Intervista ad Alessio Pia, direttore editoriale di Mendel Edizioni: “raccontare la realtà per poi mandarla in pezzi e rimodellarla.”

Mendel Edizioni
Nasce una nuova casa editrice, la Mendel Edizioni. Un progetto editoriale indipendente che mira ad una nuova economia del libro aperta, sostenibile e inclusiva.
La Mendel Edizioni si sviluppa come marchio editoriale autonomo di Editore XY.IT, casa editrice guidata da Virginia Martelli.
Alessio Pia, direttore editoriale, ci fornisce maggiori informazioni sul progetto che si propone di adottare un nuovo sistema di meta – distribuzione capace di ridurre il numero di rese e di costruire un rapporto di collaborazione con i librai, i blogger, i lettori e gli editori.
- Buonasera Alessio. Decidere di far nascere “Mendel Edizioni” in questo periodo storico è sicuramente una scelta coraggiosa, se non ardita. Qual è stata la motivazione che ti ha spinto a dedicarti al progetto? E come superare le difficoltà del momento?
Il lavoro che poi è sfociato nell’apertura di Mendel è iniziato, come spesso avviene nel nostro ambito, informalmente, ovvero a margine di una chiamata su Skype fra me e l’editrice Virginia Martelli. All’epoca mi stavo trasferendo da Rio de Janeiro a Montevideo e seguivo con interesse alcune fiere dedicata alla produzione editoriale artistica indipendente. Virginia, invece, aveva appena presentato la collana di narrativa (re)fusi, che si aggiungeva alle collane di saggistica di Editore XY.IT.
Quando mi chiamò io mi trovavo in uno di questi spazio di co-working, insieme bellissimi e impersonali. In quegli uffici, non un dettaglio sembrava lasciato al caso, eppure, chiuso la dentro, l’impressione non era diversa da quella che avrei provato in spazi simili a New York, Zagabria o Buenos Aires. Una sensazione che è il risultato di quella logica ingenerosa che vuole subordinare la fondamentale individualità delle persone alla logica del consumo; che ci identifica come target, nascondendo dietro questo anglismo meschino la volontà di privarci della libertà di scegliere il prodotto o il servizio del quale scegliamo di voler essere fruitori.
La chiamata si risolse in una discussione appassionante su innovazione, politica, e produzione culturale. Non voglio pensare che ad alimentare le nostre scelte sia stato il coraggio perché Mendel non è una scelta di cuore. È invece un percorso ragionato e complesso che cerca di trovare equilibrio tra l’ortodossia tipica dei settori industriali consolidati, come è quello editoriale, e la spontaneità tipica dell’offerta culturale.
Trovare la quadra fra sensibilità e mondi diversi è, per me, il senso di qualsiasi operazione editoriale. La mediazione è il fulcro del nostro lavoro.
- Si sente spesso dire che la lettura sia un’attività sempre meno frequentata. Pensi sia davvero così? Come far sviluppare la “voglia” di leggere?
Fra le aspettative più importanti che ripongo nel mio lavoro c’è quella di poter contribuire, anche marginalmente, a rovesciare i luoghi comuni. Perché semplificando laddove si dovrebbe approfondire, sono la fine di ogni narrazione. E il mio è un mondo che ha bisogno di storie meravigliose e complesse.
Si racconta spesso di una modernità tecnologica cronofaga e frenetica che, nel giustapporsi ai tempi lenti che si attribuiscono alla lettura, cancella gli spazi ad essa dedicati.
Ma così come la lettura non può dirsi già iscritta nel testo, senza che esista scarto plausibile tra il senso ad esso attribuito e l’uso che ne fanno i lettori, allo stesso modo un testo esiste solo nella misura in cui un lettore gli attribuirà un significato. Quell’immensa produzione testuale di cui siamo tutti continuamente complici, non ha senso che per i suoi lettori; con essi cambia e si ordina secondo codici di percezione sempre nuovi. Il testo diviene tale solo nella sua relazione al mondo esteriore del lettore, attraverso un gioco di astuzie fra due tipi complementari di aspettative: quella materiale, su cui si organizza lo spazio leggibile, e quella organizzativa da cui deriva il metodo necessario alla nascita dell’opera scritta.
