Il 2 dicembre: giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù. La tragedia dei Rohingya e i migranti.

Il 2 dicembre si è celebrata la giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù. Essa è stata istituita per commemorare il 2 dicembre 1949, data di approvazione della Convenzione ONU per la soppressione del traffico di persone e dello sfruttamento della prostituzione altrui. Convenzione entrata in vigore il 21 marzo 1950 e recepita dall’Italia 16 anni dopo, nel 1966.

A ricordare l’importanza di questa giornata, la visita pastorale di Papa Francesco in Myanmar, dove si sta consumando la tragedia del popolo Rohingya e, in Bangladesh, paese verso cui continuano a riversarsi migliaia di profughi in fuga da Rakhine. Durante l’intero viaggio, il Pontefice non ha mai menzionato i Rohingya, incontrando sia il generale dell’esercito birmano, quest’ultimo accusato di perpetrare atroci violenze contro la minoranza musulmana e, la consigliera di Stato, il Premio Nobel per la Pace San Suu Kyi che, sino ad oggi, non ha mai condannato quanto sta accadendo al popolo Rohingya. La visita pastorale di Papa Bergoglio in una delle zone attualmente più calde del continente asiatico avrebbe avuto come obiettivo di promuovere la convivenza pacifica tra le differenti etnie religiose. In Myanmar, a maggioranza buddista, è presente una esigua comunità cristiana ed è in atto una persecuzione nei confronti della minoranza musulmana dei Rohingya, seconda per numero di popolazione.

La scelta di Papa Francesco di non menzionare i Rohingya, durante la visita pastorale in Myanmar, è stata oculata. Con l’intento di tutelare la sopravvivenza dei cristiani, in un paese dove il nazionalismo buddista è sempre più forte, il Pontefice non ha rinunciato a far visita ai Rohingya. Nell’arcivescovado di Dacca, il Papa ha incontrato 16 Rohingya – tra ragazzi e ragazze – chiedendo apertamente perdono per “l’indifferenza del Mondo”. “Vi sono vicino, la situazione è molto dura, non giriamoci dall’altra parte”, ha dichiarato. Secondo fonti ufficiali, il Papa, dopo aver salutato ad uno ad uno i 16 profughi Rohingya, ha concluso: “La presenza di Dio si dice oggi anche Rohingya”. Una visita, secondo molti, teologicamente molto importante, dopo il silenzio dei giorni precedenti.

In Bangladesh, a forte maggioranza musulmana, la comunità cattolica conta circa 380 mila fedeli. Al suo arrivo Papa Francesco ha ringraziato il Bangladesh dell’enorme sforzo per accogliere i Rohingya in fuga dal Myanmar. “Questo è costato non poco sacrificio e dinanzi agli occhi del mondo intero”, ha ribadito il Papa. Che presentandosi alle autorità bengalesi ha affermato: “Il Bangladesh è una nazione che si sforza di raggiungere un’unità di linguaggio e di cultura nel rispetto per le diverse tradizioni e comunità, che fluiscono come tanti rivoli e ritornano ad arricchire il grande corso della vita politica e sociale del Paese. Nel mondo di oggi nessuna singola comunità, nazione o Stato, può sopravvivere e progredire nell’isolamento. In quanto membri dell’unica famiglia umana, abbiamo bisogno l’uno dell’altro e siamo dipendenti l’uno dall’altro“. Papa Bergoglio per confermare il senso del suo viaggio pastorale, ha in programma una visita interreligiosa ed ecumenica con esponenti islamici, induisti, buddisti e cristiani di diverse denominazioni.

Non basta. Nel 2017, a 67 anni dall’approvazione della Convenzione per l’abolizione della schiavitù, sono sistematiche le violazioni dei diritti umani. La tratta di esseri umani, ogni anno, coinvolge migliaia di migranti, che continuano a morire in mare o a subire violenze e torture nei centri di detenzione in Libia.

