Silence, please! Sul pensiero di massa e sul silenzio
L’elusione della riflessione interiore, che gravita sul silenzio, provoca un apparente benessere e tranquillità. Senza silenzio, senza conoscenza di sé e degli altri, si procede per schemi fino all’inaridimento in cui sguazza il potere che agisce indisturbato.
Stiamo surfando sulla tematica del silenzio.
Nel primo articolo – “Silenzio, ognuno a suo modo! Che ne è oggi del silenzio” -, ci siamo immersi nel silenzio in poesia, in punta di piedi, per poi portarci alla cancellazione del silenzio nel secolo breve, passando per il silenzio interiore, che approfondiremo di seguito.
Il silenzio sul “silenzio”.
L’elusione della riflessione interiore, che gravita sul silenzio, provoca un apparente benessere e tranquillità. Senza conoscenza di sé e degli altri, si procede per schemi fino all’inaridimento in cui sguazza il potere che agisce indisturbato.
Il linguaggio stereotipato, quello che ci esce dalla bocca senza la pausa del silenzio, ci possiede, avanza e distrugge ogni originale riflessione creativa.
Il pensiero di massa equivale all’oggetto, è di per sé legato al suo carattere di prodotto industriale e al suo ritmo di consumo quotidiano.
Nasce così la cultura di massa che è tutt’uno con il prodotto culturale che si consuma, si fruisce.
C’è un corto circuito tra produzione culturale originale e bisogno di prodotto da industria culturale. Quest’ultimo si presenta confezionato e da consumarsi, induce assuefazione autorealizzativa e approva l’autoconsumo inconsapevole della vita individuale del consumatore (Edgar Morin, L’industria culturale).
Ritorno all’educazione estetica.
È possibile ritornare o comunque volgersi verso un’educazione estetica? Essa, basata su una nuova economia dei beni realmente essenziali, è fondata su un capitale culturale, anziché su quello economico.
Utopica via! La pervasività degli strumenti di comunicazione rende impraticabile questo percorso. Poiché è impraticabile la scelta del silenzio.
Gunther Anders sceglie una favola per chiarire la difficoltà della scelta del silenzio.
Un Re suggerisce al figlio di farsi un’idea del mondo. Gli regala carrozza e cavalli.
Il figlio così dovrà percorrere solo la via battuta, non i sentieri della campagna.
Penserete che sia stato un dono. Ebbene si rivela un danno per il figlio del Re e per i suoi sudditi.
Non potendo percorrere sentieri non tracciati sarà imbracato nella stessa visione del mondo che gli ha trasmesso suo padre.
“Ora non hai più bisogno di andare a piedi”, furono le parole del Re.
“Ora non ti è consentito farlo“, era il significato.
“Ora non puoi più farlo“, fu il loro effetto. (tratto da da Gunther Anders, “Considerazioni sull’anima nell’era della seconda rivoluzione industriale”)
Il silenzio è una merce di lusso.
L’inquinamento ambientale passa anche per quello acustico.
I segni di alte grida e lai fecero riconoscere a Dante l’Inferno ancor prima di vederne le mura.
L’inferno sono gli altri. Soprattutto quando strepitano.
Il rumore costa in termini di sanità, per infarti evitabili, non si sfugge al rumore in qualunque ambiente, che sia casa o lavoro, soprattutto con i nuovi ambienti open space.
Che triplicano la percezione del rumore fino al parossismo.
Il silenzio è merce che costa cara. Possiamo renderlo più democratico?
Nel 2010, ci pensò la Finlandia a brandizzare il bene del “silenzio”, facendone un business. Voleva vendersi meglio all’estero, con uno slogan, Silence, Please, sullo sfondo di boschi incontaminati.
L’antropologo Hillel Schwartz, in Making Noise, una storia culturale del rumore, racconta del dio Apsû che si lamentava per il sabba dei figli scatenati, disposto anche ad ucciderli, pur di tornare a dormire.
O ancora che, negli anni ’70 si dimostrò come i bambini in scuole che gravitavano nelle zone ad alto traffico imparassero a leggere con maggiore difficoltà.
