Men who rape. La trasversalità sociale: dalle molestie sessuali allo stupro
Si tratta di una riflessione per ragionare sulle donne, le molestie sessuali e lo stupro. Era la metà degli anni ’90 e mi trovai a scriverne per un dibattito pubblico.
Da allora ad oggi, ricavatene le considerazioni su cosa è cambiato.
Nel dibattito pubblico si è alzata l’asticella dell’attenzione, al di là delle leggi cambiate o comunque rafforzate contro i reati sulle donne?
Ogni fatto riferito di cronaca di allora sembra rimandare alla copia di altri fatti di cronaca dell’oggi.
La meraviglia che mi ha colto rileggendo è stata la delusione di scoprire che nell’immaginario del nostro vivere sociale poco o niente si sia modificato.
Si tratta di una riflessione per ragionare sulle donne, le molestie sessuali e lo stupro. Era la metà degli anni ’90 e mi trovai a scriverne per un dibattito pubblico.
Da allora ad oggi, ricavatene le considerazioni su cosa è cambiato.
Nel dibattito pubblico si è alzata l’asticella dell’attenzione, al di là delle leggi cambiate o comunque rafforzate contro i reati sulle donne?
Ogni fatto riferito di cronaca di allora sembra rimandare alla copia di altri fatti di cronaca dell’oggi.
La meraviglia che mi ha colto rileggendo è stata la delusione di scoprire che nell’immaginario del nostro vivere sociale poco o niente si sia modificato.
Avvio. Antefatto.
Da una lettera di un’adolescente ad una rivista, Lupo Alberto Magazine:
<<Non sapevo a chi rivolgermi. Se l’avessi raccontato a mio padre o a mia madre li avrei solo imbarazzati, di mio fratello mi vergogno, i miei amici avrebbero riso, i professori ‚ come se non ci fossero.
Sai, doveva essere un giorno normale come tutti gli altri… Ero alla fermata dell’autobus, stracolma di gente. Ero lì in mezzo a quel casino che odio, con le mani in tasca, che pensavo ai fatti miei, a testa bassa e sguardo fisso sul marciapiede.
Mi si avvicina un uomo, sui 40, occhiali, barba e capelli rossicci, sul metro e 55, che si teneva il giornale davanti alla cerniera dei pantaloni. Io mi giro un attimo per vedere chi era, quello scosta il giornale e io vedo tutti i suoi attributi maschili.
Ho girato la testa di scatto, ho guardato un ragazzo accanto a me e indietreggiato di qualche passo. Sembrava uno normale… Non sapevo che fare, so solo che ho tenuto la testa alta e gli occhi fissi davanti a me, cercando stupidamente di fare finta di niente, mentre nessuna persona di quella folla si era accorta di niente.
Poi è arrivata un’altra ragazza come me, sui 15, 16 anni, e si è messa accanto al maniaco, quando si è accorta di quello che stava facendo si è girata, mi ha guardata, era bianca come un lenzuolo.
Entrambe ci guardavamo intorno; cercavamo gli occhi della gente, ma tutti erano come muri, che nemmeno una bomba riuscirebbe a buttare giù. Forse avremmo dovuto entrare in un bar e chiamare il 113, ma a questa decisione ci sono arrivata solo ora.
Arrivato l’autobus, ci siamo balzate su e “quell’uomo” è rimasto lì.
Spero tanto che una ragazza più coraggiosa di noi abbia fatto qualcosa per fermarlo. Credi che una persona così possa essere uno stupratore?
Se lo fosse, mi sentirei in colpa… Mi sento come una che ha perso, perché non sono riuscita a fermarlo… Quando mi succedono cose spiacevoli, ci sto male… Ti senti un niente, un punto fatto con un lapis e puoi essere cancellato senza nemmeno troppa fatica.
Ieri appena sono arrivata a casa ho cercato di provare a dimenticare che cosa era successo, che, in fondo, oggi certe cose sono normali (sciocca che non sono altro!), ho acceso lo stereo e ho ascoltato a tutto volume un disco degli U2. Non è servito a niente. Stasera ho deciso che dovevo parlare con qualcuno….. Allora ho pensato a te…>>.
Il “te” al quale si è rivolta la ragazza è un uomo che ha la stessa età (quasi) del “maniaco” (ma non ha niente da spartirci!), che curava la posta sulla rivista di Lupo Alberto.
Che pensare?
Beh, questa lettera può far riflettere su una serie di cose.
Innanzitutto ha smosso qualche flashback di memoria. Mi sono ricordata, li avevo rimossi, di essere stata “oggetto” di alcuni episodi di tale tipo di attenzioni maniacali, nell’arco di tempo che va dai 18, passando per i 22 fino ad arrivare ai 35. Fortunatamente “semplici molestie voyeristiche” ed un attacco alle spalle nell’androne del palazzo.
