Sentimenti ai tempi del GULAG – “Qualcosa più in là dell’amore” di Orlando Figes

Lo storico Orlando Figes descrive la vita del sistema concentrazionario sovietico e le sue ripercussioni sulla vita di ogni giorno attraverso le lettere che due giovani russi si sono scambiati dal 1945 al 1954.

A volte la realtà è così interessante e tragica nella sua quotidianità, che non ha bisogno della forma romanzesca per essere descritta e narrata. Questo è il caso di Qualcosa più in là dell’amore, un libro a metà strada tra il documento e il saggio storico, di Orlando Figes, professore al Birbeck College di Londra specializzato in Storia Russa e Sovietica.

La particolarità della sua scrittura è quella di riuscire a narrare i grandi avvenimenti storici attraverso le vite dei singoli cittadini, siano essi grandi scrittori, musicisti e matematici, come avviene in La danza di Nataša, manuale di storia culturale russa dal 1700 alla tarda era sovietica, o semplici cittadini nati e vissuti nel periodo delle purghe staliniane, come in Sospetto e silenzio.

Anche Qualcosa più in là dell’amore ha la stessa impostazione: spiega la vita del secondo dopoguerra in Russia seguendo la corrispondenza di due persone come tanti, due innamorati, che avrebbero potuto vivere una vita forse banale, ma felice, e che invece sono restati ingabbiati nel sistema dello stalinismo trionfante.

Sveta e Lev, protagonisti del libro, vengono separati dapprima dalla guerra, che porterà lui in un campo di concentramento tedesco da cui riuscirà a salvarsi in maniera fortuita, e poi dalla repressione che Stalin attuerà allo scopo di allontanare dalla società i “contaminati”, ovvero coloro che sono stati a contatto con l’esercito nemico, sia pure come prigionieri. Lev, rientrando in URSS alla fine della guerra, diventerà un abitante del GULAG, nell’impianto per la lavorazione del legno di Pečora, costretto a scontare una condanna di dieci anni.

Di solito dieci anni di lavori forzati equivalevano a una condanna a morte, date le condizioni fisiche, psicologiche e climatiche che i detenuti del GULAG erano costretti a subire, ma Lev si salverà grazie all’amore di Sveta, che, una volta rintracciatolo, non lo abbandonerà mai più, scambiando con lui 1246 lettere – spedite e consegnate abusivamente – e riuscendo perfino ad andare a trovarlo circa una volta all’anno di nascosto.

Così, da questo amore, questo dolore così privato, Figes estrae molte informazioni di prima mano, utili a descrivere anche al lettore occidentale la società sovietica post bellica, la percezione della vita nelle grandi città e le reali condizioni degli uomini e delle donne del GULAG: Sveta era impegnata in un progetto governativo, e questo rendeva il suo amore ancora più pericoloso per lei e la sua famiglia, inoltre la sua relazione fu la causa di una seria depressione che la giovane non poté nemmeno curare, dato che in Unione Sovietica, ufficialmente, la depressione non esisteva.

Lev, dal canto suo, descriveva nelle sue lettere le condizioni misere in cui viveva, e in alcuni brani, riportate dallo storico, lo vediamo in preda a uno sconforto infinito, costretto a combattere non solo il freddo e l’abbrutimento degli altri prigionieri, ma anche i comportamenti delle guardie, spesso ubriache e completamente indifferenti al loro lavoro, probabilmente perché pervase dallo stesso sentimento di disperazione e di annientamento umano.

Eppure l’amore, e credo solo quello, è riuscito a preservare l’uomo in Lev: Sveta appare in più di una lettera una vera e propria sorgente di vita, l’unica speranza del prigioniero.

Stavo immaginando le cose più terribili ed ero nello stato più intollerabile quando all’improvviso è arrivato un tizio che nemmeno conosco e mi ha porto una lettera, e appena ho visto la tua calligrafia mi sono dimenticato di ringraziarlo. Svetik, tu sei la mia, la mia cara, gloriosa Svetlaninka.

È poi mirabile come anche in un sistema così strettamente controllato e dove il sospetto e la denuncia erano all’ordine del giorno, i due protagonisti siano riusciti a esprimere piuttosto liberamente i loro pensieri sulla situazione che vivevano, Sveta un po’ meno di Lev. Ne sono esempi le lettere sulla morte di Stalin, celebrata – almeno ufficialmente – da Sveta in Piazza Rossa con i suoi colleghi di lavoro, e festeggiata senza alcuna ipocrisia da Lev e dai suoi compagni, quale auspicio di una futura liberazione e riabilitazione nella società.

Tutto ciò Figes lo descrive in maniera così avvincente che il documento si trasforma quasi in romanzo, e il lettore non vede l’ora di arrivare a scoprire se c’è stato il lieto fine, non accorgendosi nemmeno che nel frattempo sta imparando tante nuove cose su un mondo che sembra lontano storicamente e culturalmente.
Questo è quello che succede quando uno storico è anche un grande narratore.

Maria Chiara DAgostino

 

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