O ancora della rumorosità delle incubatrici che riducevano la probabilità di sopravvivenza dei prematuri.
In Usa la ditta Soundsense e altre sono lì a insonorizzare, per metterci una cospicua toppa che promette l’”effetto paradiso” e negli ultimi dieci anni ha visto lievitare gli affari del 40%.
Il limite dell’insonorizzazione per la gente normale sono gli alti costi.
Che fare, dunque? Basta fermarsi nel silenzio frapposto tra gli spazi dello stridore dei grilli.
E sì, come dalla scoperta di un medico pavese, Luciano Bernardi, secondo cui più dell’ascoltare musica è rilassante la pausa tra un brano e l’altro, ossia i vuoti infra i brani musicali, e non i suoi pieni.
Dunque, che fare? Il mugugno non basta.
E così l’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg tempo fa ci provò. Dispose che i policemen andassero in giro con una pistola acustica a registrare il rumore dei cantieri, dei locali e degli scappamenti delle auto. Chi sgarrava, doveva pagare.
Il silenzio e la movida.
Movida = Insonnia
Decibel e Alcool, nessun compromesso.
E del diritto al silenzio? Negato.
Una provocazione: che nasca una imprenditoria del silenzio! Si stabilisca un sovrapprezzo per mangiare e bere e parlare in luoghi silenziosi, come nei club inglesi!!!
Il silenzio dell’inadeguatezza.
Questo senso di inadeguatezza dell’adolescente minaccia la fiducia in sé. Ad esso si risponde con una forma auto conservativa, quella del ritiro dal mondo, Hikikomori. L’esplosione delle emozioni, paura, rabbia, autolesionismo vi possono corrispondere, ma sono conseguenze dell’autoisolamento.
Come se il contenitore non potesse più contenere le domande.
L’Hikikomori sta tra una scelta personale, e non psichiatrica, e una scelta di opposizione passiva al gruppo, una forma di resistenza contro l’ordine sociale in Giappone.
Questa posizione in una società confuciana, quella giapponese, dove l’inibizione di sé a tutto favore del rafforzamento del senso del gruppo, il wa, l’armonia di gruppo, è una scelta traumatica.
L’interdipendenza tra disciplina, obbedienza, e rispetto delle tradizioni per il bene supremo preme come un macigno su una identità individuale il cui ruolo è pressato dal controllo del gruppo.
È una palestra in cui i nervi sono tesi sin dall’asilo e si conferma, come una lotta ai lunghi coltelli, per tutta una vita, nell’attività scolastica fino all’attività lavorativa.
L’altro, il membro del gruppo, è il riferimento da superare e da emulare, continuamente.
Dunque o vinci o ti separi e quando ti separi, semplicemente soccombi agli occhi della comunità. Non può esistere il fallimento personale!
Anzi, esiste ed è l’Hikikomori. Questo fenomeno rivela la parte in ombra del rosa ciliegio in fiore, giapponese.
seguirà__con ___ Il silenzio del ritiro
Immagini Free da Pixabay.com
Fonti
il silenzio in poesia
il silenzio come ricerca di sé
silenzio negato
eremiti attuali
silenzio anecoico
il disagio giapponese dilaga in italia
Sommario
Silenzio, ognuno a suo modo! Che ne è oggi del silenzio
Il silenzio… scelta personale di allontanarsi per centrare se stessi.. 8
Il mancato silenzio del secolo breve. 11
Silence, please! Sul pensiero di massa e sul silenzio
Il silenzio sul “silenzio”.. 13
Ritorno all’educazione estetica.. 15
Il silenzio è una merce di lusso.. 16
Il silenzio dell’inadeguatezza.. 18
Il silenzio dello “stare in disparte”.. 20
Le culture resistenti del silenzio.. 22
Tra scelta radicale e non del silenzio.. 22
Il silenzio degli eremiti senza 3.0.. 25
Il silenzio della sinistra.. 28
Il silenzio è una virtù o un vizio?. 30
Il frammento del silenzio.. 40