Fase: “fare musica è come andare dallo psicologo di se stessi” – INTERVISTA

FASE ph_Giorgio Violino
FASE è il nome d’arte di Valerio Urti, artista e autore torinese. Dopo lo scioglimento della band Fase39, l’artista inizia nel 2020 una nuova “fase”, da cui trova spunto per il suo nome d’arte, intraprendendo la carriera da solista.
Ad oggi ha pubblicato quattro singoli, di cui l’ultimo è “Fiamme”. Il brano, prodotto da Marco Lamagna e distribuito da TuneCore, esplora il tema della dipendenza intesa come concetto ampio, un rapporto tossico con qualcuno o qualcosa dal quale non ci si riesce a liberare. Sentendosi incatenato a una sensazione negativa, l’artista si rivolge a una figura esterna, che potrebbe rappresentare sé stesso o un’entità superiore, chiedendo quella salvezza e quella via d’uscita che da solo non riesce a trovare.
Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo.
- Buongiorno Valerio, ti ringrazio per questa intervista. Dal 7 marzo è disponibile su tutte le piattaforme “Fiamme”, il tuo nuovo singolo. Come nasce il testo e il sound?
Grazie mille per avermi ospitato. “Fiamme” parla delle dipendenze. Nasce da un racconto, da una storia vera; non dirò il tipo di dipendenza ma non si tratta di droga. Le dipendenze non sono solo quelle fisiche, portate da un prodotto, ma anche la felicità può essere una dipendenza. È necessario comprendere se è una sensazione di cui non possiamo più fare a meno oppure se è relativa allo stare bene con se stessi.
A livello sonoro è partito tutto da un riff che avevo da parte da alcuni anni. È la parte dark del brano che mi appartiene molto, per poi liberare nel ritornello una sensazione di ampiezza, anche a livello di immagini.
- Nei tuoi brani racconti aspetti molto personali e intimi, come in “Per me sei tu” in cui hai parlato delle crisi di panico di cui hai sofferto o in “Veleno” di situazioni tossiche. La musica per te è come catarsi?
È terapeutica. Io arrivo da un percorso iniziato nel 2020, durante il lockdown, dopo lo scioglimento della band. Un periodo dove siamo stati costretti a fare i conti, oltre che con quello che purtroppo stava succedendo attorno, anche con se stessi. È assolutamente terapeutico fare musica. È come andare dallo psicologo di se stessi.
- Come è avvenuto il cambiamento dalla band al tuo percorso da solista?
È stato un percorso naturale delle cose. Con miei compagni della band sono amico, abbiamo un rapporto bellissimo di collaborazione, però era giunto per me il momento di scrivere qualcosa da solo.
- Sul tuo canale YouTube nella descrizione leggo: “la vita è una fase, basta saperla raccontare”. In che fase sei ora e sei esattamente nella fase in cui vorresti essere?
Sono nella fase in cui volevo essere. Inizialmente ho cercato il mio sound, perché ovviamente ognuno di noi ha il proprio modo di esprimersi nelle parole. Sono assolutamente soddisfatto del livello sonoro e farà parte di qualche cosa di futuro. Sono in una fase personale molto tranquilla, felice, artistica, esattamente dove vorrei essere all’inizio di un percorso.
- La musica ha sempre fatto parte di te? La ascoltavi da bambino in famiglia?
Sì, è colpa di mamma e papà. Il primo disco che ho ascoltato è stato “In questo mondo di ladri” di Venditti. Il primo concerto che ho fatto è stato sul letto dei miei genitori all’età di tre anni. Nelle gite scolastiche ero il primo con il microfono a fare “il capo della banda”.
Ho iniziato da autodidatta perché, ovviamente, era un gioco, come è giusto che sia inizialmente. Continuo a divertirmi anche ora come un matto, per buona pace dei vicini che mi sentono suonare anche a ore molto tarde della notte.
- Progetti futuri?
Il prossimo step sarà un album. Spero che veda la luce presto.