Tiziano Terzani – L’uomo che metteva gli occhi agli alberi

Fiorentino di nascita, è stato spettatore e partecipe dei più importanti eventi storici del novecento, in veste di giornalista e scrittore. Il mito dell’esperimento comunista cinese fu per lui stimolo ad esplorare terre diverse e così lontane, non senza pagarne delle importanti conseguenze.

Assunto da una testata tedesca, si ritirò con la famiglia a carico proprio in Cina dove, dopo qualche anno, venne accusato di spionaggio e cacciato per sempre dalla sua grande e desiderata avventura. Questo evento portò una profonda ferita in lui ma non solo, come racconta ad un vecchio programma italiano “Carta Bianca”, ciò che si aspettava da questo nuovo sistema che doveva in qualche modo tutelare la povertà, l’emarginazione che tanto fu la storia della sua infanzia, non rispecchiò assolutamente il modello teorico-utopico che via via andava sfaldandosi.
Fu così che, travolto da un inguaribile male verso i sessant’anni, Tiziano Terzani inizia la sua metamorfosi da giornalista di guerra attivo nella vita socio-politica ad eremita ed asceta isolato dal mondo di cui aveva fatto parte. Da una vita di conferenze, cene e convegni, ad una piccola dimora sparso tra i monti, immerso nella natura e radicalmente cambiato nell’anima, lontano dalle vittime della guerra, si avvicina alle vittime dello spirito occidentale.

“Trent’anni d’Asia mi hanno convinto profondamente di una cosa, che il bello della vita è l’armonia degli Opposti…”

Ed è su questo concetto degli opposti che la sua vita prende una nuova piega: vegetariano, mistico, in veste bianca e barba folta, racconta presso la sua casa d’Orsigna, le sue ultime “audio-memorie” al figlio Folco; abilmente narra della sua infanzia, della sua giovinezza, del suo sentire.
Pone in alcuni alberi della sua casa, degli “occhi indiani” come rilascio pedagogico al piccolo nipote, il gesto significa per Terzani il tramandare che anche l’albero è un essere vivente con i suoi diritti e le sue funzioni e che se proprio un giorno bisognerà tagliarlo, bisognerà parlargliene e chiedergli scusa.

Le drammatiche vicende di cui è stato testimone: la morte, la guerra, la brutalità e l’essere scampato a più di una fucilazione hanno segnato intimamente la sua nuova natura. Così in pace con sé stesso da accettare perfino la morte come una fortuna piuttosto che una disperazione.

La generazione italiana ed europea ha perso un personaggio estremamente carismatico nel suo carattere duro tipico da “toscanaccio” ma altresì dolce, immensamente umile, spirituale ed aperto alla vita in ogni sua circostanza.

Le denunce contro un mostro occidentale sempre più americanizzato del cittadino medio che si affanna lavorando per comprare ed uccidere, quando perde la sua intera vita dietro a gioie effimere e materiali, hanno lasciato in chi lo ha conosciuto, seppur da lontano, un senso di tristezza ma di preziosissima ricchezza morale che va al di là di una semplice parola.

Un italico seguace della pace asiatica e mediorientale, fin troppo taciuto ai giovani d’oggi, dovrebbe in qualche modo rientrare all’interno non solo della letteratura attuale, ma anche in quella scolastica, al fine di diffondere il suo meraviglioso messaggio di vita, arrivato a noi incominciando da… “Un indovino mi disse”.

Valeria Fincato

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