Intervista ad Alessia Cristofanilli, in scena al Teatro Di Documenti il 19 novembre

Alessia Cristofanilli
Appelsinpiken è una parola impronunciabile, un mondo alla rovescia, un teatro ribaltato, una storia sbriciolata, una scena con i buchi, un universo al sapore di vaniglia.
Domenica 19 novembre alle ore 16 e alle 19 in scena al Teatro Di Documenti “APPELSINPIKEN”, performance di teatro immersivo con gli allievi dell’Atelier – Spazio Aperto di ricerca teatrale.
Un’esperienza di teatro immersivo, regia di Alessia Cristofanilli, per soli 30 spettatori alla volta: il pubblico si muove nelle varie sale e può interagire con i personaggi. Gli spettatori sono invitati a seguire un filo narrativo per orientarsi nella labirintica architettura del Teatro Di Documenti. Una storia delicata ed appassionante, un mistero da risolvere e un luogo tutto da scoprire.
- Buonasera Alessia, grazie per l’intervista. Domenica 19 novembre è in scena al Teatro Di Documenti “Appelsinpiken”: ci racconta cosa vivrà e vedrà il pubblico?
Entrando a teatro il pubblico capirà da subito che si trova dentro ad un dispositivo teatrale non convenzionale, che mescola in sé la performance, il gioco e l’installazione. Il pubblico, infatti, non viene accolto in una platea in cui potersi sedere, ma in una stanza in cui è invitato ad interagire con l’ambiente. La sensazione è quella di camminare dentro una storia, di poter vivere la trama sia da spettatori che da protagonisti, il pubblico potrà fare scelte e da queste cambierà il modo in cui vivrà l’esperienza.
L’arte è un modo di stare al mondo. È un modo di leggere la vita e gli eventi. È una scelta radicale applicata all’esistenza. È qualcosa di prepotente anche e quindi potenzialmente pericoloso per te e per gli altri. È da maneggiare con cura.
- “Appelsinpiken” è una performance di teatro immersivo con in scena gli allievi dell’Atelier Spazio Aperto. Ci dai maggiori indicazioni sul corso da te condotto? Come si può partecipare?
Si Appelsipiken è l’esito finale di un anno di Atelier- Spazio Aperto di ricerca teatrale. L’Atelier vuole essere un laboratorio per allenare il proprio talento creativo ed espressivo attraverso il teatro. Questa’anno il percorso è scandito in moduli tematici, che vanno dal gioco (che io considero la base per avviare qualsiasi processo creativo), fino alla realizzazione di una performance, passando per il gesto, la parola e la ricerca. È aperto a tutte e tutti, dai 16 anni in su. Ognuno può scegliere il tipo di frequenza, si può partecipare anche ad un solo modulo, o a lezioni singole, ovviamente frequentando tutti i moduli il percorso è più organico e completo, ma anche qui ognuno può scegliere il percorso che sente più adatto a sè.
Quello che io cerco di fare, nel mio minuscolo mondo, è sperimentare, cercare linguaggi che possano parlare allo spettatore in modi nuovi, creare piccoli momenti di stupore e meraviglia.
- “Appelsinpiken” è una parola impronunciabile, un teatro ribaltato, un nuovo modo di vivere l’arte. Da artista cosa rappresenta per te l’arte? Credi che possa sovvertire lo “stato delle cose”?
L’arte è un modo di stare al mondo. È un modo di leggere la vita e gli eventi. È una scelta radicale applicata all’esistenza. È qualcosa di prepotente anche e quindi potenzialmente pericoloso per te e per gli altri. È da maneggiare con cura.
Se possa sovvertire lo stato delle cose? Dipende quali cose. Le piccole cose sicuramente. Negli anni di insegnamento ho assistito a tante piccole rivoluzioni personali, ho sentito voci cambiare, ho visto persone prendere più coraggio nel mondo. Le grandi cose non so, o meglio volendo sì, ma si dovrebbe “reinstallare” tutto l’impianto dell’arte, si dovrebbe fare più ricerca, si dovrebbero esplorare nuovi linguaggi e modi per parlare allo spettatore. L’arte dovrebbe essere non una mera materia scolastica ma un’attitudine trasversale a tutta la formazione dall’asilo all’università, un alfabeto in più per interpretare la realtà. Quindi ad oggi quello che io cerco di fare, nel mio minuscolo mondo, è sperimentare, cercare linguaggi che possano parlare allo spettatore in modi nuovi, creare piccoli momenti di stupore e meraviglia.

- Non solo autrice e regista ma anche pedagoga teatrale: come può il teatro diventare educativo?
Il teatro, e per teatro intendo la pratica teatrale, per me è allenamento alla vita e esercizio di umanità. Ci sono regole precise, ma dentro quelle regole puoi, e anzi “devi”, essere più libero possibile. È un ossimoro che non è facile cogliere ed applicare. Ma sta tutto lì. Il teatro ti regala la cornice, lo studio e la tecnica ti consegnano i colori, che quadro dipingi?
Il teatro, e per teatro intendo la pratica teatrale, per me è allenamento alla vita e esercizio di umanità.
- Hai lavorato con maestri e registi del panorama teatrale, come Eugenio Barba, Julia Varley, Mamadou Diume, Jairo Cuesta, James Slowiak, Cora Herrendorf, Armando Punzo, Claude Coldy. Quali insegnamenti e ricordi hai di questi grandi artisti?
Mi sono formata con questi grandi maestri e di loro mi porto dentro lo sguardo (spesso mentre creo gli spettacoli mi chiedo che ne avrebbero detto loro di quella scena o di quel testo). Quello che mi hanno insegnato è sicuramente di pretendere il massimo dalla tua arte, di trovare il modo di fare il meglio possibile con i mezzi che possiedi, non accontentarsi nel primo tentativo, continuare a cercare e a modificare. Poi la dedizione, il fatto che per fare qualcosa di artisticamente dignitoso ci vogliono ore e ore di studio e di lavoro. E poi saper stare in una condizione (quella del processo creativo) in cui nulla è certo e definito, senza per questo, sentirsi persi o sbagliati.
- Progetti futuri?
Continuare a costruire e definire quello che chiamo “Il mio teatro” attraverso la ricerca artistica e sociale che per me non sono scisse. Ho in programma tanti laboratori in diversi contesti e realtà. Poi a gennaio torna in scena il monologo “Da qui non è mai uscito nessuno” da me scritto e diretto, interpretato da Giulia Mombelli. Poi un nuovo spettacolo, nuove collaborazioni, e un nuovo testo che vuole essere scritto.