La guerra che non abbiamo mai combattuto

«Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinti che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock star. Ma non è così». Jim Uhls, sceneggiatore di Fight Club, affidava queste parole a Tyler Durden (Brad Pitt) per descrivere lo stato di almeno due generazioni ma anche di più. Sono passati vent’anni ma la situazione è la stessa, se non peggiorata. Al tempo infatti se non altro le persone si aggregavano, si ritrovavano insieme, oggi invece sono tutti più isolati dietro ai propri schermi degli smartphone.

Sono inoltre aumentati i problemi di disagio sociale, in primis l’abuso di droghe da parte dei giovani. Tematica che non viene mai affrontata con il giusto impegno, perché parlarne vorrebbe dire ammettere l’esistenza del problema e in questo paese ancora bigotto viene relegato a fenomeno di secondo piano: c’è ma per colpa degli spacciatori extracomunitari e comunque chi fa uso di sostanze viene considerato dall’opinione pubblica come persona ai margini della società, nata in un contesto di degrado e violenza. Questo è un po’ come nascondere la polvere sotto al tappeto, perché l’abuso di droghe coinvolge tutta la società dalla periferia ai quartieri del centro. La colpa a volte, secondo certa informazione, andrebbe addirittura attribuita ai rapper che ne parlano nelle loro canzoni e non a chi ha il potere per fare qualcosa di concreto ma non lo fa. E così i ragazzi, senza dubbio anche per responsabilità proprie, vivono in questo stato di spleen, indifferenti a tutto.

Provocatoriamente come si diceva nel titolo la colpa è il non aver vissuto una guerra; perché chi ha avuto la fortuna di conoscere e poter ascoltare le storie dei propri nonni, ha appreso come la guerra ha sì tolto molto ma ha insegnato altrettanto. Ha insegnato a darsi da fare, a rimboccarsi le maniche, ha insomma dato un senso del dovere che ormai manca ai giovani d’oggi. Lo si può notare anche nel differente tipo d’impegno che ci mettono rispetto a noi italiani le persone provenienti dall’est Europa, che sia nello studio o nel lavoro. Tutto ciò unito anche alle responsabilità (colpe) di uno Stato che non offre prospettive ai ragazzi fa sì che tendenzialmente si finisce per prendere solitamente tre strade: chi nasce in quartieri diciamo “difficili” in quelli finisce per rimanere, entrando nel mondo della criminalità, c’è chi prende e parte e infine chi magari ci prova anche ma per vari motivi deve finire per arrendersi alla prospettiva di una vita mediocre per difetti propri ma di certo anche per quelli di una società e più in generale di un sistema da rivedere totalmente.

É un mondo in cui ormai l’individuo si trova alienato, si hanno molti amici sui social, ma nella realtà si è da soli, pervasi da un senso di malinconia che nei giovani alberga da sempre, è un mondo privo di ideali, una guerra avrebbe forse salvato molte vite dalla loro banalità, dal tempo perso sul divano e avrebbe potuto dargli un senso. Perché per vivere bisogna credere in qualcosa e questa voglia dei nostri tempi di andare oltre le ideologie non fa che peggiorare la situazione.

«Fantasmi, intendo/ son la gloria e l’onor; diletti e beni/ mero desio, non ha la vita un frutto,/ inutile miseria». Così sentenziava Giacomo Leopardi ne Le Ricordanze, dicendoci che tutto ciò in cui crediamo non ha valore di fronte alla vanità della vita, ma nello stesso momento in cui proclamava la vanità del tutto il poeta creava una nuova ideologia, la sua. E scoprirla secoli dopo nelle scuole, per merito di professori ancora devoti alla causa dell’insegnamento come formazione della persona, dava sollievo a noi ragazzi che ascoltavamo quelle parole, perché per quanto tutto sia effimero alla fine qualcosa resta; come quelle parole che nonostante sembrassero disprezzare la vita, entravano a far parte del bello, dell’arte e ci indicavano una via. Per certi aspetti questi artisti nel loro apparente nichilismo ci insegnavano dei valori, e ci accompagnavano alla porta dell’età adulta dicendoci che sarebbe stato possibile diventare quello che avremmo voluto, ma come si diceva all’inizio non sempre è stato così. Come questo pezzo che in origine voleva essere qualcosa di diverso ma allo stesso modo di un giovane che si perde negli anni della vita così si è perso tra le righe della pagina ed è finito per diventare quello che è, comunque autentico.

Francesco Castracane

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