Recensione “Sognare è vivere”: un sogno realizzato è un sogno deludente

“Ricordare è come cercare di ricostruire un edificio con le pietre delle sue rovine e le pietre hanno memoria”.

Scrivo questa recensione a seguito dell’anteprima stampa del film “Sognare è vivere” alla quale ho partecipato.

Il film, della regista e attrice Natalie Portman, uscirà nelle sale italiane l’8 giugno.

La Portman si è ispirata al romanzo autobiografico di Amos Oz “Una storia d’amore e di tenebra”, in cui lo scrittore narra la sua infanzia e adolescenza in Palestina con il padre Arieh, studioso e intellettuale e la madre Fania, sognatrice e poetica.

La madre, interpretata da un’intensa Natalie Portman, è la vera protagonista: è colei che impernia totalmente la vita del figlio e del marito. Fania è una donna di una bellezza eterea e fragile.

Le vicende che vive il Paese, dalla prima guerra d’indipendenza in Israele al riconoscimento dello Stato, fanno da cornice alla storia; infatti, per tutto il film non si percepisce altro che la presenza di Fania.

Questo è un limite, in quanto la Portman non è riuscita a raccontare in maniera profonda la storia del Paese; credo, infatti, che fosse necessario un approccio più storico, facendo ripercorrere allo spettatore quegli anni. Sicuramente ciò avrebbe consentito di essere maggiormente in empatia con Fania.

E Arieh? Arieh (Gilad Kahana) è un uomo buono ma semplice, innamorato follemente di Fania, ma incapace ad un certo punto di comprendere e di salvarla. Un uomo che dopo una vita accanto ad una donna emotivamente fragile sente il bisogno di evasione; un uomo che pur tuttavia non smetterà mai di prendersi cura di lei e di amarla. Arieh ha lo sguardo di chi osserva il proprio amore ormai perduto, anche se fisicamente accanto a sé.

Amos (Amir Tessler) è il figlio che scruta la madre, inizialmente venerandola e successivamente comprendendo il suo essere “umana” e di conseguenza fallace. Non smette mai di occuparsi di lei, facendo le veci del figlio, dell’amico e del marito. Amos diviene uomo ma non si distacca mai del tutto dalla madre; la sua scelta di diventare contadino è semplicemente desiderio di rivalsa contro un mondo che si è rivelato ai suoi occhi sbagliato e ingannevole.

L’assenza permea il film: assenza dalla vita, dalla realtà e da sé stessi.

Fania, infatti, inizialmente cerca di superare il vuoto della vita quotidiana raccontando delle storie ad Amos e cercando in questo modo di vivere una vita altra.

“Fania era in una eterea e nebulosa bellezza le cui ali si erano schiantate contro la durezza di Gerusalemme”. Infatti “la promessa della sua infanzia era stata calpestata e ridicolizzata dalla monotonia della vita quotidiana.”

La storia avrebbe potuto essere toccante e coinvolgente; non dimentichiamoci che si basa su un romanzo autobiografico, e la nazionalità della Portman, essa stessa israeliana, le avrebbe potuto concedere uno sguardo più sincero e veritiero alle vicissitudini del suo Paese, ma purtroppo non è avvenuto.

Il film rimane nebuloso, lasciando al termine della visione un senso di incompiuto.

“Un sogno realizzato è un sogno deludente, questa delusione è nella natura dei sogni”.

Voto: 7,25

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