Intervista alla linguista forense Luna Vulpetti: “una lingua è non soltanto un sistema comunicativo ma è anche e soprattutto espressione di un Paese”.

Luna Vulpetti, linguista specializzata nell’ambito forense, geopolitico e investigativo.

Lavora principalmente in lingua francese, ma parla perfettamente anche inglese e spagnolo. Dopo la laurea in Mediazione Linguista con indirizzo Sicurezza e Difesa, si è dapprima specializzata con un Master in Criminologia e Scienze Investigative e poi in Politiche Pubbliche per la Sicurezza. Ha collaborato con il Centro Studi Strategici Carlo De Cristoforis e attualmente lavora come freelance come interprete, traduttrice e analista criminale.

  • Che cosa si intende con il termine “linguista forense” e quali sono le differenze con il traduttore e mediatore linguistico forense?

Trovo che questa sia un’ottima domanda di apertura, dal momento che entrambi i ruoli sono a tutt’oggi poco noti e vengono spesso sovrapposti; personalmente ritengo siano meritevoli di una maggiore attenzione e diffusione. Con il termine “linguista forense”, coniato alla fine degli anni ’60 dal linguista svedese Svartvik, si fa riferimento a un esperto di linguistica, spesso anche di dialettologia, che applica la propria conoscenza e competenza in ambito legale, probatorio e/o processuale. Il linguista forense analizza elementi linguistici e fornisce tipicamente perizie e consulenze, analisi documentali e foniche, trascrizioni, attribuzioni autoriali testuali, profilazioni vocali e sociolinguistiche per agevolare l’identificazione di un autore di reato. Il traduttore forense può anch’esso lavorare in ambito giuridico – ad esempio collaborando con studi legali, oppure in campo editoriale/saggistico, traducendo pubblicazioni di natura giuridica – e/o in ambito giudiziario, per conto del Tribunale. Non gli compete l’esame grafo-fonico proprio del linguista forense, pur avendo una formazione di linguistica. L’operato del mediatore linguistico in Tribunale garantisce in particolare il giusto processo, facendo in modo che non si creino circostanze d’incomprensione, disagio o difficoltà comunicative per i soggetti che parlano una lingua differente da quella adottata in sede processuale, in quanto provenienti da Paesi diversi o da contesti sociali svantaggiati.

  • Come ha iniziato la sua carriera?

Il cosiddetto “fil rouge” di tutte le mie esperienze formative e professionali è sempre stato un forte desiderio di interpretare il mondo circostante e di entrare in contatto con esso, passando dal linguaggio al comportamento umano. Così le mie due grandi passioni, le lingue straniere e la criminologia, si sono unite in modo congeniale grazie alla laurea in Scienze della Mediazione Linguistica per la Sicurezza e Difesa Sociale: un percorso accademico che coniuga le tecniche d’interpretariato e traduzione con le discipline criminologiche e sociologiche. Ho poi proseguito con un Master in Scienze Forensi, Investigative e Criminologiche e recentemente ho iniziato un ulteriore percorso universitario specialistico in Politiche Pubbliche per la Sicurezza.

Professionalmente, ho svolto incarichi in varie realtà, spaziando dalle collaborazioni con centri studi e aziende alla formazione e didattica, fino all’alta finanza e alla diplomazia (con un’indimenticabile esperienza alle Nazioni Unite) alternando con periodi di lavoro indipendente in qualità di traduttrice.

Il cosiddetto “fil rouge” di tutte le mie esperienze formative e professionali è sempre stato un forte desiderio di interpretare il mondo circostante e di entrare in contatto con esso, passando dal linguaggio al comportamento umano.

  • Quali sono le doti essenziali per un buon traduttore e mediatore linguistico forense?

Precisione, accuratezza nell’uso della terminologia e cura del dettaglio: fattori che sono alla base della professione del traduttore in generale, ma che in questo caso devono essere ai massimi livelli, perché quando si traduce o s’interpreta in ambito forense­-criminologico la scelta di ricorrere a un termine o a un costrutto rispetto ad un altro implica una notevole assunzione di responsabilità da parte del traduttore/mediatore, in considerazione della delicatezza ed elevata specificità della materia trattata. È un settore ricco di tecnicismi e perfino l’uso di un sinonimo può alterare o compromettere il senso di un vocabolo come di un concetto, sia che si tratti di un articolo accademico o di un saggio giuridico, sia che si tratti di un documento di natura legale, di una testimonianza o di un atto giudiziario. Oltretutto, il traduttore/interprete che opera come consulente tecnico d’ufficio e commette degli errori o non tratta adeguatamente dati sensibili può incorrere in sanzioni anche gravi. E dall’altro lato, le conseguenze di una traduzione errata in ambito giudiziario potrebbero essere pesantissime se queste arrivassero a causare pene ingiustamente inflitte. Bisogna pertanto acquisire un’elevata conoscenza e dimestichezza nel campo e lavorare con estrema attenzione e riservatezza.

