AJ Cryboi: “tendo all’infinito, al tutto o al niente, non esiste una via di mezzo per me” – INTERVISTA

AJ Cryboi
“L’Ultima Spiaggia”, il nuovo album di AJ Cryboi, rappresenta un punto di svolta per l’artista, una necessaria fase di transizione tra il passato e il futuro musicale che lo attende con la band.
L’album si sviluppa tra atmosfere malinconiche, lo-fi, trap e accenni rock. “L’Ultima Spiaggia” è un titolo simbolico: richiama l’idea di un punto di non ritorno, ma anche quella della musica come via di fuga, come riscatto personale e ascensore sociale per chi cresce in un contesto periferico e complesso. È il bivio tra il lasciarsi sopraffare dalle difficoltà e il trasformarle in un’opportunità attraverso l’arte e la musica.
AJ Cryboi, nome d’arte di Angelo Cannizzaro (Modica, 18 aprile 1997), è un rapper, musicista, fonico e compositore italiano. Nel 2016 partecipa al ‘’Give Me That’’: Mixtape di un collettivo locale con le nuove sonorità Trap, registrando e lavorando al sound design del disco come fonico. Dopo il trasferimento a Bologna inizia a pubblicare i suoi singoli d’esordio, ripubblicati nel 2019 nella raccolta “Vorrei Sparire”. Nel 2021 esce una nuova serie di singoli, tra cui Antisocial club e Banconote, inseriti nella nuova raccolta Cryboilife. All’inizio del 2022 pubblica Charme, che anticipa il re-drop di Cryboilife. Tra il 2022 e il 2024 si dedica alle attività in studio, tra Bologna, Modica e Milano, fondando la sua etichetta ‘’Laborius Ent’’. Nel 2024 trova un accordo con “La Crème Records” e il 18 aprile 2025 pubblica il suo nuovo album “L’ultima spiaggia”.
Intervista a AJ Cryboi a cura di Miriam Bocchino
- Buongiorno Angelo. “L’Ultima Spiaggia” è il tuo nuovo album, disponibile dal 18 aprile. Mi racconti il progetto?
Come sound il progetto segue un filone che ho portato avanti per diversi anni, ovvero quello della lo-fi music e chiaramente ci sono anche tante derivazioni trap. Io sono un musicista, suono da quando ho 11 anni e, fortunatamente, sono riuscito a trovare nel linguaggio lo-fi un compromesso che stesse bene sia con quello che vuole il mercato che con quello che piace a me. Tutto è partito da quando XXXTentacion ha fatto uscire l’album ’17’ che più o meno era quel sound là. Da lì ho sviluppato un sound mio con un po’ di sample Shiloh Dynasty.
In “L’Ultima Spiaggia” ho integrato il sound lo-fi anche alla trap; penso che la trap che è stata inserita sia più coerente rispetto a quella dei miei primi due album.
- Il termine “Ultima Spiaggia” nell’intercalare significa anche “ultima possibilità” e tu stesso sul comunicato scrivi “la musica come punto di non ritorno” ma anche come “via di fuga e riscatto”. Allora ti chiedo: riscatto e via di fuga da cosa?
Sicuramente da una situazione un po’ complicata. Sono nato in una famiglia normalissima, non ricchissima, in cui la situazione economica è stata sempre un po’ precaria.
Non avendo una situazione molto favorevole, si cerca di scappare, si prova ad utilizzare la musica come ascensore sociale. “L’ultima spiaggia” è intesa come l’ultima possibilità per cercare di fare quello che si vuole veramente.
- “Questo disco sarà molto probabilmente il mio ultimo album puramente rap, almeno per ora” hai dichiarato in un’intervista di un anno fa: sarà così?
Nell’ultima traccia dell’album, nel finale, è presente un piccolo spoiler di quello che ci sarà dopo. La traccia è “La guerra” e nel finale parte uno stacco rock che non c’entra niente con tutto il resto dell’album, l’unica parte rock suonata.
Il prossimo step sarà un progetto fatto con la band. Sono entrato in una fase della mia vita dove ho riscoperto quelle che sono le mie origini, perché, come ti dicevo prima, sono un musicista prima di essere un cantante, di essere un rapper.
Per me il rap è stato una porta del retro. Quando nel 2016 uscì Sfera Ebbasta, la band andò, come si direbbe a Roma, a ‘sfaciolasse’, tra università e impegni e quindi mi sono detto ‘il rap è la soluzione migliore in questo momento’. Però crescendo, ormai ho 28 anni, mi sono reso conto che non posso fare per tutta la vita questo, perché non è quello che realmente credo che mi rappresenti. Non voglio dire che chiudo definitivamente col rap perché il rap è una skill, quindi le influenze rap ci saranno sempre in quello che faccio.
