Rischio di un fronte comune dei paesi arabi su Gerusalemme. La mediazione dell’UE.

Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato d’Israele, da parte del Presidente USA Donald Trump, continua ad alimentare le violenze tra i palestinesi e gli israeliani.

Le ultime notizie provenienti da Gaza non sono affatto confortanti, mentre The Donald sembra aver già dimenticato il peso della sua dichiarazione in territori martoriati dalla costante guerra con Israele. Se, da una parte, la comunità internazionale – prima di tutti l’Europa – considera estremamente pericolosa la scelta del Presidente americano, dall’altra, il Premier Netanyahu sfrutta l’occasione per agire massicciamente a Gaza e in Cisgiordania, dove, dal giorno della dichiarazione della Casa Bianca, si registrano proteste e scontri.

Netanyahu, grazie al riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato d’Israele, ha la possibilità di rafforzare e rilanciare una politica nazionalista rispetto al conflitto con i palestinesi. L’ultimo raid sferrato da Israele su Gaza, che ha causato vittime tra i palestinesi, riaccende però la linea dura di Hamas che continua a incitare la popolazione ad una nuova Intifada per impedire ad Israele di aggiudicarsi Gerusalemme.

Durante il Consiglio europeo degli affari esteri, Nethanyau ha affermato di aspettarsi che anche gli altri paesi e, non solo dunque gli Usa, trasferiscano presto le loro ambasciate a Gerusalemme. Ciò rafforzerebbe la posizione d’Israele e priverebbe di ogni speranza il popolo palestinese. Nonostante la schizofrenia della politica estera dell’Unione europea, dove vengono alla ribalta estremismi di destra, populismi e nazionalismi – al vertice, Federica Mogherini – Alto rappresentante UE per la politica estera – non ha esitato a smentire le aspettative di Nethanyau e a lanciare un monito agli Stati Uniti sulla pericolosità del riconoscimento.

Dinanzi al Premier israeliano l’Unione europea si è mostrata unita, ribadendo la necessità della pace ed indicando come unica soluzione possibile la nascita e il riconoscimento reciproco – prima che internazionale – di due Stati.

Nella logica “illogica” del Presidente Trump, il riconoscimento di Gerusalemme – peraltro per ora isolato – come capitale d’Israele mina ogni tentativo di riconciliazione e convivenza pacifica tra palestinesi ed israeliani. Scenari appesi ad un filo.

Il fragilissimo equilibrio politico tra la Palestina ed Israele dipenderà molto anche dal seguìto che avrà la dichiarazione degli Usa da parte degli altri Stati, quali Cina, Russia, Egitto, Arabia Saudita per citarne solo alcuni. Una scelta che The Donald non ha esitato a definire doverosa per la pace.

Le prove dello squilibrio provocato dalla mossa politica dell’amministrazione statunitense sono sotto gli occhi di tutti. Fortunatamente sotto gli occhi dell’Europa, ma anche della Russia e dei paesi arabi che, dinanzi alla prepotenza statunitense, come dichiarato anche dal Presidente francese Macron, non esiteranno ad unirsi in un fronte comune. Capaci di superare le divisioni politiche e religiose – i “colossi” arabi, quali l’Iran a maggioranza sciita e, l’Arabia Saudita sunnita – per sposare la causa palestinese.

Il complesso di accerchiamento, di cui soffre Israele da più di cinquant’anni e, che ha permesso alla destra nazionalista israeliana di governare a lungo sino a Netanyahu, potrebbe trasformarsi in un pericolo concreto per la sopravvivenza stessa del paese. Una situazione della quale forse potrebbe approfittare anche lo Stato Islamico, indebolito dalla disfatta in molti territori tra Siria, Kurdistan e Iraq.

I palestinesi restano, per ora, un popolo isolato, costretto a sopravvivere tra i campi profughi e le occupazioni israeliane. Ed incidono sia l’impronta terroristica e violenta assunta da Hamas sia la debolezza del partito moderato di Al Fatah. Ciò ha contribuito ad alimentare il nazionalismo e la chiusura d’Israele, dove la sinistra, nonostante la voglia di pace delle nuove generazioni, non riesce ad abbandonare la panchina per mettersi in campo seriamente e rivoluzionare il “modo di essere e fare” dello Stato d’Israele. Una Potenza nucleare, vicina a paesi dotati di armi nucleari. Uno Stato accerchiato, ma che, allo stesso tempo, in questi lunghi e sanguinosi anni di guerra, non ha mai davvero perseguito il processo di pace con la Palestina.

Resta dunque cruciale il ruolo dell’Europa e il rilancio di una nuova ed efficace strategia di pace.

Chiara Colangelo

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