Femminicidio e Violenza sulle donne – Associazione Erinna: intervista alle responsabili Valentina Bruno e Anna Maghi
“Ogni atto di violenza fondato sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata”
(Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, Assemblea generale della Nazioni Unite 1993)
- Buonasera vi ringrazio moltissimo per la disponibilità. Voi siete le responsabili dell’Associazione Erinna: ci raccontate la vostra realtà?
Siamo un gruppo di donne che hanno deciso di essere un riferimento per le donne in difficoltà e non solo, dal 1998. Tra indifferenza istituzionale e resistenze culturali siamo comunque riuscite ad aprire il centro antiviolenza – solo nel 2006: l’amministrazione provinciale di Viterbo si interessò alla proposta dell’associazione Erinna e ne scaturì una convenzione triennale che consentì di avere un luogo fisico per l’accoglienza alle donne e la gestione delle attività conseguenti. In ogni modo ciò è potuto accadere per la sensibilità personale del presidente della provincia e non per un’assunzione di responsabilità dei partiti rispetto all’impegno politico da assumere riguardo alla violenza contro le donne.
Siamo sopravvissute alla mancanza costante di finanziamenti istituzionali – ricevendo sostegno soprattutto da privati – per anni, fino all’importante finanziamento governativo che ha portato, nel 2013, all’apertura della Casa rifugio, i cui costi erano coperti dal progetto per due anni; in seguito, in mancanza di bandi nazionali, abbiamo tenuto con volontariato e cocciutaggine la Casa per altri tre anni, nell’indifferenza di enti locali e regionali – visto che la giunta Zingaretti aveva deciso che a Viterbo non esisteva alcun Centro antiviolenza perché Erinna era priva di convenzione con l’ente locale! Il cambio di amministrazione in provincia nel 2012 – con l’avvicendarsi di un’amministrazione di destra – aveva unilateralmente annullato la convenzione in atto da sei anni – ci ha portato sull’orlo della chiusura. Analoghe difficoltà, legate alla mancanza di bandi a cui partecipare, ritardi nella burocrazia e nell’assegnazione dei finanziamenti si sono ripresentate dal 2018 al 2021, per cui abbiamo dovuto limitare severamente le accoglienze con incontri diretti, ridurre le attività. Siamo volontarie e possiamo dedicare solo il tempo libero dal lavoro e dagli impegni familiari.
Erinna in questi 25 anni è stata pioniera nei tribunali del territorio per l’accettazione della costituzione civile a fianco delle donne, nel presentare e condurre percorsi di sensibilizzazione nelle scuole di ogni ordine e grado, ha organizzato corsi di formazione per le donne del territorio, ha ideato serie di incontri in/formativi di consapevolezza e autodeterminazione per le donne adattando di volta in volta l’attività alle necessità del gruppo o della singola, ha ideato, sperimentato e condotto laboratori di lingua italiana per donne migranti, si è avvalsa di piccoli progetti mirati per sostenere le donne nel percorso di uscita dalla violenza (anticipo per l’affitto di una casa, per il conseguimento della patente, per l’acquisto di alimenti, per il pagamento corsi ludico/formativi per le bambini e i bambini etc.).
Erinna ha pubblicato tre libri: il primo sulle esperienze nel Centro, il secondo sul laboratorio delle “piccole donne” – elaborazione di fiabe con un gruppo di ragazze adolescenti – e il terzo su un percorso esperienziale condiviso di studio rispetto al sito archeologico di Demetra nel territorio di Vetralla. Oggi è ancora in relazione con la Commissione Territoriale di Roma per l’accoglienza a richiedenti asilo e rifugiate/i. Erinna è orientata allo scambio di buone prassi su contrasto alla violenza di genere in Europa, ha già acquisito un’esperienza più che positiva con il Portogallo e le Antille francesi, le amiche dell’Europa hanno acquisito parte della metodologia di accoglienza di Erinna come metodo da inserire nella loro prassi di accoglienza.
Erinna è socia fondatrice dell’Associazione nazionale D.i.Re. – donne in rete contro la violenza.
- Qual è l’iter che una donna vittima di violenza deve seguire per chiedere aiuto al Centro e cosa accade una volta che si è messa in contatto con voi?
Una donna in difficoltà in genere può trovarci direttamente tramite internet o tramite il numero nazionale 1522, oppure segue il consiglio di un’amica/amico/parente, spesso è indirizzata dall’assistente sociale o dal pronto soccorso o da qualche presidio sanitario o dal legale di riferimento.