La giornata internazionale contro la schiavitù è l’occasione per porre l’accento sulle scelte fino ad ora assunte dall’Unione europea e dal nostro paese sull’emergenza dei migranti. Gli ultimi dati sugli sbarchi, secondo le stime del Ministero degli Interni, dopo l’accordo siglato dall’ONU, dall’Italia e dall’UE con la Libia di Serraj avrebbe permesso la diminuzione del numero di migranti verso il vecchio continente. Non si possono però dimenticare le condizioni disumane in cui versano da decenni i migranti che tentano la traversata del Mediterraneo, partendo dalle coste libiche. Nella Conferenza per la protezione dei migranti lungo la rotta della tratta, i ricollocamenti dei rifugiati politici in Europa e la promozione dei rimpatri dei migranti economici – per i quali sono stati investiti 50 milioni di euro dall’UE – tenutasi in Costa d’Avorio, è venuta a mancare una programmazione economica per intervenire nei paesi, dai quali provengono il maggior numero di migranti. E resta ancora irrisolta la questione sulla chiusura dei centri di detenzione e sulle modalità di intervento della guardia costiera libica. Quest’ultima, solo due settimane fa, ha ucciso migranti che tentavano la traversata, mentre erano in corso i soccorsi della ONG tedesca Sea Watch.

La schiavitù, la prostituzione, la tratta di esseri umani sono le piaghe del nostro secolo. Un secolo in cui è salita vertiginosamente l’escalation di violenze, guerre civili e le discriminazioni etniche e religiose. Dinanzi a questi fenomeni, la visita pastorale del Papa si tinge inevitabilmente di foschi presagi e di un’eloquenza quasi meschina. La tragedia dei Rohingya, che sta assumendo le proporzioni di una pulizia etnica, spaventa il mondo cattolico e cristiano, là dove vi sono comunità esigue e minoritarie. Le persecuzioni in atto contro i Rohingya in Myanmar da parte della maggioranza buddista nazionalista ed identitaria, non è escluso che un giorno possa rivolgersi anche contro la comunità cristiana.

Quale valore assumono concretamente la visita e le parole stesse di Papa Bergoglio rispetto alle violenze e alle condizioni di estrema povertà e precarietà dei Rohingya? Lo sforzo del Bangladesh nell’accoglienza dei profughi non si è mai rivelato risolutivo e neppure è stata dimostrata concreta solidarietà nei confronti di una minoranza che, anche nello stesso Bangladesh, è stata e continua ad essere soltanto tollerata e non rispettata. L’accoglienza di cui parla il Papa è piuttosto una condizione inevitabile. Le migliaia di persone in fuga da Rakhine sono state costrette a dirigersi verso i confini con il Bangladesh, dopo essere state relegate in un fazzoletto di territorio birmano, nel nord est del paese. Le condizioni umanitarie degli improvvisati campi profughi in Bangladesh non garantiscono né i bisogni primari della popolazione musulmana, né condizioni di vita dignitose.

In questa giornata dedicata alla lotta alla schiavitù emerge un altro dramma, che ha ancora una volta come protagonista i Rohingya. Un giornalista svedese, recatosi nei precari campi profughi ai confini con il Bangladesh, ha fornito una tragica testimonianza di una nuova forma di commercio che ha come oggetto i bambini Rohingya. Rainews24 ha raccolto le testimonianze di questo giornalista svedese. Nei campi profughi, banditi rapiscono e vendono bambini per 150 dollari. In un’intervista a volto coperto uno di loro ha affermato: “È solo un lavoro, mi serve per sopravvivere, quando vedo un bambino da solo penso ai soldi”.

Nell’agghiacciante verità dei fatti si nascondono povertà ed interessi politici. Povertà che affligge un paese di 160 milioni di abitanti come il Bangladesh, incapace di accogliere la sua stessa popolazione. Interessi che, in Myanmar, dove da pochi anni è caduta la dittatura militare, frenano le prospettive di una reale riconciliazione tra musulmani e buddisti.

Papa Francesco ha perciò giocato un’altra carta e ha rinunciato a dare un’impronta rivoluzionaria alla sua visita pastorale. Un’ambizione che si auspicava essere tra i punti principali della sua agenda.

 

Chiara Colangelo

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