Unione europea: la crisi dei partiti tradizionali e del “fare politica”. Spunti di riflessione.

Tra il 2015 e il 2017 in Europa si sono svolte numerose giornate elettorali. In Francia, Germania ed Austria si sono infatti tenute recentemente le elezioni politiche, mentre si continua a discutere sull’avanzare dei partiti di estrema destra, dei nazionalismi e dei populismi. E c’è già grande attesa per il confronto politico in Italia, la prossima primavera.

In Francia, è ancora oggi indubbio il trionfo di Emmanuel Macron e del suo movimento “En marche!”. In occasione delle elezioni politiche francesi – mentre l’Europa temeva la vittoria dell’estrema destra – Macron ha conquistato la presidenza, decretando il flop del Front Nacional di Marie Le Pen. Macron è diventato immediatamente il simbolo di una nuova Francia. Volto giovane della politica, Macron sembrava aver intercettato i voti dei francesi delusi dai partiti tradizionali. Ben presto, però, l’elezione di Macron ha disvelato il dato più importante: la vittoria dell’astensionismo.

L’Europa ha tenuto il fiato sospeso, anche in vista delle elezioni politiche tedesche. Durante la campagna elettorale, era già emersa una consistente perdita di consenso della Cancelliera Angela Merkel e della coalizione di Governo. Colpa delle politiche per l’immigrazione. Colpa di aver abbandonato la classe media o, piuttosto, quella parte di “paese profondo” – delle periferie urbane – i cui bisogni sono stati abilmente intercettati dall’estrema destra tedesca (l’AFD). Con il centro sostanzialmente debole e la socialdemocrazia di Schulz sull’orlo del fallimento politico, non ha dunque sorpreso – per la prima volta dalla sconfitta del nazifascismo – l’ingresso in Parlamento dell’AFD. La vittoria della Merkel non ha scongiurato uno spostamento verso l’ala di destra del Bundestag, dopo la decisione di Schulz di far assumere il ruolo di opposizione al partito socialdemocratico. In mancanza di una larga maggioranza, la Cancelliera Angela Merkel ha deciso di allearsi con il partito liberale di Lindner – portavoce di politiche anti – immigrazione e populiste, contrario in Europa al meccanismo del Fondo salva-Stati (Ems) – e i Verdi.

IL 15 ottobre scorso si è votato in Austria. Gli elettori hanno premiato Sebastian Kurz (anche detto il “nero”) dal 15 maggio leader del Partito Popolare austriaco. L’elettorato ha premiato ancora una volta, se non proprio un volto nuovo, un giovane dalle idee politiche apparentemente chiare – dall’immigrazione alla spesa pubblica – capace di ispirare un’aria di rinnovamento tra le file del partito popolare. Sebbene Sebastian Kurz si sia mosso all’interno di una formazione politica tradizionale sia per il programma sia per la sua età è stato capace di ispirare fiducia in quegli elettori (ancora una volta) delusi, insoddisfatti, preoccupati o sfiduciati rispetto alla capacità dei partiti tradizionali (e dei vecchi politici) di far fronte alle loro richieste. Alle elezioni austriache – come in Germania – la vera vittoria è stata però conquistata dal partito di estrema destra nazionalista, islamofobia ed euroscettica di Strache (FPOE, secondo partito con il 27,4% dei voti), acceso simpatizzante delle politiche anti – immigrazione. E non è un caso che l’Ungheria di Orbàn e i paesi di Visegrad hanno sin da subito manifestato la disponibilità di un dialogo politico e di un’alleanza con l’Austria.

In Italia, sembra oramai sorpassata l’età del successo politico dell’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi e dell’onda dei “rottamatori”. Poco tempo dopo, sarebbe nato e avrebbe acquisito ampio consenso il movimento di Beppe Grillo. In quella fase, i cittadini italiani, da una parte, si espressero a favore del processo di rottamazione promosso da Renzi – diventato prima segretario del Partito Democratico, poi Presidente del Consiglio – dall’altra, si lasciarono catturare dai comizi dei neonati grillini (i c.d. “Vaffa Day”) contro la politica. L’Italia, stanca dei “soliti noti”, esigeva una rottura con la vecchia dirigenza politica.

Arriviamo al 2017. In Italia, dalla disfatta del Referendum agli scandali di Banca Etruria sino al “cerchio magico fiorentino”, da tempo è stata decretata la fine della magia rottamatrice, mentre il M5S continua a conquistare consenso, ma anche a perdere terreno. Non sorprende, dunque, il ritorno di Berlusconi, le novità di Salvini imposte al partito – non più Lega Nord, ma Lega – l’avanzare delle destre nazionaliste e populiste – come Fratelli d’Italia e Forza Nuova (ad Ostia, per esempio Casa Pound si è aggiudicata più di circa 5mila voti). Gli Italiani, in parte scettici nei confronti dei partiti tradizionali – la vittoria delle destre alle regionali siciliane è stata possibile solo grazie ad un’ampia coalizione e il M5S si conferma secondo partito – ora sembrano non voler più sentir parlare di rottamazione. E davanti ad una sinistra divisa e un centro-sinistra “divisivo”, il minestrone delle destre riconquista consensi.

I cittadini europei hanno dimostrato dunque di voler premiare, ora il volto “nuovo” della politica – in grado di rompere con i tradizionali schemi politici o di rinnovare “dall’interno” classi dirigenti “arrugginite” – ora i movimenti antipartito – a prescindere dal reale peso politico dei programmi – fino a cedere consenso agli estremismi per punire i grandi partiti moderati, oggi più che mai distanti. E non importa quanto sia populista quel leader o quella politica. Se nazionalista? Meglio ancora, perché saprà come tutelare gli interessi nazionali.

Tra similitudini e differenze, in Europa movimenti, partiti estremisti e populismi conquistano terreno. Resta ancora una partita rischiosa da giocare in Italia. Mentre in Spagna, dove il Premier Rajoy continua a mantenere il pugno di ferro per far fronte alla crisi politica con la Catalogna, si attende l’esito delle elezioni indette il 21 dicembre nella regione e il Governo è costretto a “buttare la polvere sotto il tappeto”. Governo, accusato di essere uno dei più corrotti dalla dittatura di Franco.

Fare allora una previsione è una mossa azzardata, tante sono le variabili in gioco. È chiaro però che è palpabile oramai da tempo una crisi della politica e del modo di far politica in Europa.

Chiara Colangelo

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