Grand Tour Calabria: il viaggio di ieri tra folclore e nuda realtà

..Se una notte d’inverno un viaggiatore si ritrovasse nelle sperdute contrade calabresi, lontano dal secolo contemporaneo, sarebbe  indotto a  chiedersi: Quale storia laggiù attende la fine?

Grand Tour Calabria dei viaggiatori europei.

<Se una notte d’inverno un viaggiatore> si ritrovasse nelle sperdute contrade calabresi, in un tempo lontano dal secolo contemporaneo, sarebbe  indotto, più d’una volta, a chiedersi:<<Quale storia laggiù attende la fine?>>.

Leggendo i manoscritti  di un George Gissing, di un  Norman Douglas, dei fratelli De Fouchier (La Calabre in L’Italie méridionelle, 1911) o di un Jules Destrèe insieme a Hélène Tuzet (“In Calabria durante il Fascismo. Due viaggi inchiesta”) e, per non dimenticare, di un Astolphe de Custine, la sensazione  che se ne ricava è quella di uno sguardo che va oltre le esperienze concretamente proprie del viaggio storico, reale, condotto a Sud di Napoli.

Grand Tour: Vedi Napoli e poi muori…

Il detto  “Vedi Napoli  e poi muori” sembrava riferirsi non tanto allo stupore catatonico che avrebbe afferrato il  viaggiatore di fronte alle bellezze della città borbonica, ma, piuttosto malevolmente, si profilava come un avvertimento sinistro per gli incauti che avessero voluto di-scendere al di sotto di Napoli, quasi come se il Sud fosse il varco della soglia di un ammorbante Ade.

George Gissing in “By the Ionian Sea afferma: <<se dovessi ascoltare i padroni di casa (napoletani), per cui  un viaggio in Calabria equivale a un viaggio al Marocco… dove la gente parla un barbaro dialetto….. la cui regione‚ in gran parte  malsana, abbandonerei del tutto il progetto o partirei con sinistri presagi>>.

Grand Tour. Motivazione di un viaggio a Sud.

Ciononostante quale era la motivazione forte che spingeva Gissing ed altri viaggiatori stranieri, europei e non, a questa discesa nella terra dei tremuoti, della malaria e dei briganti?!

Particolarmente profetico per costoro sarebbe risultato l’insegnamento di Lao Tzu (filosofo taoista del 6^  sec. a. c.), secondo cui <un  viaggio di mille miglia  inizia al di sotto  dei propri piedi>, proprio perché un viaggio nel sito calabro si rivelava concretamente da “calpestare”; serpeggiante come  gli impossibili tracciati “a piedi”; assai periglioso, spesso frustrante, improvvisamente esaltante e mozzafiato di fronte ad un  <cielo capovolto>; velenosamente malfido per le febbri malariche che prostravano il fisico, dando un sonno di morte.

Chiedersi quale fosse la storia che attendeva <laggiù> la fine è diventata la traccia, per me, per percorrere un viaggio nei dintorni del viaggiatore straniero che ha scelto il viaggio nel Sud calabro, come se esso ricoprisse la valenza di un viaggio mitico.

Viaggio mitico…

La  qual cosa,  soprattutto per i  viaggiatori del ‘600 / ‘700, ha significato recuperare frammenti di un mito in un mondo in cui gli dei e gli eroi  si erano ormai ritirati da tempo ex rebus hominis: e dunque l’esperienza risultava un  falso sovrapporre antiche vestigia su una realtà in cui gli individui diventavano marginali figure.

Non è questa  l’accezione di mitico che muoverà i miei passi sulle tracce dei viaggiatori, ma rincorrerà il viaggio   mitico posto all’interno di una memoria che si proietta, quel pezzetto di storia di sé che si incastra in una temporalità già esistente, amalgamandosi ad essa, per certi versi, e tradendola, per certi altri, al fine di recuperare la propria originale finitudine umana.

Il viaggio mitico, per dirla con Meligrana – Satriani, è, in tale prospettiva, <il luogo  di fondazione della metafora>;  esso diventa <il paradigma di ogni passaggio….. la trasformazione di status>.

Viaggio storico.

C’è‚ una motivazione interna, che proviene dalla dimensione della memoria individuale, che soggiace ad ogni viaggio storico e che cerca, in esso, un completamento, ecco perché ci si chiede <quale storia laggiù attende la fine>.

Scendere a Sud di Napoli, provare a sfogliare (come i veli di una cipolla!), gli strati  “archeologici” di quei luoghi a Sud di Napoli (o di un qualsiasi Sud del mondo, per chi, come noi, è posto all’interno della trama di un villaggio  globale, come  in  un  labirinto) può significare procedere ad un’operazione archeo – epistemologica, in cui non è il reperto ritrovato che interessa di per sé, ma ciò che importa è l’intero processo di “scavo“, che serve a riportare alla luce insieme al reperto, oggetto di conoscenza, anche il  soggetto che compie l’operazione “archeologica”.

