Intervista a Tony Iacovino, giovane recordman del nuoto italiano non più in attività

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Lo sport ci regala spesso storie di atleti ricchi e famosi, che riescono a raggiungere il successo e a conquistare in questo modo il grande pubblico. Ma ci sono anche delle storie più nascoste, che riguardano persone non così fortunate. Storie che non hanno mai raggiunto le prime pagine dei giornali, anche se lo meriterebbero. Storie che in realtà incarnano la bellezza e lo spirito dello sport molto più di tante altre già note alla maggior parte della gente.

La storia che vogliamo raccontare oggi è proprio una di quelle storie. Essa riguarda un giovane nuotatore italiano che, dopo aver fatto tanti sacrifici nella vita per diventare un atleta professionista, ha dovuto ritirarsi dall’attività agonistica per colpa di un destino avverso. Nella sua breve carriera, però, è riuscito comunque ad ottenere un riconoscimento tanto prestigioso quanto guadagnato: il record italiano nei 100 m farfalla. Un record che dura da 10 anni e che non sembra essere destinato ad essere infranto a breve. Un record di cui lui stesso ci ha parlato qualche giorno fa. Dando finalmente la possibilità alla sua storia di essere raccontata come merita.

  • Nome?

Tony Iacovino.

  • Luogo e data di nascita?

Sono nato a Campobasso, nel Molise, il primo aprile del 1993.

  • Come ti definiresti in una parola?

Appassionato.

  • Quali passioni hai?

La musica, viaggiare, leggere, il cinema e ovviamente il nuoto.

  • Come è nata la passione per il nuoto?

In realtà all’inizio non mi piaceva per niente nuotare. Mia madre mi ha costretto a cominciare a farlo all’età di due o tre anni. Ma io mi sentivo a disagio in acqua, tant’è vero che mi sono allontanato dal nuoto per qualche tempo. Poi però, piano piano, è diventata la mia vita.

  • Quando ti sei reso conto che avresti potuto fare il nuotatore a livello agonistico?

Bè, quando sono cominciati ad arrivare i primi risultati significativi. È stato allora che ho deciso che avrei gareggiato a livello agonistico.

  • Quanti e quali sacrifici hai fatto per renderlo possibile?

Tanti. La sede della Federazione italiana di nuoto è ovviamente a Roma, e così ogni giorno dovevo salire da Campobasso per allenarmi. Per questo, devo dire grazie a mia madre che mi ha accompagnato ogni volta. E poi ho dovuto stare costantemente attento all’alimentazione. E non è stato facile nemmeno trovare un equilibrio con gli studi scolastici, visto che gli allenamenti erano di mattina e di pomeriggio. Ma non mi ha mai pesato troppo, in verità, perché la mia passione per il nuoto era più grande di tutto questo.

  • Quali stili facevi di solito?

Soprattutto stile libero e farfalla, sui 50 m e i 100 m.

  • É vero che sei stato in squadra con alcuni dei più famosi nuotatori italiani dell’epoca?

Sì, ero in squadra alla Larus con Federica Pellegrini, Filippo Magnini, Luca Dotto, Gregorio Paltrinieri, Michele Santucci… Con alcuni mi tengo ancora in contatto.

  • Qual è la persona nel mondo del nuoto che ti ha formato di più?

Il mio primo allenatore, Massimo Tucci. Mi ha trasmesso la passione per lo sport, il duro lavoro e la capacità di essere sempre concentrato sull’obiettivo.

  • Hai vinto anche delle gare molto importanti.

Sì, ho vinto tanti premi, come il Trofeo Italo Nicoletti nel 2007 e i vari campionati di categoria.

  • Ma poi ti sei dovuto ritirare.

Sì, nel 2013, dopo più di 10 anni di carriera agonistica. Mi si è infiammata la spalla destra. Ho provato a fare un sacco di fisioterapia e a consultare diversi medici, ma purtroppo non è servito. Il dolore è rimasto molto forte, e perciò non riuscivo più a distendere le bracciate come prima. Non c’è stato niente da fare.

  • Ritieni che lo sport ad alti livelli faccia male al fisico?

Secondo me sì, perché farlo tutti i giorni con quella intensità ti consuma il corpo, soprattutto le articolazioni. Ovviamente, per noi nuotatori, le spalle sono le più sollecitate purtroppo.

  • E quindi cosa hai fatto dopo il ritiro?

Ho dovuto scegliere cosa fare da grande. Non potendo più nuotare come avrei voluto, ho scelto di proseguire il percorso accademico. E così mi sono iscritto alla facoltà di giurisprudenza all’università La Sapienza di Roma.

  • Pensi che avresti potuto proseguire gli studi se avessi continuato a nuotare?

No, perché il sistema italiano ti costringe a scegliere, ad un certo punto, tra studiare e fare sport ad alti livelli. È praticamente impossibile conciliare le due cose. Non è come nei college americani, dove ti aiutano e ti incentivano a portare avanti entrambi gli aspetti. E questo secondo me danneggia enormemente lo sport in Italia.

  • Ti manca nuotare a livello agonistico?

Molto. Soprattutto l’adrenalina della gara, che mi faceva veramente sentire vivo. Ma ora sto bene comunque, ho altri obiettivi e cerco di perseguirli, anche attraverso la formazione e la disciplina che lo sport agonistico mi ha dato.

  • Ora parliamo finalmente del tuo record. Raccontaci il giorno in cui l’hai realizzato.

Il record è stato davvero una grande emozione. Me lo ricordo come fosse ieri. Erano le 5 di pomeriggio del 10 marzo del 2008, a Riccione. C’era tutta la mia famiglia lì a tifare per me. Era il campionato italiano della categoria “ragazzi”, nei 100 m farfalla. Avevo delle buone sensazioni, perché le qualifiche erano andate molto bene. Quando ho finito la gara, è stato incredibile vedere tutto lo Stadio del nuoto di Riccione in piedi ad applaudirmi. Non lo scorderò mai.

  • Qual è precisamente l’entità del tuo record?

Allora, il record italiano di categoria precedente era di Rudy Goldin, che aveva fatto 55.90 nel 1999. Invece quel giorno io ho nuotato in 55.23. Considera che adesso si vincono tranquillamente le gare italiane dei 100 m farfalla anche in 56.70.

  • Quindi quanto tempo pensi che ci vorrà per batterlo?

Bè, io ho dato veramente tutto per realizzarlo. Dunque è difficile dirlo. Sicuramente un giorno sarà battuto, come tutti i record. Però ti dico sinceramente che mi piacerebbe tanto che durasse altri 10 anni.

Sì, perché il significato più profondo dello sport, alla fine, è proprio questo: dare tutto se stessi per poter poi essere ricordati il più a lungo possibile.

Leonardo Gilenardi

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