Femminicidio e Violenza sulle donne – Rete Nazionale Antiviolenza “Frida Kahlo”: intervista alla vice – presidente Giulia Carmen Fasolo
“Ogni atto di violenza fondato sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata”
(Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, Assemblea generale della Nazioni Unite 1993)
- Buonasera dott.ssa Giulia Carmen Fasolo la ringrazio moltissimo per la disponibilità. Lei è la vice – presidente della Rete Nazionale Antiviolenza “Frida Kahlo”. Ci racconta la vostra realtà?
Grazie a voi. La Rete Nazionale Antiviolenza “Frida Kahlo”, di cui sono vice presidente, è un’organizzazione nazionale con diverse sedi in Italia. È nata oltre vent’anni fa. Ci occupiamo dell’universo femminile, in particolare della tutela delle donne sopravvissute alla violenza maschile e dei loro figli e figlie che hanno subito violenza assistita. Lo facciamo seguendo i principi della Convenzione di Istanbul, per noi capisaldi della prevenzione e del contrasto delle diverse forme di violenza.
- Qual è l’iter che una donna vittima di violenza deve seguire per chiedere aiuto al Centro?
Le donne possono arrivare a noi in diversi modi: tramite i servizi territoriali, chiamandoci direttamente o inviando un sms sui principali social o su WhatsApp. Possono ricevere, anche, informazioni sulla nostra realtà tramite il 1522, oppure su indicazione delle forze dell’ordine o per aver letto e/o visto un nostro volantino informativo presso i principali punti della zona (ambulatori medici, ambulatori pediatrici, farmacie, etc.).
La violenza è strutturale, culturale, radicata nel nostro humus storico. Le donne sono riuscite, nel tempo, a ricevere maggiore ascolto e maggiore attenzione. Molte sono riuscite a denunciare, molte altre ancora non lo fanno. Esiste un sommerso che forse è il doppio del conosciuto e che non arriva né a noi né alle forze dell’ordine. Oggi se ne parla di più, ma non credo che ci siano nei tempi attuali la ragione di maggiore violenza.
- Al 21 agosto 2023 sono state 75 le vittime di femminicidio e tante altre le vittime di violenza: dati allarmanti che sembrano, almeno apparentemente, aumentare ogni giorno di più. Lei crede che la violenza stia dilagando o che semplicemente ci sia una maggiore attenzione mediatica e sociale?
La violenza è strutturale, culturale, radicata nel nostro humus storico. Le donne sono riuscite, nel tempo, a ricevere maggiore ascolto e maggiore attenzione. Molte sono riuscite a denunciare, molte altre ancora non lo fanno. Esiste un sommerso che forse è il doppio del conosciuto e che non arriva né a noi né alle forze dell’ordine. Oggi se ne parla di più, ma non credo che ci siano nei tempi attuali la ragione di maggiore violenza.
Per esempio, il COVID-19 non ha generato situazioni di fortissima criticità, ha solo eventualmente esasperato una convivenza già difficile o impossibile, rendendo ancora più bersaglio le donne che già subivano maltrattamenti. L’attenzione mediatica e sociale certamente, e fortunatamente, è aumentata, questo sì. Ma riteniamo che non basti parlarne, serve con particolare urgenza un lavoro di formazione, di educazione. Raccontare quando il fatto è accaduto, vuol dire in verità aver perso ancora una volta. Dobbiamo lavorare sulla prevenzione, fin dalla tenera età. Affinché anche le giovani generazioni possano comprendere che la libertà non ha subordinazioni alla volontà o al potere di un sesso sull’altro.
- Ciò che colpisce dagli ultimi episodi è che essi siano scaturiti da giovanissimi, la generazione del “futuro”. Sulla base della sua esperienza qual è il “cancro” da debellare, la causa scatenante di tanta violenza?