In un pianeta che si appresta a ospitare otto miliardi di persone e in un’industria, quella della produzione di contenuti, che a livello globale non accenna a fermarsi, ritenere che si legga sempre meno è nel migliore dei casi un abbaglio, nel peggiore una narrazione tossica che non vuole tenere conto del fatto che le forme producono senso e che un testo è investito di un significato e di uno statuto inediti ogni volta che cambia il supporto che lo propone alla lettura.
Oggi più che mai si assiste al moltiplicarsi delle intersezioni fra quelli che Paul Ricœur chiamava “mondo del lettore” e “mondo della testo”.
Oggi più che mai si legge, con buona pace dei disfattisti.
- I primi due libri in pubblicazione nel catalogo della Mendel Edizioni saranno “Los niños” di Carolina Sanín Paz e “Vater Unser” di Angela Lehner. Vi è scelta precisa nella decisione di incominciare con queste due opere?
La letteratura è un atto politico radicale la cui concretezza si misura nella sua capacità di riferirsi a uno stato di cose e, allo stesso tempo, di saper creare la condizione a cui si riferisce.
Significa che autori e autrici, nel loro tentativo di raccontarci il mondo, sottopongono il linguaggio a una tensione paradossale, obbligandolo discontinuamente a riportare al lettore lo stato delle cose, per poi scalzare questa pretesa ricorrendo a operazioni retoriche attraverso le quali quella realtà tentano di modificarla.
Non ho mai avuto la pazienza di misurarmi con la scrittura ma amo le storie e le persone e coltivo l’ambizione di poter, attraverso i nostri libri, esercitare lo stesso potere a cui possono attingere autori e autrici: quello di presentare un ordine delle cose per poi sovvertirlo con forza. Il nostro catalogo si muove in questa stessa direzione; racconta la realtà per poi mandarla in pezzi e rimodellarla. I libri di Sanín e Lehner descrivono a modo loro la lotta cieca di chi non è più disposto a negoziare il proprio diritto all’esistenza e, nel farlo, plasmano un mondo migliore.
- La casa editrice sarà dislocata in tre paesi e due continenti diversi. Ci spieghi nel dettaglio il progetto?
Mendel è la sintesi calma di tantissime esperienze diverse. La curiosità sapiente di Virginia radicata lungo le sponde del lago maggiore, l’esperienza internazionale che Elena ha avuto modo di esprimere fra Russia, Scozia e Italia. C’è la sconfinata creatività di Juan che si muove fra Venezuela e Cile e la mia isterica voglia di vita che mi ha portato a cercare storie in tutto il centro Europa e poi in America Latina.
Date queste premesse, pensare di poter riassumere Mendel entro le quattro pareti di un ufficio sarebbe stato insieme claustrofobico e limitante.
Certo, c’è una redazione, che sta a Busto Arsizio. A questa però si aggiunge la nostra organizzazione virtuale, che ci permette di organizzare il lavoro e stare in contatto con amici, autori, lettori e librai ma anche confrontarci con altri editori e chiacchierare con gli agenti letterari.
- Il vostro logo è la Thonet n. 14, ovvero la sedia numero 14, una pietra miliare nella storia del design, simbolo di innovazione e di ricerca. La stessa che ti prefiggi possa rappresentare la Mendel Edizioni?
A questa domanda risponderò citando per intero il grafico che ha realizzato il logo per noi. Nel brandbook che ha prodotto a corredo del lavoro di realizzazione del marchio scrive:
La Thonet n. 14 fu rivoluzionaria. Dimostrò che anche il settore industriale più consolidato è capace d’innovazione. Senza mai tradire la natura dei materiali che lavorava, Thonet rese chiaro che la continuità è un valore, che la collettività è una ricchezza e che le rivoluzioni non si nascondono necessariamente dietro la novità, ma nascono spesso dalla seria osservazione del mondo che già ci circonda. Mendel è un marchio editoriale che ha deciso di fondarsi su questi identici princìpi. La Sedia numero 14 è pratica e, nella sua rappresentazione grafica, concreta. Lo spazio vuoto che la circonda è il principio – è il bianco della carta trasformato in piano orizzontale dalle ombre che essa stessa proietta. Attorno alla sua raffigurazione, La Sedia numero 14 sembra raccontarci di un mondo fatto di voci e di storie. Lo sfondo è un caffè viennese, i protagonisti sono gli avventori che lo popolano. Fra loro, se ne distingue uno; è Jakob Mendel.
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