La guerra di Erdogan contro il popolo curdo

La tregua imposta alla Turchia offre la possibilità al popolo curdo di poter evacuare le aree maggiormente colpite dalle offensive di Ankara; un attimo dopo l’ufficiale ritiro delle truppe americane dall’avamposto siriano che proteggeva e aiutava i presunti alleati curdi, il governo di Erdogan bombardava a tappeto le zone abitate dai curdi, in particolare le città del nord-est della Siria, svolgendo quello che appare come un tentativo di sterminio di un popolo senza una patria.

Erdogan si ostina a ritenere i curdi dei terroristi e un pericolo per il governo turco e questo sembra giustificarlo nella sua caccia all’uomo, o meglio alla donna. Infatti, pochi giorni fa l’attivista per i diritti delle donne curda Hevrin Khalaf è stata assassinata da miliziani filo-turchi e islamisti che l’hanno intercettata in un taxi grazie presumibilmente ad una soffiata. Più che assassinata, si può parlare di una vera e propria esecuzione, avvenuta in pochi minuti.

Tutto questo mi fa pensare ad un famoso proverbio della mia zona: quando i gatti mancano i topi ballano. Senza gli americani ad assicurarsi che i topi stessero buoni, questi ultimi stanno approfittando di una indiscriminata libertà di azione che potrebbe durare fino all’annientamento del popolo curdo. Con questo comportamento, il Presidente Trump si dissocia dal classico atteggiamento bellico americano. Dalla Seconda guerra mondiale in poi, gli Stati Uniti sono stati presenti in quasi tutti i grandi conflitti nelle regioni più disparati della terra, toccando quasi tutti e cinque i continenti. Il controllo americano doveva essere assolutamente garantito nei maggiori teatri bellici per poter ribadire la superiorità dell’artiglieria e della strategia militare americana, nonché per sviluppare preziose alleanze politiche con Stati strategici. Sebbene gli Stati Uniti non abbiano l’autorità per invischiarsi in ogni conflitto bellico per poter trarne qualche profitto, il controllo americano in Siria era fondamentale per poter supportare i curdi nella loro lotta contro l’ISIS e per garantire loro la giusta protezione dal governo di Ankara.

Il protezionismo di Trump ha toccato l’apice con la sua ritirata circa una settimana, ma ciò non è altro che la prosecuzione di un suo piano di salvaguardia delle truppe americane, iniziato già diversi mesi fa, quando le prime truppe di stanza in Siria si sono ritirate perché considerata zona interessata da un conflitto che non dovrebbe coinvolgere gli Stati Uniti. Inoltre, Trump ha recentemente dichiarato che i curdi “non sono dei santi. Se la vedano Siria e Russia, a noi non ci riguarda”. Evidentemente basta poco per poter giocare con la vita altrui se si è il Presidente degli Stati Uniti.

Anche se i curdi non fossero “i santi” o gli eroi e le eroine della lotta all’ISIS (ma sfido chiunque a dire il contrario), bombardare i civili viola dozzine di leggi sancite dal protocollo internazionale del diritto dei conflitti armati secondo i quali le azioni belliche devono interessare solamente le forze armate e mai riguardare la popolazione civile, i combattenti che si sono arresi, i prigionieri di guerra e le forze di soccorso umanitario. Mi aspetto, quindi, che l’ONU insieme ai maggiori difensori dei diritti civili e del diritto dei conflitti armati prendano provvedimenti legali contro la Turchia per violazione dei diritti umani e impongano una tregua duratura con l’invio dei caschi blu. Tuttavia, siccome l’ONU è influenzato dal diritto di veto degli Stati Uniti che si sono lavati le mani del destino dei curdi, è molto improbabile che ciò accada nell’immediato futuro.

Martina Seppi

Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay

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