Come appena detto, è un problema culturale. Io non credo, francamente, che le giovani generazioni siano nate “così”. Ritengo, semmai, che non abbiano avuto modelli operativi interni funzionali, modelli genitoriali adeguati e un percorso formativo idoneo all’educazione del rispetto e dei sentimenti. Molti non hanno una bussola, credono di poterla avere nelle iniziative di gruppo, per la deresponsabilizzazione personale. Gli adolescenti hanno bisogno di trovare canali funzionali per tutta la loro rabbia adolescenziale. Vanno attenzionati, seguiti. Bisogna fornire loro modelli assolutamente alternativi a quelli attuali.
- L’ONU ha definito la violenza sulle donne un “flagello mondiale”. Gli aggressori sono spesso figli del patriarcato e di un’idea di donna come corpo e oggetto, da usare e possedere. Ha una storia da raccontarci che l’ha colpita in modo particolare nel corso della sua esperienza al Centro?
Mi occupo di antiviolenza dal 1999, non so se esiste una storia che mi ha colpito in modo particolare più di altre. Tutte le storie hanno un loro specifico vissuto, una dignità schiacciata, una vita da ricostruire, una speranza da trasformare in concretezza. Forse, negli anni, quello che spesso la notte non mi fa dormire è la violenza assistita, perché so che oltre al vissuto traumatico e doloroso del momento, quanto subito segnerà la vita futura di quel minore, sarà una ferita interna da guarire in qualche modo e che darà un imprinting forse anche non funzionale.
- Troppo spesso si ascoltano affermazioni che tendono a de – colpevolizzare gli aggressori: la donna era poco vestita, aveva bevuto, era uscita tardi la sera. Giudizi e pregiudizi che possono creare paura e sensi di colpa nella vittima: in qualità di professionista cosa vuole dire a chi ha vissuto o sta vivendo episodi di violenza?
Nessuna ha colpa per ciò che è… Nessuno si sognerebbe di pensare che un uomo che beve un bicchiere in più quando esce, sicuramente sarà violentato. Nessuno penserebbe che un uomo che gira a petto nudo fuori dalla spiaggia sarà bersaglio di molestie. Né pensiamo mai che un ragazzo solo in metropolitana metta a rischio la propria vita. Questo ci fa pensare che la donna è sessualizzata, un oggetto sessualizzato dallo sguardo e dall’agito maschile. Sia chiaro: non tutti gli uomini sono stupratori, né una relazione tossica deve precludere la possibilità di avere un futuro relazionale sereno. Chi subisce una qualsiasi forma di maltrattamento, anche se pensa che non sia niente di che e tende a sminuirlo, deve chiedere aiuto.
I Centri Antiviolenza non spingono e non obbligano la donna né alla separazione né alla denuncia; semmai la aiutano a percorrere un cammino di autodeterminazione e a dare la forma che più desidera alla propria vita, in una cornice di libertà e possibilità.
Nessuna ha colpa per ciò che è… Nessuno si sognerebbe di pensare che un uomo che beve un bicchiere in più quando esce, sicuramente sarà violentato. Nessuno penserebbe che un uomo che gira a petto nudo fuori dalla spiaggia sarà bersaglio di molestie. Né pensiamo mai che un ragazzo solo in metropolitana metta a rischio la propria vita. Questo ci fa pensare che la donna è sessualizzata, un oggetto sessualizzato dallo sguardo e dall’agito maschile. Sia chiaro: non tutti gli uomini sono stupratori, né una relazione tossica deve precludere la possibilità di avere un futuro relazionale sereno. Chi subisce una qualsiasi forma di maltrattamento, anche se pensa che non sia niente di che e tende a sminuirlo, deve chiedere aiuto.
- Per concludere: come ci si può mettere in contatto con il vostro Centro?
Possono intanto chiamarci al numero di reperibilità h24, cioè al 327 9879516, oppure scriverci a info@centroantiviolenza.it, mandarci degli sms su WhatsApp o su Telegram, su Facebook o su Instagram.
Sito web Rete Nazionale Antiviolenza “Frida Kahlo”: http://centroantiviolenza.it/