Intervista alla scrittrice Chiara Borghi: il suo ultimo libro “Lucia non cade”.

Ho avuto il piacere di intervistare Chiara Borghi, scrittrice e fondatrice dell’associazione ” La bottega dello scrittore”.

Ha pubblicato il suo terzo libro “Lucia non cade”, il quale tratta di un argomento sfortunatamente molto attuale e tragico: la violenza sulle donne e il cambiamento che si verifica nell’animo di chi la subisce.

Di seguito l’intervista.

  • Buonasera Chiara. Prima di parlare del suo ultimo libro, vorrei domandarle degli altri libri che ha pubblicato e di quali argomenti trattano.

In precedenza ho pubblicato due romanzi brevi. Il primo Drake’s Heaven è un romanzo di formazione, 4 ragazzi poco più che adolescenti si trasferivano nel bosco per cercare di vivere con delle regole alternative alla “società” che li aveva delusi e li aveva trattati come merce. Avevo 18 anni, è stato il mio battesimo, il romanzo ebbe belle critiche e mi trovai ad essere “celebre” nella mia Università, alcuni critici dissero che “la mia scrittura era innovativa”. Mi presi del tempo per studiare e maturare poi scrissi “Il tempo è scaduto” un romanzo filosofico sul tema del suicidio e sull’importanza dell’amore nella vita di ogni uomo. Di fondo c’era ancora il tema del fallimento della società basata sui consumi e al capitalismo del “men eats men”.

I primi miei due lavori hanno protagonisti maschili, le donne spesso fanno solo da controcanto. Volevo un romanzo che parlasse di quanto è difficile essere una donna, del poco posto che il mondo ci lascia per realizzarci. Per questo ho cominciato a pensare a Lucia non cade.

  • Si dedica solo all’attività di scrittrice?

In prevalenza, perseguo il mio sogno. Per vivere dirigo l’associazione La bottega dello scrittore, insegno scrittura creativa all’Università popolare di Roma. Sono responsabile di una web-radio, al momento nascente, adp-radio.

  • Il suo ultimo libro è “Lucia non cade”. Può spiegare ai lettori di cosa tratta il romanzo?

È un romanzo sulla violenza di genere. La vicenda ruota attorno ad uno stupro ma la violenza di cui si parla non è solo legata a quella vicenda ma è componente base di una società patriarcale che tende a non rispettare le donne. È una storia estrema, un thriller cattivo. Volevo un lavoro che facesse pensare il ruolo della donna in modo ampio anche alla luce della nuova ondata di violenza.

  • Ho considerato particolare la scelta di narrare la vicenda anche dalla parte dell’aggressore. Come mai questa scelta? Non ha avuto il timore che suscitasse nel lettore pietà e pena, piuttosto che disgusto?

Credo che anche lo stupratore sia una vittima. Vittima di un mondo che educa i maschi a maltrattare le femmine. Tutti sono coinvolti in questo tragico massacro, in primo luogo le istituzioni che spesso sono assenti o inadeguate. Se legge i giornali dietro ogni vittima di femminicidio capirà che si nasconde una storia di abbandono e di servizi sociali assenti. Inoltre molte donne soffrono di quella che ho chiamato nel romanzo “la colpa di Eva” ovvero si vergognano di essere state stuprate e spesso difendono il loro aggressore.

  • Nel libro Lucia spesso ripete: “non devi diventare un caso di cronaca nera”. Non crede che questo possa dare un messaggio negativo, di non denuncia nel momento in cui si è vittima di un’aggressione?

Spesso vediamo donne che hanno subito violenza che subiscono poi anche la gogna mediatica. Trovo che questo sia inaccettabile. Bisognerebbe rivedere la legge sullo stupro, formare gli agenti che raccolgono la denuncia in maniera adeguata e offrire maggior sostegno alle vittime. C’è bisogno di un’operazione culturale, se continuiamo a pensare anche in maniera latente che la donna “se la va a cercare” perché provoca o altro, non andremo mai da nessuna parte.

  • Mi ha colpita nel libro la scena in cui Lucia quasi medita di uccidere un vagabondo per esercitarsi e non lo fa solamente perché pensa che sarebbe un’inutile complicanza, un puro e semplice esercizio di stile. A tal proposito mi sono chiesta e ora domando a lei: ma chi è Lucia? Una donna priva di scrupoli già da prima oppure cambiata a causa di ciò che ha subito?

Lucia è una praticante architetto, una che nella vita voleva costruire case e palazzi. La violenza la rende folle. La scena di cui lei parla è un omaggio al film “Arancia Meccanica”, il mondo del romanzo è un mondo esasperato e violento come quello del film di Kubrik.

  • Nel libro scrive: “Lucia ha pagato, si è piegata, ha fatto quello che era giusto e che doveva fare. Ora può ricominciare”. Ma è veramente giusto ripagare la violenza subita con altra violenza? È veramente questa la soluzione rispetto al male ricevuto?

No, la giustizia è la via giusta. Lucia avrebbe dovuto denunciare, essere assistita, protetta, confortata, guarita dal dolore dell’animo che lo stupro le ha procurato. Ad oggi, in Italia se lei prova a fare una ricerca (come ho fatto io prima di mettermi a scrivere una storia del genere) la quasi totalità delle donne che subiscono violenza sono costrette a subire interrogatori della polizia, dei medici che hanno l’obbligo di verificare i segni di stupro e classificarli in base alle lesioni riportate. Poi, devono sottoporsi alla pena del processo e del giudizio di una società civile feroce. Ho studiato storie di donne che si sono uccise per non essere state credute dalla polizia. Basta dare una letta ai giornali, ultimamente si è risolto un processo per stupro con l’assoluzione dell’imputato perché la donna in questione durante la violenza non ha urlato a sufficienza. Questo è il mondo contro il quale combatto, da donna per le altre donne.

Non difendo la vendetta, la via giusta però al momento non è percorribile. Le istituzioni sono assenti e le donne sono sole.

 

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