“Semplici” che quasi significa “normali”. Incidenti di percorso quasi dovessero essere obbligatori come la vaccinazione!
Ma non vi pare assurdo che una famiglia, una scuola, una società civile, che si assume l’onere di salvaguardare la tua salute fisica con le vaccinazioni, poi finisce per non riuscire a salvaguardare la tua salute mentale, quando sei ancora troppo giovane per trovare l’azione giusta a quel chiedersi “Che fare?”.
Per riuscire a dare una possibilità di far crescere quel giusto equilibrio da non far sentire persa una giovane donna di fronte ad un uomo che con il triplo dei suoi anni approfitta proprio di quella inadeguatezza?!
Pensiero omologante di chi sta intorno.
Bene, che dire allora della “gente” che non si accorge di nulla, che non viene in aiuto, anche quando è consapevole che un intervento potrebbe sciogliere un nodo di angoscia nella “vittima” di apprezzamenti verbali o “visivi”, rimasta attonita.
Oggi, in fondo, certe cose sono normali? Si estendono a macchia d’olio, denunciati o meno le aggressioni, gli stupri, fanno scalpore, commuovono anche, se c’è una morte, ma lasciano quasi indifferenti, se rientrano in questa “nostra normalità”.
Media e violenza sulle donne.
Qualche trafiletto di articoli su quotidiani riporta, per es.: Assunzioni a luci rosse (dicembre ’92, La Repubblica):
La frase che apriva il colloquio per l’assunzione come impiegata o segretaria era “Cercami la clip nelle mutande, è un nuovo test americano”. Si trattava di donne sotto i 25 anni alla ricerca di impiego che venivano sottoposte così al “test” da un imprenditore di quaranta anni con moglie e figli di Treviso con un’impresa commerciale di import-export.
“Se non hai tabù con il sesso, farò di te il mio braccio destro”, era la frase di rito per le più recalcitranti. Poi si passava alle masturbazioni o ai rapporti orali e dopo l’assunzione di quelle che avevano accettato la sfida le pretese continuavano.
Fino a che ci sono state due denunce ed è stato aperto il caso. Pare che ci sia anche una minorenne ed un nastro con la registrazione di uno dei tanti colloqui d’assunzione. La ragazza che ha compiuto la registrazione aveva concordato l’operazione con il Coordinamento femminile della CGIL di Treviso che ha poi consegnato la “prova” alla polizia.
Riflessione numero uno.
Il sindacato aveva chiesto di far passare sotto silenzio la vicenda, per non danneggiare le 400 ragazze coinvolte.
Orbene, di danno alle donne coinvolte, credo ne sia già stato fatto dal “sospetto” imprenditore. A cosa servirebbe il silenzio stampa? A far andare avanti le denunce e l’indagine o a coprire ulteriormente l’imprenditore e la responsabilità collettiva in questi accadimenti che qualcuno continua a dire esistenti da quando è nato il mondo. Ma il mondo cambia…
Altro fatto di cronaca.
Ancora un altro articolo su La Repubblica del 29/6/91 sul rinvio a giudizio del presidente dell’Avis di Roma per atti di libidine violenta ai danni di una giovane dipendente di 29 anni. Una mattina di un sabato in cui l’Associazione rimane chiusa al pubblico, il presidente dell’Avis di Roma chiede all’impiegata di sbrigare del lavoro arretrato.
Poi i contorni si modificano. Dalle domande di ufficio si passa a quelle sulla sua vita privata. La donna è single dopo la separazione dal marito. Forse è ridiventata terreno di conquista! Fino ad arrivare a chiederle come stava senza rapporti sessuali da lungo tempo. Da qui l’escalation di apprezzamenti, palpeggi e tentativo di aggressione non portata a termine. Poi la denuncia e il rinvio a giudizio. Il presidente si è difeso, in attesa del processo, sostenendo la falsità del racconto della donna e ha avanzato la tesi del complotto nei suoi confronti (per inciso, non so come sia andata a finire!)
Il controcanto dei media. Un nuovo stereotipo.
Sulla stessa pagina di La Repubblica appare anche un articolo, Aspra e Violenta La nuova donna arriva dagli USA, in cui si tratteggia il nuovo profilo di donna oltre Atlantico come quella che all’amore preferisce il sesso e il cui linguaggio è “though“, da dura.
Il post femminismo si colorerebbe di rivincita sul maschio.
“Il paese ha davanti a sé l’amazzone del 2000, la donna guerriero a cui è lecito tutto ciò che è lecito all’uomo e un po’ di più.”