Probabilmente usciranno altri album da solista ma non saranno puramente rap. Per questo “L’Ultima Spiaggia” lo considero il mio ultimo album puramente rap perché, ormai, ho raggiunto una maturità artistica che mi fa pensare che devo fare quello che voglio fare io, non fermarmi alla forma che può piacere al ragazzino su TikTok.
- La periferia spesso dagli artisti viene dipinta in modo positivo e come leva per la loro musica: per te è stato lo stesso? Quanto ha inciso sulla tua musica il trasferimento a Bologna?
Sicuramente ha inciso tantissimo spostarsi da Modica, che è una città piccola nel sud della Sicilia, a una città con una storia rivoluzionaria come Bologna. Mi ha cambiato tanto perché avendo frequentato i centri sociali, persone estremamente anticonformiste, mi ha dato quello spirito ribelle che oggi mi porto ma che già c’era prima.
Ti racconto un aneddoto: quando ero al liceo scientifico ho partecipato alla Rete degli Studenti Medi che è un comitato studentesco per organizzare le manifestazioni. Fondamentalmente io ne prendevo parte perché volevo trovare delle date in cui suonare con la band, però poi ho conosciuto un ragazzo che mi ha fatto entrare meglio negli argomenti e sono diventato più rivoluzionario, più ribelle. In un momento in cui la scena musicale era Milano, la mia priorità era andare controcorrente, la mia missione era riportare in alto Bologna. Poi, ovviamente, sono i sogni di un ragazzino, avevo 18-19 anni, ma è un po’ il manifesto di quello che è il mio carattere.
Tra l’altro a Bologna ci tengo a dire che ho realizzato un piccolo sogno: il primo anno che sono arrivato, uno dei miei amici più grandi di Modica mi ha detto ‘devi assolutamente collaborare con Inda’, che è un amico di DrefGold, e finalmente quest’anno con ‘Plastica’, una traccia dell’album, sono riuscito a fare un remix con lui. Mi è piaciuto tantissimo, mi ha fatto una strofa che sembra Neffa ai tempi d’oro su un beat mio, cioè proprio stile bolognese dei portici.
Infine, è anche un discorso di possibilità. Se fossi andato a Milano me la sarei passata veramente male economicamente, i miei mi hanno aiutato a Bologna, mi hanno dato una mano, ma non avrebbero mai potuto farlo a Milano. C’è un pezzo dove dico ‘mia madre e mio padre mi hanno dato tutto senza avere niente’ e questa è una cosa che ritengo vera.
- In “Fiori sul Marciapiedi” canti “Ancora corro, per il mio sogno, ormai ho uno studio ed è un lavoro e non ho un altro lavoro, anche se penso che c’ho l’ansia per il futuro”: come gestisci l’ansia e la mancanza di un piano B?
In realtà il piano B l’ho realizzato ed è lo studio. Di base il mio piano A è sempre quello di riuscire a sfondare con la musica, di vivere di tour, di merchandising, di ADV, attività tipiche degli artisti. Quindi il mio piano B era lo studio e l’ho realizzato al cento per cento.
L’ansia la gestisco confidando molto nelle mie capacità. Tra l’altro ora è successa una cosa bella: mi ha chiamato l’assessore del mio comune e mi ha dato un laboratorio di songwriting da tenere in un museo dietro una chiesa storica. Mi sento troppo fortunato perché non è scontato ricevere un impiego da un’istituzione, non lo posso neanche considerare come un altro lavoro perché effettivamente mi stanno dicendo semplicemente di fare quello che faccio ora, c’è tanta sinergia tra il laboratorio e il mio studio, la considero come un’unica cosa.
- La focus track del disco è “Vestiti falsi”. Nel brano si racconta la quotidianità di un ragazzo di quartiere, dove il business della vendita di capi contraffatti è vissuto come qualcosa di normale, naturale e necessario. Come te lo spieghi il perché spesso in contesti più periferici e marginali si vive con il bisogno di indossare marchi contraffatti? Un modo per credere di vivere una vita migliore almeno apparentemente?
Questa è una domanda che mi ha fatto venire la pelle d’oca.
Penso che tante volte mettere un capo anche originale, però di marca, ti fa sentire migliore agli occhi degli altri quando sai che c’è una mancanza.
