De Rossi: un addio doloroso ed inaspettato

Martedì scorso, Daniele De Rossi ha comunicato a tutto il mondo il suo addio alla Roma. La sorprendente decisione non è stata sua, ma della società, che ha preferito non rinnovargli il contratto, in scadenza il prossimo 30 giugno.

La mia personale via crucis

Da quel giorno, è iniziata per me un lungo ed estenuante avvicinamento alla sua ultima partita in maglia giallorossa. Una sorta di personale via crucis, che mi sta conducendo fino a Roma-Parma di domenica sera.

Non faccio altro che pensare a lui e a quanto sia stato importante per me, negli ultimi anni, averlo nella mia squadra del cuore. Mi proietto mentalmente immagini del passato, in cui lui è stato protagonista, in campo e fuori.

Sono stati tanti i momenti belli passati insieme. D’altronde, 18 anni sono un lasso di tempo considerevole. Ci sono matrimoni che durano molto meno ormai. Eppure, se non fosse stato per una società meschina ed incompetente, saremmo ancora destinati a stare insieme per un altro po’. E non dovremmo già dirci addio.

Scrivere per metabolizzare il suo addio

E allora, per cercare di elaborare il lutto, sto scrivendo più del solito. Racconto di lui, delle sue gesta, di come riusciva a rappresentarci tutti senza nemmeno sforzarsi più di tanto. Era la sua natura, l’unico modo che conosceva di vivere ed esprimersi.

Daniele è stato probabilmente il giocatore più romanista che io abbia mai visto. Forse il calciatore più legato alla propria squadra che sia mai esistito. Di sicuro, non ce ne sarà un altro come lui. Un altro che riesca ad incarnare così bene un sentimento tanto forte ed intenso come il romanismo (https://www.differentmagazine.it/lamore-ai-tempi-del-derby-di-roma/).

Lo ammetto, il mio dolore è frutto anche delle modalità con cui questo addio si è consumato. Veloce, inaspettato, spietato. Non è vero che se una cosa avviene improvvisamente, senza che tu te ne possa nemmeno accorgere, ti fa meno male. A volte, è più difficile accettarla. E così, in seguito, ti consuma lentamente.

Perché l’incredulità si somma alla tristezza, creando soprattutto rabbia. Rabbia per come le cose sarebbero potute andare. Per come sembrava che tutto stesse andando bene. E per come niente faceva presagire quello che poi è effettivamente successo. Rabbia nei confronti del destino beffardo e di chi lo ha portato effettivamente a compimento.

E quindi, per non disperarmi e lasciarmi annegare in questa vile commiserazione, scrivo. E spero che mi basti per superare indenne questa maledetta settimana. La settimana che mi porterà a separarmi da uno dei miei idoli di infanzia. Uno dei miei punti di riferimento assoluti ed inamovibili. L’unico che era ancora in grado di darmi forza quando vedevo la Roma in difficoltà. E che riusciva a rassicurarmi nonostante tutto.

Leonardo Gilenardi

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