“Amara” di David Mastinu al Teatro Garbatella: la recensione

Amara
“Un sogno vale meno di un bisogno.”
È stato in scena al Teatro Garbatella di Roma lo spettacolo “Amara” , scritto e diretto da David Mastinu, prodotto da Stefania Curci (Golia Srl).
La pièce con protagonisti Nadia Rinaldi, Stefano Ambrogi, Martina Zuccarello, Germana Cifani e Michele Capuano, è ambientata nei primi anni ’50.
La fine della seconda guerra mondiale con le esplosioni che hanno causato distruzione e al contempo nuove costruzioni ha creato una frattura tra chi vive nelle borgate che circondano Roma e chi all’interno della città.
La vita nelle borgate è fatta di povertà, fame, dolore. Baracche di legno e lamiera diventano “beni” da contendersi in una lotta tra poveri che lascia vinti anche i vincitori.
Tra le vie logore si svela “Amara”, una storia di disillusione, ferocia, povertà ma anche una narrazione che lascia un fremito di speranza.
Scopriamo Renato (Stefano Ambrogi), un uomo rude, brutale, incapace di amare. Con lui la moglie Teresa (Nadia Rinaldi), costretta a prostituirsi per garantire la sopravvivenza. Teresa è vittima dell’uomo, ripaga con il corpo i suoi debiti, è una donna incapace di trovare la salvezza tra la polvere e i cattivi odori.
Accanto a Teresa c’è Maria (Martina Zuccarello), venuta dal sud e orfana. Maria è stata adottata da Teresa e vive nella sua famiglia. Apparentemente innocua e assuefatta alla vita, in lei c’è ancora, forse anche grazie alla giovane età, la speranza di riuscire a ribaltare un destino che appare già scritto. L’incontro con Pierpaolo (Michele Capuano), un giovane scrittore dalle belle maniere che si reca quotidianamente nelle baracche per scoprire il popolo dei “poveri”, darà a Maria la spinta necessaria a compiere un gesto fatale.
Vicina di baracca è Rosa (Germana Cifani). La donna è finita nella borgata a causa del bombardamento del 19 luglio del 43 in cui perse la casa di San Lorenzo. Rosa vive nella povertà insieme al marito, un uomo buono, e i suoi figli. Rosa è attivamente cambiamento, vuole riprendere in mano la sua vita e trasferirsi nei palazzi di nuova costruzione.
Le tre donne decidono che è giunto il momento di cambiare, di provare a sovvertire il dominio dell’uomo e della vita, utilizzando l’astuzia.
Ma solo l’intelligenza, forse, può cambiare le leggi della violenza e della forza e sarà Maria a invertire un’esistenza che pur sembrando prestabilita può essere ancora in divenire.
“C’è qualcosa di più forte della forza, l’intelligenza”: queste le parole pronunciate a Maria da Pierpaolo che susciteranno in lei una riflessione profonda.
Pierpaolo è la scintilla in grado di far comprendere come se pur, normalmente, si è inermi difronte alla vita che ci è capitati, in realtà l’esistenza può mutare ma solo attraverso un’azione concreta.
L’universo descritto e raccontato dal regista è quello dei poveri che attendono disillusi la loro fine ma che restano, tuttavia, esseri umani pulsanti. Le emozioni, pur se nelle realtà più complesse, si tramutano in violenza innaturale e inutile, possono se stimolate con intelligenza diventare atto concreto e vitale.
“Amara” è un’opera con buoni elementi testuali e registici ma che appare ancora allo stato embrionale, incapace di raccontare con profondità una società così complessa come quella delle borgate.
Nel cast emerge senz’altro Martina Zuccarello che si distingue per la sua capacità di rimanere interamente nel personaggio rappresentato e divenire veritiera. Un merito va anche a Stefano Ambrogi. Nadia Rinaldi, al contrario, non appare convincente, non riuscendo ad elevare mai Teresa da un ruolo che, se pur da protagonista sul copione, appare marginale sul palcoscenico.
Costumi di Alessio Pinella e scenografia di Cristian Carcione.