Quel “po’ di più”, in cosa consisterebbe? Nell’esercitare quella libertà nel realizzare se stessi che non dovrebbe essere pensabile se non all’ombra di un uomo?
Sull’onda di questa “new woman”, la nuova virago degli anni ’90 e successivi, sono uscite fuori le denunce di Francis Conley, neurochirurgo della Sthanford University dimessasi perché il primario la palpeggiava in sala operatoria, col paziente sotto i ferri. Ella conduce sui giornali una battaglia contro il sessismo sul lavoro, più infuocata delle suffragette di ottanta anni fa.
Il giornalista considera: l’attrice Julia Roberts, protagonista di Pretty Woman, è un anacronismo, incarna un concetto superato della donna?
Si fa notare che il film “Pretty Woman” è un anacronismo di per sé, poiché finzione, ma come tutte le finzioni simboleggia una certa cultura che ha consacrato l’illusione dell’attesa del principe azzurro.
Ora è da vedere a quale anacronismo ci si debba riferire: a quello della donna che cerca un compagno o a quello della prostituta che diventa moglie (amata) di un manager?
Eppure anche in quel film, che fa parte di una cultura/ business maschile e non in cui si è irretito generazioni di donne con buon esito, c’era anche un tentato stupro, quello dell’avvocato del manager, amante di Pretty Woman, che incazzato con il suo potente socio in affari aveva deciso di fargliela pagare, umiliandolo attraverso il corpo di quella che in quel momento era la “sua” donna ed era colpevole del cambiamento nella “ferreità e spregiudicatezza” in affari del manager.
Lo stupro fallisce perché interviene il manager salvatore.
Riflessione numero due: ora cosa viene rimpianto?
L’anacronismo della donna che cerca un compagno o quello della prostituta salvata dall’uomo/ manager dalla strada e dallo stupro mancato da parte del socio?
Si parla delle “gang femminili”, al cui interno non ci sono uomini. “Non vogliono fare la fine delle loro madri, o sfruttate o dimenticate dai loro mariti. Non vogliono affidare la loro vita ad altre mani.”
“New women” sono poi…
le mogli dei soldati inviati contro Saddam e anche le soldatesse del Golfo Persico. La causa dei divorzi, in questo tipo di situazioni, tradizionalmente sono lo stress e la separazione. Ebbene oggi le mogli rimaste da sole hanno acquistato il gusto della libertà, della responsabilità e dell’autorità e i mariti non hanno accettato il cambiamento. Ancora molte donne soldato non sono riuscite a riadattarsi alla precedente vita familiare.
Cause del fenomeno sono da ricercarsi nelle istanze socioeconomiche dell’America del tempo e nella caduta parziale della tensione femminista.
C’è una contraddizione di fondo.
Da una parte si dice delle denunce del sessismo sul lavoro come di battaglie più infuocate di quelle delle suffragette di 80 anni fa e dall’altra parte si afferma che una delle cause del fenomeno delle “new women” è dovuta alla caduta parziale della tensione femminista.
A parer mio, si potrebbe dire “a causa di una rinascita della tensione femminista, anche nelle espressioni più radicali e oltranziste del femminismo americano di questo tempo”.
Quindi la riscossa e la rivendicazione dei propri diritti viene agita attraverso l’aggressività e i comportamenti uguali “a quelli degli uomini”.
Che sarebbe come ammettere che chi semina vento raccoglie tempesta…
Thelma e Louise.
Un film che pare essere diventato il simbolo di questa “new woman” e la sua parabola. Ossia la parabola della scoperta di se stesse da parte di due donne in un raro weekend di libertà, ma anche della loro dannazione, nel momento che per difenderla violano la legge.
Mi pare ci sia un omissis. Si parla di violazione della legge: è stato commesso un omicidio, dell’uomo che stava per violentare Louise. Ma stranamente questo tentato stupro viene “dimenticato” e si ricorda soltanto che le due donne fuggono perché hanno ucciso un uomo.
L’articolo si conclude: (la parabola è) un monito forse che non la violenza, ma la ragione sia l’unico strumento per infrangere gli schemi.
Riflessione numero tre.
A questo punto mi chiedo a quale “ragione” ci si debba appellare. A quella stessa che, per secoli, ha confermato lo stupro come costume normale di antichissime società e che, secondo Jung, sostanzierebbe la “sensazione”, avvertita dagli uomini, che per avere la (necessaria) forza di persuasione sia necessario, anzi tacitamente richiesta dalle donne stesse, la seduzione, le percosse o lo stupro?