La figura del viaggiatore, e quella del viaggiatore di un’Europa posta al di là del nostro tempo attuale, realizza in maniera sincretica ciò che lo <sguardo,  la  visione>  del  sogno adombra  e,  parimenti, disvela.

Viaggio quasi onirico.

La  metafora del viaggio si apparenta col sogno nel rompere gli schemi diuturni del quotidiano e un viaggio nella Calabria del  ‘600 e del ‘700 dipinge vividamente tale “Krisis“.

Di fatto i suoi tracciati geografici “non tracciati” si offrono al viaggiatore come quelle zone oniriche umbratili e, nel contempo, come chiave per entrarvi.

Tali luoghi si  dischiudono o si richiudono di  fronte alla sensibilità <disarmata> o <armata> del viaggiatore (e qui la corazza culturale gioca tutte le sue carte!), entrando a far parte della sua esistenza come una nuova consapevolezza o rimanendone fuori in maniera inesorabile.

Sono più d’uno i nodi del sogno e molteplici sono gli snodi di un viaggio.  L’itinerario di un viaggio  si  sviluppa  lungo un  tempo circolare: è come se da una zona chiara, conosciuta,  si vada verso una zona d’ombra, sconosciuta,  caotica, per ritornarne rigenerati oppure bloccati nel proprio mondo, convinti che sia il migliore possibile.

Significato del viaggio.

Ogni viaggio mette a nudo i propri paesaggi interiori, quelli costruiti dai “luoghi” della memoria individuale, rifiorenti dall’alveo immaginativo e solleticati, ad ogni piè sospinto, dal contatto con la varietà dei <mondi> esistenti, vicini o lontani, disponendo l’anima del viaggiatore allo stupore, all’immaginazione e alla libertà, all’incontro, magari sgretolando in lui la convinzione che la propria <cittadella> culturale sia il mondo migliore possibile.

Orbene il viaggiatore straniero in terra di Calabria si è smarrito più  volte di fronte a ciò che natura ed umanità,  sperdute e inerpicate in luoghi quasi impossibili, hanno offerto alla serie completa dei suoi cinque sensi!

Uomini, donne, case, muri, terre, paludi, fiumi, cascate, reali, eppure così sfuggenti, poiché posti <al di fuori> del  sistema di senso comune che gli era  proprio, <al  di là> del suo sistema culturale di riferimento.

Folclore del viaggio a Sud.

E, dunque,  come a tutto ciò  che è non conosciuto, ci  affanniamo a dare un nome/senso per padroneggiare l’estraneità che ci atterrisce, anche i viaggiatori, anzi, soprattutto i viaggiatori europei dei secoli precedenti l’Ottocento e il Novecento, diretti in Calabria – sconosciuta terra,  senza mappa, ma disseminata di consigli  “maldicenti”, che la negavano come meta -, coniarono per  questo sito il carezzevole topos di Terra di  Sogno, che  equivaleva alla  Terra dell’Impossibile, e tal notazione folclorica permeò tutta la tradizione del Grand  Tour, fino alle soglie  dell’800

Come Teseo  o come  il viaggiatore di  una notte d’inverno, nel racconto di Italo  Calvino, il nostro viaggiatore europeo dovrà affrontare un tracciato labirintico miope, senza mappa, con <<il demonio che  cerca di  afferrarlo da  dietro e la  morte che lo attende all’altro estremo>>. Le sue uniche armi saranno l’astuzia, per evitare i “culs de sac” (soprattutto mentali!) e, aggiungiamo, una buona dose di sana curiosità desiderante per proseguire il viaggio.

L’alone di astoricità di questa nostra plaga era alimentata altresì dal desiderio di un regressus ad uterum, come a dire, un ritorno alla fusione con la Magna Madre Grecia.

Direte, troppa  mitologia aveva dato alla testa agli stranieri viaggiatori?!

No, più semplicemente, forse, ognuno di loro respirava un’esigenza profondamente umana, quella di ritornare ad un punto d’origine, puro e risplendente in cui ritrovare la bellezza senza macchia alcuna.

Molteplici sono i  percorsi  cui tende la ricerca umana per conoscere le origini individuali e collettive ed ognuno di  questi disegna un viaggio diverso, protesi all’indietro verso un passato aureo; proiettati in avanti verso le plenitudini ultime.

Fondare le origini, essere riconfermati?

