Intervista ad Antonello Loreto: “Regina Blues”, il suo ultimo romanzo

“Antonello Loreto è nato a L’Aquila nel 1970 e vive a Roma. Laureato in Giurisprudenza, per quasi venti anni è stato un consulente e un manager esperto di marketing nel settore della finanza e della comunicazione. Ha inoltre collaborato con l’Istituto Cinematografico “La lanterna magica”, con l’Accademia dell’Immagine dell’Aquila, e come articolista della rivista mensile “Victor l’Avvoltoio”. Da qualche anno ha deciso di cambiare vita e di dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Pubblica in self publishing nel 2014 La favola di Syd e nel 2016 Un’Altra Scelta (Edizioni Progetto Cultura). Per la stessa casa editrice pubblica nel 2018 Regina Blues. Affianca attualmente alla sua attività di autore la direzione artistica di alcune rassegne letterarie a Roma e Milano e la consulenza marketing applicata al mondo dell’editoria.”

  • “Regina Blues” è il tuo nuovo romanzo. Di cosa tratta?

Attraverso la voce narrante di Syd, arbitro designato per la finale del torneo delle scuole, la storia racconta la singola domenica mattina, mai più ripetibile da quel giorno, di un gruppo di liceali, i Santi del liceo Classico e gli Eroi del liceo Scientifico, che vivono a Regina la loro città, dei loro sogni, delle loro attività, delle loro angosce, delle loro speranze. Racconta una partita di calcio memorabile che viene giocata nel pomeriggio della stessa domenica e che sarà bruscamente interrotta da un evento terribile che sconvolgerà la loro esistenza. A quasi trent’anni di distanza, Syd ci racconta infine il suo destino e quello dei suoi compagni, di alcuni che ce l’hanno fatta ed altri no.

  • Regina, la città che dovrà risorgere dalle ceneri può, in qualche modo, rappresentare la realtà moderna e la sua involuzione?

Il riferimento alla mia città è molto chiaro. Non posso dire che rappresenti la realtà attuale perché Regina resta un luogo di fantasia ed il suo destino, raccontato a quasi trent’anni dall’accadimento tragico, vuole essere una proiezione ottimista ma non rispondente all’attualità. Credo che piuttosto di involuzione, il mio romanzo auspichi un’evoluzione, come se fosse un inno positivo alla ricostruzione materiale e morale di una comunità.

  • I 22 personaggi del libro sono totalmente frutto della tua fantasia o ti sei ispirato a persone reali?

Quando si scrive un romanzo di natura “intimista” i riferimenti alla realtà ed autobiografici in genere, sono sempre dietro l’angolo. Alcuni profili sono frutto di fantasia, altri sono un mix di caratteristiche fisiche e caratteriali di persone che hanno accompagnato la mia gioventù. Mi sono divertito a mescolare questi tratti per creare “personaggi” originali, stando ben attento ad utilizzare la massima delicatezza per le singole vicende che racconto. Un procedimento di cui mi ero servito già nella Favola di Syd, dove nell’ultimo capitolo avevo creato alcuni personaggi onirici, frutto di una sintesi dei protagonisti cantati da Syd Barrett.

  • La città in cui sei nato, L’Aquila, ha vissuto in ugual misura la catastrofe del terremoto: cosa può far riprendere una persona dopo un evento del genere?

Rispondo con difficoltà a questa domanda perché pur essendo stato investito in pieno dalla tragedia, ho avuto la fortuna di viverla “indirettamente”. Quindi la domanda andrebbe posta a chi ha subito e subisce tuttora nella vita di tutti i giorni, il confronto con una città ferita che prova con fatica a rialzarsi. Certo, ogni aquilano ha dovuto fare i conti con perdite improvvise di cari o amici, con sensibili danni economici, con una vita da reinventare in altro luogo e magari in età anziana, come ad esempio è accaduto ai miei genitori. Ma credo che non sia descrivibile da chi non ha vissuto tutto sulla propria pelle, qual è il meccanismo che ti aiuta a ricominciare, e se esista qualche speciale antidoto che rimargini una ferita profonda.

  • Tu hai cambiato vita; infatti dopo 20 anni nel marketing hai deciso di dedicarti alla scrittura: è stata una scelta facile da compiere?

Tutt’altro. Ma era una scelta imposta dalla voglia di scrivere e dall’insoddisfazione per la mia vita precedente. Sono stato un po’ incosciente, un po’ coraggioso, un po’ bambino. Ma è stata una decisione presa col paracadute di potermelo “permettere”, dopo anni nei quali comunque mi ero tolto diverse soddisfazioni personali ed economiche. Parlo di fortuna, perché so bene che tante persone, magari di gran talento, sono costrette a riporre i sogni nel cassetto, sacrificandoli sull’altare del vivere quotidiano che ti impone ritmi e scelte. Io ho potuto tirar fuori il mio sogno dal cassetto per innaffiarlo quotidianamente, così da farlo diventare realtà. Per questo motivo mi ritengo un uomo fortunato e felice.

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