Benintenso, non accolgo la “mascolinizzazione” della “new woman”, così descritta. Però non riesco a comprendere appieno lo scalpore, lo scandalo che l’opinione pubblica in America, ma anche in Italia, cioè noi tutti, uomini e donne, mostra davanti alle denunce di sessismo, di violenze, fatte da donne che “rompono” quella “ragione”, vanno fuori dagli schemi (Thelma e Louise, ma anche e soprattutto le donne reali) quando quella stessa opinione pubblica non riesce a scandalizzarsi di se stessa abbastanza nel prendere posizioni da contorsionisti facendo ricadere la colpa sulla vittima di stupro.
E come mai non riesce a scandalizzarsi del fatto che siano gli uomini a perpetrare (nella maggioranza dei casi) tale violenza, ma tende sempre e comunque a “demonizzare” la donna ora diventata “new woman”?
È così difficile accettare che il mostro non sia soltanto quello sbattuto in prima pagina, ma anche il quarantenne o l’uomo di qualsiasi età che deve agire la sua “volontà di potenza”?
La libertà di viversi, che rivendicano le donne…
È il diritto di scoprire se stesse e di vivere la libertà del sé‚ senza dover ricomprendere nel complesso dei rischi cui puoi andare incontro (mentre cammini per strada, in una città affollata o deserta che sia, nell’androne di un palazzo o nella tua stessa casa) il cosiddetto “semplice o normale” rischio di essere infastidita da singoli o molto più spesso da bande, e alla peggio essere aggredita e stuprata.
Ha mai pensato un uomo ad immaginare cosa possa significare, se fosse lui il bersaglio del maniaco dell’autobus o dello stupro o delle telefonate con orgasmo?
Ma è arrivato il tempo di provarci ad immaginarsi in tale scomoda veste, però “svestito” degli anni, dei secoli di cultura che l’hanno plasmato fisicamente e psicologicamente sempre e soltanto un uomo “forte”, nell’accezione di “combattente”, tout court.
Sicuramente solo gli uomini violentati nelle carceri, o oggetto di violenza incestuosa nelle famiglie sapranno cosa sia la rabbia, l’ansia, la depressione, la chiusura agli altri, la fuga, la paura che si ripeta, l’incredulità di chi ti sta intorno, i luoghi comuni del “se l’è‚ voluta” oppure “Già che ci sei, sta ferma e goditelo”; “Non si può violentare una donna contro la sua volontà” o, quel che è peggio, “Le donne che vengono violentate, lo desiderano segretamente”.
Obiettività vo’ cercando.
L’obiettività degli uomini di fronte alla responsabilità dello stupro svanisce miracolosamente ed essa viene addossata, proiettata sulla donna.
Per troppi anni gli psicologi, gli analisti, gli psichiatri hanno avallato la teoria che lo stupratore sia un soggetto deviante, uno psicopatico sessualmente represso, dal fare mite, dominato dalle donne (ci risiamo!) che un giorno impazzisce e stupra in preda ad una passione incontrollabile. Ci sono anche… ma …
Ma la sociologa Diana E.H. Russell afferma che lo stupro è un atto conformista più che deviante.
Non esiste un soggetto particolare che si possa definire “stupratore”, non risulta che egli abbia una patologia distinta ben identificata, oltre ai tic individuali e ai disturbi della personalità che possono caratterizzare un qualunque criminale che commetta un qualsiasi reato.
E di contro alla “incontrollabile concupiscenza” di cui si è contornata la figura dello “stupratore” si risponde con dati statistici che la smentiscono, affermando invece il dato della “pianificazione” dell’azione di stupro da parte di singoli oppure da un gruppo di complici.
Secondo una ricerca di Groth e Birnbaum, nel Massachusetts, “la sessualità diventa il modo di espressione della volontà di potenza, dell’ira e della scarica di tensioni e frustrazioni”(Ricerca condotta in un’istituzione medica di massima sicurezza nello stato del Massachusetts su un campione di stupratori, pubblicata nel 1980 sotto il titolo “Men who rape“).
Conclusioni.
E’, dunque, tempo di un ripensamento dal di dentro. “L’incontro individuale con il problema avviene attraverso i giornali, leggendo libri femministi o di psicologia; per avere personalmente conosciuto una vittima di violenza sessuale o addirittura per esserlo state di persona; infine perché ci si sente coinvolti, nella propria psiche di uomo o di donna, dalla violenza sessuale dei nostri tempi.
Solo cominciando dal considerare la realtà concreta del reato di stupro potremo scoprire l’Io e la sua Ombra, senza abdicare all’idea di conoscere l’uomo e la donna.” (Bradley A. TePaske (analista junghiano), Il rito dello stupro, Ed. RED, Milano, 1989).