La passione per la recitazione tra mondi, generazioni e continenti diversi nell’ultimo film di Xavier Dolan “La mia vita con John F. Donovan”.

Immaginate voi stessi, nel silenzio della vostra cameretta, all’età di otto anni, scrivere una lettera carica di ammirazione e gioia alla Jennifer Aniston della famosissima serie tv “Friends” o a Khal Drogo di “Games of Thrones”.
Poi immaginate Xavier Dolan, alla stessa età, scrivere una lettera a Leonardo di Caprio e aspettare invano una risposta.
Infine immaginate lo stesso Dolan, dopo 22 anni, regista di film pluripremiati – “Mommy” ed “E’ solo la fine del mondo” ne sono un esempio –, riscrivere il finale triste della sua gioventù trasognata. Ecco come nasce il film “La mia vita con John F. Donovan”.

Un giovane fan (Jacob Tremblay) di Donovan invia una lettera all’attore famoso (Kit Harington) e questo, inaspettatamente, gli risponde. Inizia così un’amicizia epistolare tra Rupert Turner e John Donovan.
Anni dopo, Turner (Ben Schnetzer) viene intervistato da Audrey Newhouse (Thandie Newton) perché ha scritto un libro dedicato proprio a quest’amicizia.
Con una serie di lunghi flashback il regista ci apre le porte del passato dei protagonisti e dei loro affetti più cari.
Donovan è un uomo affascinante e famoso che non trova soluzione alla guerra tra il suo sé autentico e il suo personaggio pubblico. Vive incastrato nella finzione che ha imbastito nella vita reale e finisce per rimanerne schiacciato.
Rupert invece è un bimbo inglese più maturo e profondo della maggior parte dei suoi coetanei. È un giovanissimo attore, brillante a scuola e indisciplinato a casa, bullizzato dai compagni. Il suo idolo, la sua fonte di ispirazione è appunto un attore famoso americano. Il fatto che tutti gli dicano che molte cose che vuole e che sogna siano impossibili, non gli impedisce di procedere imperterrito per la sua strada.
Mentre Donovan combatte con i suoi demoni e si lascia avvolgere dalle ombre della fama e della gloria, Rupert, realizza i suoi sogni. Infatti, la sua determinazione e fiducia nella vita fanno girare “karma, ruota della fortuna e fato” proprio in suo favore. Da giovanissimo diventa amico di penna di Donovan e inizia a fare i primi passi nel mondo dello spettacolo. Da adulto trova l’amore, si afferma come attore, si sperimenta come scrittore e si riappacifica con la madre Sam (Natalie Portman) tanto da dedicarle la sua prima opera letteraria.

La trama è sicuramente originale. Il regista trasmette su un piano generale un messaggio positivo anche se Donovan, interpretato dal tenebroso Harington, si suicida: i sogni di Dolan, di Donovan e di Rupert trovano concreta realizzazione nel successo di quest’ultimo.

Il punto di forza del film sono gli intensi dialoghi madre-figlio, manager-vip, fratello-fratello, insegnante-madre. In ognuno c’è una cruda verità. Ad ognuno corrisponde un momento carico di tensione e di intensità, sia emotiva sia recitativa.
C’è Rupert che accusa e “umilia” spesso sua madre descrivendola spesso come una fallita, c’è Donovan che non trova una chiave comunicativa con sua madre Grace (Susan Sarandon), spesso alticcia, c’è la sferzata di realismo che la manager Barbara Haggermaker (Kathy Bates) rivolge al suo pupillo quando decide di abbandonarlo, di “punirlo” per il poco coraggio e le troppe bugie. E tante altre sfumature umane e psicologiche oltre ad una riflessione sul labile confine tra vita privata e vita pubblica dei personaggi famosi.

Gli scontri/incontri tra i protagonisti e la curiosità – che resta non soddisfatta – verso il contenuto delle lettere che scriveva il piccolo Turner rendono comunque attrattivo un film che altrimenti sarebbe stato l’ennesimo racconto di come il “peso” del successo e l’omosessualità raramente trovano un equilibrio sostenibile nel tempo.

Iscriviti alla newsletter settimanale per rimanere aggiornato su tutti i nostri articoli!