Thirteen Reasons Why: Netflix colpisce ancora

La serie tv tratta dal romanzo di Jay Asher e diventata sin da subito un vero e proprio fenomeno mediatico fa parlare di sé per la delicatezza delle tematiche trattate.

È impossibile non aver sentito parlare di Thirteen Reasons Why, la serie tv approdata su Netflix lo scorso 31 marzo, e diventata sin da subito un cult per le nuove generazioni (e non solo), al punto che è stata appena confermata la seconda stagione.

Successo a parte, la serie tv non è stata esentata da critiche. Discussa soprattutto perché affronta temi controversi quali il suicidio, connesso al bullismo e all’esclusione sociale, Thirteen propone una combinazione micidiale, soprattutto in America, laddove se sei un secchione o un timido entri automaticamente a far parte della cerchia degli sfigati.

Infatti, altre serie tv di successo ambientate nelle high school a stelle e strisce (si pensi soprattutto a Gossip Girl) ci hanno abituato alla popolarità e alla ricchezza, a “queen” viziate e circondate da “tirapiedi” disposte a tutto pur di far parte di quella cerchia ristretta di ragazze selezionatissime, perché se sei fuori non sei nessuno .

Thirteen Reasons Why parla di una ragazza che ha deciso di togliersi la vita, dunque fragile, disperata, che ha perso la lucidità e non vede altra via di scampo se non quella di mettere fine a un’esistenza che ritiene inutile.

Descrive, dunque, il ritratto di una generazione (quella dei teenager di oggi) devastata, allo sbaraglio, totalmente impreparata e priva degli strumenti adatti per affrontare quella che oggi più che mai è definita una piaga sociale, il bullismo, l’emarginazione.

“Colpa dei social network!”, esclameranno i più superficiali. E invece no, perché nella serie Netflix non c’è il benché minimo accenno ai social network. Sicuramente i social sono diventati uno strumento in più in mano a chi non trova di meglio da fare che rendere un inferno la vita dei suoi coetanei. D’altronde sappiamo bene che i ragazzi, se vogliono, possono essere molto crudeli.

Fino al decennio scorso, gli adolescenti avevano tempo e modo per fuggire da un’ambiente scolastico potenzialmente dannoso, visto che una volta tornati a casa si viveva in un ambiente protetto o comunque scelto, non imposto dagli eventi. Adesso, invece, anche oltre l’orario scolastico può continuare l’eventuale bullismo. Del resto oggi si parla più propriamente di cyberbullismo, più che di bullismo vero e proprio.

Thirteen Reasons Why è stata, inoltre, ferocemente criticata anche per la scena del suicidio, mostrata con una certa crudezza senza troppe remore.

Tuttavia bisogna considerare che Thirteen Reasons ha l’ambizione di lasciare un messaggio , e non di poco conto, quello di aiutare gli adolescenti in difficoltà, e un messaggio così esplicito non poteva che essere supportato da una sceneggiatura altrettanto mirata, anche se piuttosto cruenta. Non si poteva, dunque, evitare di mostrare l’atto suicida, senza indugiare troppo, senza tener conto della sensibilità del pubblico, perché in questi casi la realtà va mostrata nuda e cruda, senza troppi accorgimenti.

Ben venga, allora, la lama che affonda nelle vene e il respiro affannato che si dirada sempre più, ben venga l’abbraccio disperato di una madre che vede sua figlia esalare l’ultimo respiro.

Ma se Thirteen può davvero servire a qualcosa è proprio a spiegare ai ragazzi che il suicidio non è mai la risposta giusta in casi di bullismo o di disagio sociale e che bisogna saper chiedere aiuto.

Guardare la serie potrebbe aiutare anche i più grandi a colmare quel gap generazionale che molto spesso li rende incapaci di immedesimarsi nella quotidianità dei più giovani, ciechi di fronte a quei piccoli segnali di disagio che il più delle volte sfociano in tragedie irreparabili.

Carmen Camarca

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