La metafora del viaggio, in quel tempo turbolento, con certezze che non erano più tali, accostava il primo tracciato di viaggio come una necessità. Ognuno di questi viaggiatori, forte del proprio bagaglio, dei propri valletti, delle proprie  abitudini (il thè inglese o il pudding) andava a cercare la conferma delle teorizzazioni sulle origini, ormai traballanti in casa propria, nella terra dell’Impossibile, là dove ingannava se stesso per averle ritrovate nel profilo da dio greco di uno stracciato contadino calabrese o nell’illusione ottica di una decantata (in  altri tempi!) limpidezza della Fonte Arethusa, ricolma ormai di acqua stagnante.

Un  gioco illusorio che chiudeva il  viaggio affrontato in resoconti compiacenti il gusto di un pubblico che, sordo, non avrebbe ascoltato controcanto alcuno.

Un viaggio alfine che avrebbe potuto essere inventato, rimanendosene seduti al proprio scrittoio, senza fatica.

Un viaggio che ci si poteva risparmiare?! Ma non tutti i mali vennero per nuocere, poiché proprio quella prospettiva fascinosa di ritrovare il tempo senza tempo e lo spazio senza spazio invogliò ben altri viaggiatori stranieri e, costoro, sembravano proprio essere fatti di diversa pasta.

Scendere a Sud equivalse a scendere al di sotto del mondo conosciuto.

Tra  chi cercava  vecchi ruderi  e vestigia di un mondo pagano o  feudale  e chi guardava soltanto scorci paesaggistici, chiudendo gli occhi sulla miseria delle contrade  calabresi – e, facendola derivare da una grossolana questione  connaturata al carattere “indifferente”  dei calabresi, mostrava sensibilità pari a quella dei conquistatori dei mondi del “buon selvaggio” -, apparvero altri viaggiatori ai quali non sfuggì la concretezza storica del Sud, il suo non essere un luogo – non luogo, ossia uno spazio senza legami con il resto del mondo.

Dal viaggio residuale a quello romantico a quello storico.

Si  passò dal viaggio residuale, interessato al reperto, del  viaggiatore  seicentesco, al viaggio sentimentale del viaggiatore romantico, per approdare al viaggio scoperta di un Sud  <<vero e  vivo, nel suo dolore e nella sua tetra desolazione>>, che  si  delinea nei resoconti  dei viaggiatori dalla seconda metà dell’800 fino a qualche decennio prima dell’epoca fascista.

Dalle  relazioni di siffatti  viaggiatori <<gradualmente verrà fissandosi l’immagine di un Mezzogiorno soltanto in apparenza immobile, ma in realtà… ben  vivo.. di  una vita mossa  sulla trama fittissima di ribellioni impotenti  e di  altrettanto impotenti  proteste; lotte di comunità contro singoli, dei singoli contro le università e i conventi, di cafoni contro galantuomini, di  braccianti contro massari, della borghesia nascente contro i signori  in agonia,  delle plebi contro i giacobini, dei liberali contro i reazionari, dei  briganti contro i  liberali e di tutti contro uno  stato di volta in volta indifferente o nemico, duro e opprimente, accentratore e violento, ma sempre lontano ed estraneo>> (Mozzillo Atanasio, Viaggiatori stranieri nel Sud).

Era questa la storia che laggiù attendeva la fine, quella di essere non osservati, non visti, ma di essere fatti oggetto di attenzione da uno sguardo interessato e privo di intento giudicante, che lasciasse libera la  possibilità di modificare le storture, pur tagliando fuori dal patrimonio culturale calabrese quella dis-etica camaleontica lamentata da Astolphe  de Custine e su  cui il tempo (il manoscritto risale al 1810-12), ahimè, sembra non avere sparso nessuna coltre di polvere.

<<Apprendo spesso che in questo paese gli uomini che inveiscono più forte contro il disordine ed il brigantaggio sono stati essi stessi capi di  qualche famosa  banda, e che per cancellare il  pericoloso ricordo delle loro gesta patriottiche sono i primi a dirne male (dei briganti!).

Questa prudenza genera contrasti inspiegabili  tra i pensieri, le parole e le azioni degli uomini.  Se vi si fa un racconto falso si ha sempre la cura di inserirvi qualche particolare autentico.  Se si accusa un uomo, ci si riserva  sempre il modo per giustificarlo.   

Appena  si prova che è un miserabile, si diventa suoi  avvocati.  Lo si scusa per l’intenzione, si analizza il suo pensiero e se si trovano criticabili le sue azioni si  aggiunge che il  suo scopo era lodevole e si  finisce per concludere che ogni  altro al  suo posto  avrebbe fatto  peggio senza  avere le  stesse attenuanti. 

Non conosco nulla di più faticoso che una conversazione tra calabresi sui fatti del giorno: è soprattutto qui che si può dire che la  parola è  stata data all’uomo  perché se  ne servisse per  nascondere il  proprio pensiero>> (pp.  35/6, Astolphe de Custine, Lettere dalla Calabria).

 

 

Fonti citate, in cartaceo

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