Roma, il caso del Baobab: quando l’accoglienza si regge sul volontariato

Entrando al Baobab Experience colpisce l’odore acre del fumo. I migranti ospiti del presidio accendono dei fuochi di fortuna per riscaldarsi. Il Baobab si trovava in via Cupa, in prossimità del Verano. Oggi si trova in via Gerardo Chiaromonte. Il presidio è nascosto dalla grande e moderna struttura della stazione Tiburtina. Coesistono due realtà estranee e soltanto idealmente distanti l’una dall’altra. Davanti c’è la Tiburtina battuta dal traffico quotidiano, dietro, superato il parcheggio fs, il presidio. Sono numerosi i volontari che prestano aiuto ai tanti migranti alloggiati nelle tende: ragazzi, scout, medici e avvocati. Soprattutto nel fine settimana puliscono l’area, sistemano le tende, distribuiscono i pasti, offrono l’assistenza sanitaria e legale necessaria.

La grande assente è l’amministrazione capitolina. Assenza confermata da un ‘veterano’ del presidio, Andrea Costa, che da 3 anni aiuta i migranti che trovano rifugio al Baobab. Andrea vive quotidianamente in prima persona le falle dell’accoglienza, testimone dei numerosi sgomberi subìti dal presidio. È al Baobab che ci si rende conto del ruolo chiave dei volontari e delle donazioni dei cittadini.

Il Baobab nasce principalmente per accogliere i transitanti, coloro che arrivano in Italia ma vogliono lasciare presto il Paese per raggiungere altre destinazioni europee. La tendopoli del Baobab ospita migranti provenienti per lo più dalla Somalia, dall’Eritrea, dall’Etiopia, dalla Nigeria, dall’Egitto o dalla Costa d’Avorio. La maggior parte di loro è in Italia da più di cinque anni, ma c’è anche chi è arrivato dieci anni fa. Ci sono donne, bambini e ragazzi, alcuni sono fuggiti dal proprio Paese e sono rifugiati, altri, invece, sono venuti in Italia alla ricerca di un lavoro, che però hanno perso o non hanno mai trovato.

Capita, a volte, che il vestiario non sia sufficiente per tutti. Si litiga per quel poco che si possiede, come un ciocco di legno per tenere vivo il proprio fuoco. La notte è umida, il freddo e la pioggia delle ultime settimane mettono ogni giorno alla prova i migranti.

Prima di raggiungere Andrea, incontro F. ospite del Baobab, costretto a trascorrere la giornata al presidio per i pasti. F. è in Italia da oltre 10 anni, quando ha lasciato la Macedonia con la sorella e il padre. Racconta di non poterne più. È ospite di un centro di accoglienza notturno del Comune, non lontano dal Baobab. Quando era più piccolo ha subito abusi dal padre, dal quale però è riuscito a fuggire. Con lui anche la sorella, che è finita in un centro psichiatrico. Nonostante tutto, F. ha preso il diploma alberghiero ed è alla ricerca di un lavoro e di una nuova vita. Nel frattempo ha scoperto di essere omosessuale, un altro motivo per il quale vorrebbe lasciare presto il presidio, “perché la sua omosessualità non è ben vista da alcuni migranti”. Affranto dice che se solo potesse, lascerebbe l’Italia.

Intanto si avvicina M., un ragazzo di origini egiziane, incuriosito dalla telecamera e dal microfono. Ha da poco compiuto diciotto anni. Prima di arrivare al Baobab è stato ospite in tre case famiglia, l’ultima a Rieti. Parla di quei giorni con nostalgia, mentre senza rendersene conto oggi è costretto a fare l’adulto. Vorrebbe lavorare come meccanico e, ogni giorno, va alla ricerca di un’officina. Ma per ora – racconta – non è riuscito a trovare il lavoro che sperava.

Attualmente al Baobab vengono ospitati sia migranti regolari che irregolari, grazie a un accordo tacito con la Questura e il Comune. Dagli ultimi sgomberi di via Curtatone, di Cinecittà e di via Cupa il presidio offre riparo, assistenza e almeno un pasto al giorno a persone in attesa di un alloggio. A Roma da mesi non si parla più del ‘piano casa’ e tutto tace su situazioni limite, come quella del Baobab.

Chiara Colangelo

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