli reali, a una serie di passaggi con un pallone.

Gli scambi, all’inizio sono regolari, i due giocatori altri passano il pallone al volontario. Successivamente, i giocatori virtuali escludono il volontario.

Come si reagisce all’esclusione.

La ricerca ha poi interlacciato i profili delle risonanze dei volontari con i loro profili social.

Ne è risultato che i soggetti con profili social meno coesi, ossia dove i propri amici non avevano amicizie reciproche, mostravano grandi cambiamenti nella mentalizzazione.

 

I legami sociali sono cruciali per gli esseri umani. I ragazzi volontari sono adolescenti e sentono molto le dinamiche del rango sociale, anche in un contesto virtuale che, come il Cyberball, è assai coinvolgente.

La rottura dei legami attraverso l’esclusione sociale ha un notevole effetto sui nostri pensieri e sentimenti.

Tuttavia, tali effetti possono essere temperati da risorse di rete neuronale più ampia.

I dati fMRI acquisiti dagli 80 adolescenti maschi sono serviti per indagare su come l’esclusione sociale moduli la connettività funzionale all’interno e tra le reti del cervello coinvolte nel dolore sociale e nella comprensione degli stati mentali degli altri, attraverso il processo di mentalizzazione.

 

Il confronto col dato obiettivo delle reti di amicizia sui social riscontra la variabilità individuale su come il cervello reagisce all’esclusione sociale, facendo riferimento alla densità delle reti di amicizia dei partecipanti, un aspetto importante della struttura della rete sociale.

Le reti neuronali dedicate alla mentalizzazione

Hanno mostrato una maggiore connettività durante l’esclusione e in relazione all’inclusione.

I partecipanti con maggiore connettività a livello di mentalizzazione nel momento dell’esclusione da parte dei coetanei, avevano meno reti sociali di amicizia.

Questo lavoro fornisce un’idea per capire come i sistemi cerebrali distribuiti rispondono alle sfide sociali ed emotive e come tali dinamiche cerebrali potrebbero variare in base a caratteristiche di rete più ampia.

Chi aveva profili social più omogenei, mostrava una mappa di mentalizzazione meno dinamicamente connessa.

Chi ha una cerchia di amici che non hanno cointeressenza tra loro, ha una mappa mentale più dinamica, adattabile agli avvenimenti diversi.

Ma potrebbe anche essere che si tratti di una scelta oculata, quella di cercare determinati tipi di persone e impostare il proprio social network di conseguenza, per sentirsi a proprio agio.

Associo a quanto letto della ricerca un’immagine. Quella dello sfarfallio che ti prende alla bocca dello stomaco quando avverti di essere in pericolo o ti senti escluso. Quindi hai una reazione di paura che ti porta a chiuderti o a scegliere con chi relazionarti e con chi non farlo.

Approfondimenti

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Allegato

RSPH-YHM Social Media & Mental Health Report 

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