Quando ci contatta riceve le informazioni che le consentono di avere una visione più lucida della situazione e quello che si può e non si può fare, soprattutto quello lui non può fare (consulenza legale e paralegale), nell’elaborare il percorso di uscita dalla violenza nelle risposte/proposte noi seguiamo le esigenze che la donna ci rappresenta, tenendo conto delle difficoltà in cui si trova.
Il fulcro – per noi – è il suo desiderio e ci si muove intorno a quello, cercando di attivare le risorse interne e di relazione che ha, non si fanno forzature né anticipazioni di azioni che potrebbero sembrare semplici e innocue, non ci si sostituisce alla donna nei processi decisionali ma si cerca di sostenere o ricostruire, se necessario, la sua autodeterminazione. Non guardiamo l’orologio. Non forniamo percorsi preconfezionati o appuntamenti fissi, le donne decidono se incontrarci di nuovo oppure no, costruendo insieme un percorso che è in primo luogo prassi di relazione tra donne, fatto di scelte e assunzioni di responsabilità, e non servizio.
- Al 21 agosto 2023 sono state 75 le vittime di femminicidio e tante altre le donne vittime di violenza: dati allarmanti che sembrano, almeno apparentemente, aumentare ogni giorno di più. Come percepite questi dati? Credete che la violenza stia dilagando o semplicemente c’è una maggiore attenzione mediatica e sociale?
Sicuramente c’è un’attenzione mediatica maggiore. Il femminismo ha spostato la violenza intrafamiliare e sessuale da fatto privato – i panni sporchi si lavano in casa – a fatto pubblico. Insistere su questo ha fatto sì che la violenza sia entrata di diritto nel discorso pubblico, ed è sicuramente un gran risultato, ma siamo ancora molto lontane dal cambiamento culturale necessario alla trasformazione sociale che auspichiamo.
- Ciò che colpisce dagli ultimi episodi è che essi siano scaturiti da giovanissimi, la generazione del “futuro”. Sulla base delle vostre esperienze qual è il “cancro” da debellare, la causa scatenante di tanta violenza?
È preoccupante quanta la violenza gratuita pervada l’umanità, si riversa sul soggetto più debole – a partire dal bullismo costantemente esercitato a scuola o nel giro “amicale” -, sulle persone senza casa, sulle persone migranti, sugli animali e ancora sulle donne – soggetti considerati minori, evidentemente, sui quali è possibile esercitare il proprio potere, all’interno di dinamiche che confermano la storica disparità di potere tra uomini e donne. Riteniamo che il problema sia proprio questo: la disparità di potere tra uomini e donne, che porta con sé comportamenti sociali e culturali specifici, che insegna che la sopraffazione di più di metà del genere umano sia normale, che la sessualità possa essere sopraffazione e mercificazione, che il possesso conti più dell’essere in relazione.
- L’ONU ha definito la violenza sulle donne un “flagello mondiale”. Gli aggressori sono spesso figli del patriarcato e di un’idea di donna come corpo e oggetto, da usare e possedere. Avete rispettivamente una storia da raccontarci che vi ha colpito in modo particolare nel corso dell’esperienza al Centro?
Lucia – nome di fantasia – rappresenta e racchiude la quotidianità di tante. Tutte le storie raccontate ci hanno colpito chi per la modalità sottile di esercitare la violenza da parte del partner, chi per la quantità di violenze subite, chi per la creatività messa in atto nell’agire violenza. Ancora oggi, dopo 25 anni, ci capita di ascoltare di azioni violente mai sentite prima.
Lucia ci dice che lui “appariva geloso e morboso senza averne motivo”. Non voleva che uscisse di casa, che frequentasse amicizie, non gradiva che lei fosse espansiva, mentre lo è naturalmente, la apostrofava dicendo “le donne che vanno in giro scollate sono troie puttane, tutte le tue amiche sono delle gran troie”. Lui la picchiava perché lei non doveva dire niente, le tappava la bocca perché doveva stare zitta, controllava continuamente il cellulare di lei, le faceva cambiare sim card di frequente e la obbligava ad usare cellulari che lui le dava. Non mancavano le minacce “se te ne vai di casa ti spezzo le braccia, ti ammazzo, ti faccio a pezzi; mignotta, puttana perché non ti spari, perché non ti impicchi?”. Come sempre il giorno dopo la riempiva di scuse, ma poi gli episodi di violenza si ripetevano “Stai zitta nono urlare” e le tappava la bocca e lei faceva fatica a respirare e sentiva un senso di soffocamento, era frequente che la prendesse per il collo.
