La psicologia della consapevolezza: Jon Kabat Zinn

Oggi ci occupiamo di Jon Kabat Zinn, il promotore della psicologia della consapevolezza, conosciuto al mondo per il suo intenso lavoro nel campo della scienza e delle sue interazioni con l’elemento psicologico e quello antropologico.

Maestro di meditazione, egli si occupa però di una meditazione che, secondo lo stesso Zinn, non deve mai essere indotta, ma partire da un reale bisogno dell’individuo, necessità che si traduce in un piacere per riconnettersi con sé stessi e con il mondo.

Recuperando l’equilibrio psicofisico nell’affascinante territorio umano fatto di corpo ed anima si può donare la propria amicizia e la propria umanità all’altro, valori che saranno restituiti alla persona nella diffusione del bene, perché il bene fa sempre bene.

Zinn nasce a New York il 5 giugno del 1944; professore emerito di Medicina presso la University of Massachuessets ha fondato parecchie cliniche orientate alla riduzione dello stress, perché specie nelle società occidentali ci si stressa per sogni inarrivabili, quasi sempre indotti dalla società, e mai realmente desiderati. Si pensa che il benessere e peggio ancora la felicità siano a portata di mano senza sforzi, sacrifici, o senza il recupero di una dimensione interiore.

Allora l’individuo rincorre quelle chimere, non conoscendo non solo i mezzi per raggiungere la gioia, ma nemmeno i fini della loro vita.

E invece ricercando la sfera spirituale, coltivando quella culturale ed intellettuale, esercitando la mente alla pazienza, alla calma ed al silenzio si può davvero individuare il compromesso migliore verso la pienezza dell’essere ed il benessere psicofisico. Zinn non prende una posizione specifica per quella o questa religione, per un dato movimento filosofico o per una tendenza politica, ma induce ad allenare la mente, per ricongiungersi con sé stessi e con un’idea di Assoluto, qualsiasi essa sia.

Due elementi sono fondamentali: il respiro ed il silenzio. Il respiro va ascoltato e in qualche maniera osservato ad occhi chiusi, dato che ci dà la possibilità di trovare le nostre origini e le nostre radici, ed allo stesso modo ci consegna le chiavi per ammirare il lato selvatico e naturale che contraddistingue il genere umano. Il silenzio ci salva dal frastuono della società iperattiva, dove non esiste più alcun momento per la riflessione, il riposo o la semplice noia. Media, interattività ed apparecchi elettronici ci stanno disabituando al contatto con noi stessi; sembra sempre che dobbiamo fare qualcosa, non bisogna fermarsi mai. S i sente l’esigenza indotta di mettere in soffitta il pensiero, i sogni, le aspettative, perché tutto scorre, ma velocemente e la velocità detta i tempi.

Si pensa solo al qui ed ora tecnologico e non a quello del pensiero che dovrebbe stimolare azioni ragionate, progetti grandi, passioni forti e curiosità intellettuali.

Il nostro autore ci sensibilizza sul fatto che non bisogna evitare l’elaborazione di dolori, infelicità ed il concetto di noia, che tutti inevitabilmente ci auguriamo di non provare. Questi sono sentimenti che fanno parte della vita; la gioia pura e vicina ad una felicità perfetta la possiamo conoscere solo nel momento in cui siamo in grado di ritagliarci un pezzetto di pace anche nelle difficoltà più impervie. Consapevoli dell’infelicità, elemento presente nell’esistenza, saremo in grado di affrontare le contrarietà e ci godremo al meglio le gioie perché nel contrasto i colori si distinguono.

Il dolore fa parte dell’esistenza, dicevamo, l’essere umano deve e può essere in grado di analizzare il suo dolore; egli scoprirà nell’accettazione del limite di possedere molte risorse che lo porteranno ad un equilibrio con sé stesso e con gli altri.

La mente va esercitata per governare con saggezza ed equilibrio le soddisfazioni e le gioie, per accettare il dolore e le sconfitte passate, e per pregare, qualunque sia il proprio Dio, o per la riconciliazione con i valori universali per chi non è credente.

I bisogni indotti, invece, spingono l’uomo a soddisfare desideri impossibili, sconosciuti e patinati, tanto da rendere l’uomo eternamente insoddisfatto. E la pubblicità regna così incontrastata dettando ritmi e tempi ed indottrinando la società.

Certo il momento riflessivo deve aiutarci a vivere l’esistenza quotidiana e stimolarci a fronteggiare gli stress che ci allontanano dai nostri sensi, e deve andare di pari passo con l’azione e l’attività, ma Zinn ci tiene a sottolineare che l’azione sic et simpliciter, che non sia il risultato di volontà, ragionamento e pensiero, ma figlia di isteria collettiva e del rumore e del fracasso della società, non debba divenire il nostro scopo finale.

Il nostro scopo finale è una vita vera a contatto con noi stessi, con l’umanità, con i valori universali e con un’idea di presente che non sia distaccata da un vissuto interiore.

Il progresso in senso lato è stato talmente veloce, che ha lasciato indietro lo sviluppo delle coscienze e dei rapporti umani, rafforzando la convinzione che si possa acquisire quello che si vuole e sfuggire a quello che non si desidera.

La vita invece è qualcosa di più complesso, e Zinn ce lo insegna.

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