  • Quali lingue consiglierebbe di apprendere a chi è interessato al campo forense?

A chiunque sia intenzionato a lavorare in questo campo, specialmente se interessato al lavoro in tribunale, oggi mi sentirei di consigliare di orientarsi verso lingue più competitive, in cui trovare meno offerta e più domanda, come l’arabo e il cinese o i dialetti rari. Questo per avere un margine di lavoro maggiore come traduttore e interprete CTU a fronte della tanta concorrenza.

  • Lei è stata anche traduttrice in ambito geopolitico presso il Centro Studi Strategici Carlo De Cristoforis, di cosa si occupava?

Per conto del CESTUDEC, centro di respiro internazionale con il quale ho avuto il piacere e il privilegio di collaborare in più occasioni, ho svolto incarichi di analisi e di traduzione saggistica, prevalentemente dal francese verso l’italiano, che è la mia combinazione linguistica d’elezione. Benché non possa entrare nei particolari della collaborazione, per ragioni di riservatezza, posso dire che il mio lavoro abbracciava a grandi linee i temi legati alle relazioni internazionali, alla guerra economica e alla sicurezza globale. Un’esperienza lavorativa stimolante e arricchente che ha indubbiamente rafforzato la mia passione per la geopolitica e l’intelligence, consentendomi al contempo di ampliare il mio ventaglio di conoscenze rafforzando ulteriormente le mie competenze traduttologiche.

  • Quali lingue consiglierebbe di apprendere a che è interessato alla professione di linguista geopolitico?

A mio avviso è indispensabile anteporre una riflessione a qualsivoglia scelta che si focalizzi sul mero idioma in sé: una lingua è non soltanto un sistema comunicativo, ma è anche e soprattutto espressione di un Paese, delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche, storiche e attuali di quest’ultimo e del potere che detiene. Si pensi ad esempio all’inglese e alla sua diffusione, che è la perfetta rappresentazione dell’egemonia anglosassone in tutto il mondo. Con questo voglio dire che una lingua è parte integrante della nazione che la parla e della sua dimensione socioeconomico-culturale e rappresenta uno strumento strategico con una forte valenza simbolica, più di quanto comunemente si pensi. Questo aspetto ha un valore ancora più alto in campo geopolitico, ragion per la quale lo studio delle lingue in quest’ottica non può prescindere dal ruolo da protagoniste delle Potenze mondiali. Dunque, oltre all’inglese, al francese e al tedesco, trovo sicuramente indicato uno studio del russo e del cinese, solo per citarne due fra le più richieste.

Una lingua è non soltanto un sistema comunicativo, ma è anche e soprattutto espressione di un Paese, delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche, storiche e attuali di quest’ultimo e del potere che detiene.

  • Quali sono le difficoltà del linguista geopolitico?

Non basta acquisire e impiegare opportunamente la terminologia specifica. Occorre approcciare i testi in modo neutrale, scevri da prese di posizione, idee politiche personali e preconcetti di sorta e possedere una buona conoscenza delle dinamiche e delle strategie che animano lo scacchiere globale, requisito indispensabile, questo, per poter tradurre, capire e impiegare la lingua di riferimento con contezza e con la giusta chiave di lettura. È di estrema importanza tenersi costantemente aggiornati sul panorama internazionale, documentandosi su quante più fonti possibili, prestando peraltro assoluta attenzione alle strumentalizzazioni mediatiche e alle sempre più dilaganti e sempre più subdole fake news, che in questo scenario sono vere e proprie armi al servizio della guerra dell’informazione, nota anche come “Information Warfare”. È una matassa che bisogna saper dipanare. Il rischio altrimenti è quello di crearsi una visione distorta o parziale e una conoscenza in materia insufficiente o viziata, il che pregiudicherebbe una corretta contestualizzazione e macchierebbe di pressapochismo il lavoro linguistico prodotto. Il consiglio pertanto è quello di approfondire il più possibile e di considerare fenomeni e accadimenti d’interesse geopolitico a 360 gradi.

  • Lei traduce e interpreta anche in ambito sanitario, cosa la affascina di questo settore?     