Se lei gli diceva che voleva uscire, glielo vietava o indagava su quando sarebbe tornata e dove sarebbe andata. Se andava a fare la spesa le telefonava due o tre volte; se gli faceva notare che non riusciva a sopportare un controllo così serrato e ingiustificato, allora la accusava di avere un altro uomo e la minacciava “se te ne vai ti trovo, vengo lì e do fuoco alla casa”. Una volta, mentre la interrogava incessantemente su chi fosse l’altro, le ha preso la testa tra le mani tenendola ferma e le ha morso ferocemente il naso lasciandola lì sanguinante; il giorno dopo Lucia è andata a farsi vedere in ospedale, ma ha dichiarato di aver sbattuto sotto il lavandino del bagno…
“Sono anni non ho più una vita mia”. Aveva un negozietto che ha dovuto chiudere. Lui le ha sempre impedito di trovare lavoro, le strappava i curricula, controllava il PC e le impediva di avere una sua mail, le ha fatto sparire il diploma originale, anche le chiavi della macchina. E la lasciava senza soldi, lei trovava qualcosa sul comodino quando la costringeva ai rapporti sessuali.
Lucia fa fatica a dormire, ha degli incubi, è cosciente di essere il suo giocattolo, “lui mi usa e mi riusa”. Mentre siamo in accoglienza lui la chiama più volte. Lei non risponde, va in ansia, cambia faccia, chiede per quanto tempo ancora duri il colloquio, ha paura che lui venga a cercarla.
Lasciamo andare Lucia con un paio di suggerimenti per preparare l’eventuale allontanamento dalla situazione, ora lei sa che può.
- Troppo spesso si ascoltano affermazioni che tendono a de – colpevolizzare gli aggressori: la donna era poco vestita, aveva bevuto, era uscita tardi la sera. Giudizi e pregiudizi che possono creare paura e sensi di colpa nella vittima: in qualità di professioniste cosa volete dire a chi ha vissuto o sta vivendo episodi di violenza?
Che non è sua la colpa: colpevolizzare le donne è una costante della nella nostra costruzione culturale in cui il potere maschile, sulle donne e su tutte le cose viventi e non viventi, è l’unico legittimato. L’abbiamo capito, stiamo lavorando, agendo, lottando perché questo sistema imposto sia cancellato. Ognuna – anche con il sostegno delle altre – può cercare di affrontare questo potere sapendo che piccoli passi in avanti sono stati fatti, che oggi si possono trovare legali, giudici – uomini e donne – più consapevoli rispetto alla questione, che possono mettere in discussione gli stereotipi che la sostengono, anche nei percorsi legali. Vorremmo poterle dire che oggi può essere più forte, a partire dalla consapevolezza che nessuno ha diritto di esercitare il suo potere su di lei, a parte lei stessa, e che può imparare a farlo.
- Il vostro Centro non è solo un luogo di accoglienza ma anche uno spazio per diverse attività di empowerment e auto-determinazione: solo riacquistando fiducia in sé stesse e autonomia le donne possono sperare di smettere di essere vittime?
Assolutamente sì, ma il percorso non è per tutte uguale e non è per tutte. Diversi sono i fattori che condizionano la vita di ognuna e diversi sono i tempi impiegati per raggiungere l’autonomia o solo il coraggio di uscire da una situazione che è stata comunque un punto di riferimento nella vita finora. Un percorso di uscita dalla violenza, di autonomia e di autodeterminazione include fatica, dolore, rinunce. C’è chi trova più facile e più gestibile adattarsi alla situazione che conosce e in cui ha imparato a sopravvivere: questa non è una sconfitta, l’importante è sapere che è possibile sottrarsi, capire come poterlo fare; tuttavia, è importante sentirsi libere nelle decisioni che si prendono, la vita è la loro.
- Per concludere: come ci si può mettere in contatto con il vostro Centro?
Purtroppo siamo senza finanziamenti e possiamo esserci solo un giorno a settimana – in genere il lunedì -, abbiamo una segreteria telefonica che funziona h24: si può lasciare il messaggio con il numero di telefono, noi richiameremo appena arrivate al Centro.
TELEFONO 0761 342056 – se non dovessimo richiamare tentate di nuovo, potremmo non aver capito bene il numero lasciato in segreteria, o potremmo non essere state in grado di passare al centro. La telefonata servirà a chiarire quali siano i bisogni.
Altro modo è inviare una mail a cui possiamo rispondere, ma se fosse poco sicuro perché lui ha accesso al tuo PC, scrivi il numero di cellulare e ti richiameremo e.rinna@yahoo.it