“Bartleby lo scrivano” al Teatro Quirino con Leo Gullotta: la recensione

Bartleby lo scrivano - Leo Gullotta (ph Luca Del Pia) 2-min

Bartleby lo scrivano - Leo Gullotta (ph Luca Del Pia) 2-min

Al Teatro Quirino fino al 3 aprile è in scena lo spettacolo “Bartleby lo scrivano” di Francesco Niccolini, con la regia di Emanuele Gamba, liberamente ispirato al racconto di Herman Melville “Bartleby: the Scrivener. A story of Wall Street”.

L’opera di Herman Melville fu pubblicata inizialmente in forma anonima in due parti sulla rivista Putnam’s Magazine nel 1853 e successivamente fu inclusa nella raccolta The Piazza Tales nel 1856. “Bartleby: the Scrivener. A story of Wall Street” è uno tra i racconti più famosi della letteratura nordamericana, considerato precursore della letteratura esistenzialista e dell’assurdo.

“Bartleby lo scrivano” in scena al Teatro Quirino si presenta nel testo complesso pur se semplice nel linguaggio e nella rappresentazione.

Bartleby lo scrivano – ph Luca Del Pia

Un ufficio, tre dipendenti, una donna delle pulizie e un avvocato (Dimitri Frosali): la routine quotidiana scorre placidamente tra “scartoffie e diatribe”.

I dipendenti, ovvero Turkey (Massimo Salvianti), Nippers (Andrea Costagli), la signorina Ginger (Lucia Socci) a cui si unisce Rita la donna delle pulizie, sembrano seguire quasi uno schema prestabilito.

Turkey è l’uomo efficiente al mattino ma distratto dopo pranzo, Nippers, al contrario, soffre di mal di testa al mattino ma lavora bene nel pomeriggio, la signorina Ginger è innamorata del datore di lavoro e Rita (Giuliana Colzi) è una maniaca dell’igiene.

L’avvocato è il narratore principale eppure ugualmente esterno: racconta ciò che vede e immedesima lo spettatore nel suo punto di vista.

L’ordine viene rotto dall’arrivo del nuovo copista: Bartleby.

Bartleby, interpretato da Leo Gullotta, perfetto nella corporatura e nella gestualità, appare indifeso, gracile ed estremamente efficiente nel suo trascrivere. L’uomo, tuttavia, è anche eccentrico nei comportamenti: guarda spesso in aria, parla poco, non racconta nulla di sé e alle richieste e alle domande di tutti risponde quasi sempre con “avrei preferenza di no”. Se prima l’affermazione sembra, per pubblico e per i personaggi in scena, una stranezza quasi “simpatica” con l’avanzare della storia inizia a lasciare sgomenti.

L’avvocato appare inerme di fronte a Bartleby: non sembra comprendere come reagire con  accanto un uomo “nudo nel suo essere sincero e bisognoso”.

“Una gentilezza cadaverica che mi disarma” con queste parole l’avvocato descrive le sue sensazione al cospetto di Bartleby.

Bartleby lo scrivano – ph Luca Del Pia

Ma chi è lo scrivano? Cosa rappresenta oggi per il pubblico? È un uomo solo, una persona che si è persa nei suoi pensieri o un essere umano abbandonato dalla società?

“Questo uomo mi confonde e mi fa male”. Lo spettacolo lascia quel male, lo trasforma in interrogativi, in domande insolute che non possono trovare risposta nel testo di Herman Melville e di Francesco Niccolini e nell’interpretazione egregia degli attori.

“Mi verrebbe da chiedergli scusa perché lui sembra un relitto in mezzo all’oceano”.

“Bartleby lo scrivano” è un’opera surreale, evanescente nel suo fluire eppure ha la grande capacità di lasciare dei “punti sospensivi” pur quando la storia termina in modo inesorabile.

Può la figura di Bartleby oggi essere manifesto di una sofferenza e di un quesito comune? La realtà sociale che ruolo ricopre nella salvaguardia dei più deboli? Si può salvare chi si è smarrito nei meandri della mente e vuole solo “esistere” senza più chiedere nient’altro che vivere di un raggio di sole?

 

Scene Sergio Mariotti

Costumi Giuliana Colzi

Luci Marco Messeri

Fotografie: ph Luca Del Pia

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