Io, per esempio, sono cresciuto con il mito che il milionario esce in tuta e con la maglietta ‘scrausa’, mentre il poveraccio indossa i marchi firmati. Secondo me, questa è puramente una sorta di evasione dalla realtà che tante persone vivono, perché agli occhi degli altri devono farsi vedere potenti. È un po’ come il bullo che a scuola bullizza i ragazzini più piccoli di lui perché a casa ha una situazione difficile.
Secondo me chi si veste in questo modo senza poterselo permettere, addirittura utilizzando vestiti falsi, è per dimostrare al mondo una superficialità che va a compensare quello che gli manca nella vita reale.
- Nel brano “La Guerra” canti “facciamo la guerra per trovare la pace”. Mi sembra quasi come un bisogno di auto – distruzione, un sentirsi vivi solamente sbagliando e soffrendo. Tu riesci a trovare questa pace nella musica o questo bisogno ti è rimasto?
È assurdo come veramente, in qualche modo, leggendo questi testi sei riuscita a cogliere tanti aspetti di me che persone che mi conoscono non sanno.
Sì, io sono una persona che quando non ha un problema se lo cerca.
Ti faccio un esempio: avevo una relazione al liceo che andava bene, durata anche tanti anni. Io per mettere un pochettino di peperoncino sono andato ad Amsterdam e ho tradito la mia ex, senza dirle niente, senza parlarne con gli amici, proprio per dire ‘ok va tutto troppo bene, facciamo la cazzata’. Ovviamente questa è stata una cosa mi ha fatto capire tanto, mi ha fatto comprendere come non si trattano le persone e di conseguenza penso che sia stata necessaria per fare funzionare la mia relazione di adesso. Però anche nella vita in generale sono così, devo avere un fuoco per andare avanti e possibilmente quel fuoco è un disagio che mi procuro io stesso se non ce l’ho, perché se è tutto ok tendo ad annoiarmi. Crescendo sono riuscito a trovare dei problemi sempre meno distruttivi ovviamente.
Non credo che sia stata la musica a esorcizzare questa mia attitudine, penso che sia stato crescere che mi abbia aiutato a gestirla, senza compromettere troppo gli aspetti della mia vita personale.
- Su “Instagram” leggo nella bio: “punkabbestia romantico” e anche il tuo nome d’arte rimanda alla fragilità che io vedo come una grandissima forma di romanticismo perché vuol dire riuscire a empatizzare e a vedere il mondo oltre le apparenze. Oggi che cerchiamo in ogni modo di mostrarci forti e invincibili quanto è complesso essere romantici?
In realtà per me non è complesso. Al liceo abbiamo studiato il Romanticismo e mi ha colpito tantissimo questa propensione all’infinito dei poeti romantici, quindi in un certo senso romantico inteso proprio come movimento letterario. Io mi sento uno di quelli che tende sempre all’infinito, tende al per sempre, al tutto o al niente, non esiste una via di mezzo per me, anche questa attitudine al dovermi trovare un problema per andare avanti la vedo come una sorta di romanticismo personale, una relazione complicata con me stesso. E romantico lo intendo tanto anche come modo di fare nelle relazioni.
Mi piace differenziarmi non solo da un punto di vista artistico, ma anche di pensiero, di comportamento. Voglio, però, anche essere un punkabbestia: immagina se Giacomo Leopardi lo avessi conosciuto fuori dall’XM24 a Bologna prima che chiudesse.
Sono controcorrente e mi accontento delle situazioni piccole, anche se potrei chiedere di più.
- Il tuo primo ricordo legato alla musica?
La volta in cui ho capito che la musica poteva piacermi tantissimo è stata quando giocando alla PSP, al gioco ‘Rock Band Unplugged’, ho scoperto che le canzoni con cui giocavo erano anche su YouTube.
Guardando il video del brano di Bon Jovi ‘Livin on a Prayer’, con le chitarre, l’estetica con i capelli lunghi, i microfoni, gli assoli, mi sono detto ‘wow, questa roba deve essere il mio lavoro quando sono grande’, da lì poi mi sono iscritto al corso musicale alle medie, ho cominciato a suonare la batteria e poi tutto in divenire. Il momento in cui si è accesa la scintilla è stato guardare quel video dei Bon Jovi, senza se e senza ma.
- Un sogno nel cassetto?
Hai presente i concerti gratuiti che fanno i mega record, tipo Lady Gaga, concerto a Rio de Janeiro, due milioni di persone? Più o meno una cosa simile però, invece di Lady Gaga, suono io. Ovviamente è un sogno gigante, però ci dobbiamo mettere nelle condizioni di sognare, perché la vita è complicata e se uno non ha la benzina non può far andare avanti la macchina.
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