Per rispondere a questa domanda, desidero raccontare un episodio che ho particolarmente a cuore, vissuto in prima persona un paio di anni fa. Mi ritrovai ad assistere in qualità di interprete un minore italiano in vacanza-studio in Costa Azzurra, che venne ricoverato in ospedale con sintomi riconducibili a un’appendicite acuta. Rimasi con lui per tutta la degenza, condividendo la sua stanza e interagendo con medici e infermieri giorno e notte, assicurandomi che gli venisse prestata adeguata assistenza e che alla famiglia in Italia giungessero tempestivamente informazioni e aggiornamenti. Fortunatamente il ragazzo venne poi dimesso senza dover subire un intervento, ma l’essere stato affiancato da una figura qualificata lo aveva messo nelle condizioni di affrontare il momento critico in un contesto straniero con cognizione di causa, senza sentirsi disorientato, senza ansie aggiuntive, senza distorsioni comunicative che avrebbero potuto inficiare valutazioni mediche e scelte terapeutiche. Il personale medico aveva potuto lavorare e gestire il paziente in modo fluido e un passaggio di informazioni immediato e chiaro era riuscito ad accorciare le distanze con i familiari e a rassicurarli il più possibile. Fu impegnativo e faticoso, ma vedere quel ragazzo sorridere e sentirlo ringraziarmi per non averlo fatto sentire solo e incompreso fu la mia più grande ricompensa. Per me l’interprete in ambito sanitario è una sorta di angelo custode del paziente, con tutti gli oneri del caso, ma a volte anche qualche onore.

  • Lei ha lavorato molto come freelance. La sua è una carriera più facilmente accessibile da libera professionista che da dipendente?

Da un certo punto di vista questo lavoro può essere effettivamente considerato una professione freelance per eccellenza e sicuramente presenta i suoi vantaggi, dato che consente di proporsi sul mercato, acquisire clienti, stabilire i compensi e operare in modo indipendente. Si parla molto di smart – working e lavoro da casa in questo periodo e in fondo i traduttori ne costituiscono un esempio consolidato. Tuttavia, credo che un laureato in traduzione e interpretariato, ancor di più se abbina alla sua preparazione linguistica un’area tematica di specializzazione, abbia sul mercato del lavoro una spendibilità, una versatilità e un’elasticità mentale tali da potersi inserire in svariati ambiti lavorativi, anche di tipo subordinato, senza doversi per forza indirizzare verso la libera professione. In considerazione di ciò, auspico che le aziende puntino sempre di più su candidati con il nostro tipo di background. Io stessa, in fin dei conti ho piacevolmente svolto, oltre al lavoro autonomo, numerose collaborazioni professionali da dipendente. Il punto di forza è proprio questo: la possibilità di misurarsi con sfide e dimensioni lavorative di ogni sorta. Se si sceglie di vederla da questa prospettiva, ovvero che uno specialista in lingue possiede molteplici risorse e una marcata flessibilità, in quanto abituato dal tipo di studi che ha condotto a esplorare e approfondire molti temi e settori, allora più che di accessibilità io parlerei piuttosto di possibilità di scelta fra la carriera da libero professionista e quella da lavoratore dipendente, in base alle proprie attitudini, aspettative e aspirazioni. E, volendo, si possono anche sperimentare entrambe le tipologie all’occorrenza, reinventandosi e mettendosi in gioco per crescere e formarsi ulteriormente. Come individui e come professionisti.

  • Ci sono sempre più software e app specializzati nella traduzione simultanea anche in lingue decisamente complicate come cinese e arabo: è antiquato ormai studiare una lingua straniera?

È un quesito che uno specialista in lingue si sente rivolgere abbastanza spesso, potremmo definirlo un po’ il tormento dei professionisti del settore! La verità è che nessuna macchina o intelligenza artificiale, proprio in quanto artificiale, potrà mai sostituire l’intelletto e la personalità di un essere umano, né potrà di conseguenza cogliere e concettualizzare le sfumature semantiche, emotive, stilistiche e tutte le tipicità che caratterizzano il modo di esprimersi di ciascun individuo, come solo un altro individuo può fare. Lungi da me demonizzare la tecnologia da Lei menzionata, che ha compiuto degli importanti progressi e che rappresenta un valido e fondamentale supporto per gli addetti ai lavori, ma a mio parere programmi e applicativi vanno sempre visti come strumenti e non come sostituti. Perciò, in definitiva la mia risposta è che vale sempre la pena studiare una lingua straniera, ancor di più in quest’epoca globalizzata e tecnologica, perché le barriere linguistiche e i confini geografici, culturali e mentali li supera l’essere umano; eventualmente con l’ausilio di software e app…  Ma non si può né si deve immaginare che avvenga il contrario. La chiave ottimale è in definitiva la combinazione delle due dimensioni, non ricorrere al surrogato.

Nessuna macchina o intelligenza artificiale, proprio in quanto artificiale, potrà mai sostituire l’intelletto e la personalità di un essere umano, né potrà di conseguenza cogliere e concettualizzare le sfumature semantiche, emotive, stilistiche e tutte le tipicità che caratterizzano il modo di esprimersi di ciascun individuo, come solo un altro individuo può fare.

Martina Seppi

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1 thought on “Intervista alla linguista forense Luna Vulpetti: “una lingua è non soltanto un sistema comunicativo ma è anche e soprattutto espressione di un Paese”.

  1. Gentile dottoressa Vulpetti vorrei sapere se rientra nella sua specializzazione anche l’interpretazione forense del labiale da video. Cordiali saluti

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