L’America, le armi e Michael Moore: Bowling a Columbine (2002)

Con il recente attentato a Las Vegas torna il cruciale argomento dell’uso delle armi negli Stati Uniti, anche se è improbabile un intervento deciso da parte del Presidente americano Donald Trump.

Quest’ultimo ha preferito non sbilanciarsi sulla questione ma le sue dichiarazioni precedenti lasciano pochi dubbi sulla sua opinione in proposito; in uno dei suoi interventi durante la campagna elettorale dello scorso anno, il magnate affermava: «Hillary (Clinton) vuole togliervi le pistole. Vuole che la gente non si difenda (…). Noi non lo permetteremo, gli americani hanno il diritto di difendersi al 100%. (…)» Insomma, il secondo emendamento non si tocca poiché il diritto di difesa è sacrosanto. Tuttavia, le stragi non cessano né diminuiscono ma continuano a verificarsi ulteriormente nel corso degli anni, soprattutto negli Stati Uniti. Infatti, come riporta l’articolo di Marta Rizzo pubblicato il 31 marzo 2016 da La Repubblica, «ogni anno oltre 30.000 persone rimangono uccise dalle armi da fuoco». Anche il livello di diffusione delle armi nel suolo americano è un dato significativo. Secondo l’articolo pubblicato il 3 ottobre dalla rivista Focus « negli Usa circolerebbero 357 milioni di armi da fuoco contro una popolazione di soli 318,9 milioni di persone ».

Il regista americano Michael Moore parte dalla strage alla Columbine High School per raccontare la diffusione incontrollata delle armi nel suo paese.

Il documentario “Bowling a Columbine” vincerà l’Oscar nel 2003 e, nonostante siano passati ben 15 anni, possiamo dire che gli argomenti trattati nel film sono e restano più che mai attuali.

Il filo conduttore della pellicola è il già citato massacro della Columbine, avvenuto a Littleton il 20 aprile 1999. Quella mattina gli studenti Eric Harris e Dylan Klebold entrarono nella loro scuola e iniziarono a sparare: moriranno in tutto 15 persone (compresi i due ragazzi). A partire da questo episodio, Moore si collega ad altri fatti e argomenti simili come l’attentato di Oklahoma City del 1995 e la morte della piccola Kayla Rolland, uccisa da un colpo di pistola sparato da un bambino di soli 6 anni. Inoltre, ci sono molti temi ricorrenti nel corso del film come i profitti ricavati dalle lobby delle armi. A questo proposito, Moore ce ne presenta due che si trovano nel Michigan, sua terra natale e vero e proprio ‘paradiso’ in questo senso: la Lockheed Martin, con sede nella stessa città dove si verificò il massacro di Columbine e la National Rifle Association (NRA), che ha avuto come presidente l’attore americano Charlton Heston. Intervistato dal regista a proposito dei fatti avvenuti nell’aprile del 1999, il portavoce della Lockheed Evan McCollum afferma che probabilmente la rabbia dei due aggressori ha causato un avvenimento simile e di aver versato dei contributi ad alcune scuole per l’avvio di corsi sulla sua gestione. Eppure, come sottolinea Moore, la Lockheed produce armi di distruzione di massa, qual è quindi la differenza tra quel genere di distruzione e la distruzione avvenuta alla Columbine? Dopo una breve esitazione, la risposta di McCollum è la seguente: i missili sono progettati per difenderci dai nemici, non per attaccarli. «Non è che se sono arrabbiato con qualcuno gli lancio un missile», conclude infine il PR. Le sue dichiarazioni vengono presto smentite da Moore: infatti subito dopo una lunga sequenza accompagnata dalla famosa What A Wonderful World di Armstrong presenta tutte le operazioni ‘amiche’ compiute dagli Stati Uniti nel corso degli anni, dal rovesciamento del Primo Ministro iraniano Mossadeq nel 1953 all’attentato dell’11 settembre 2001: una lunga serie di intromissioni e morti interminabili se si pensa alle successive invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq e all’attuale guerra in Siria contro l’Isis. Su questi ultimi fatti, è interessante notare l’alto numero di ospedali bombardati nel corso degli anni. Forse l’evoluzione tecnologica in guerra ha interessato solo le armi di distruzione di massa? Oppure è colpa della Russia? Forse lo sapremo tra una ventina d’anni.

Per quanto riguarda la National Rifle Association, quest’ultima organizzerà due raduni: il primo a Littleton (dieci giorni dopo la strage di Columbine) e il secondo a Flint (città in cui viveva Kayla Rolland). Heston, nell’intervista con Michael Moore verso la fine del film, rivendica il diritto a possedere e utilizzare armi come mezzo di legittima difesa, diritto sancito dal secondo emendamento della Costituzione e ribadito anche dalle altre persone intervistate dal regista. Una sorta di ‘comfort’ che permette di non preoccuparsi di possibili aggressioni e di difendere adeguatamente la propria famiglia. A questo proposito, Moore confronta la situazione degli Stati Uniti con quella del vicino (e non meno popoloso) Canada, dove il numero di armi vendute è lo stesso ma quello dei morti per armi da fuoco è nettamente inferiore (tre all’anno). Come è possibile tutto questo, si chiede Moore? Qual è la differenza? La sua risposta è relativamente semplice e sta nella diffusione dei vari mezzi di comunicazione di continui servizi giornalistici che alimentino la paura e l’insicurezza dei cittadini, ossia nella cosiddetta ‘cultura della paura’. Ogni momento della giornata in America (ma lo stesso discorso vale per l’Italia e gli altri paesi dell’Unione Europea) è scandito da interminabili reportage su omicidi, stupri, rapine ed eventi eccezionali. Un continuo bombardamento mediatico che mina la fiducia negli altri e che sta portando ancora a conseguenze estreme. Le armi infatti sono ovunque e chi non è americano resta sbalordito dalla loro costante presenza (si possono trovare dal barbiere e perfino in banca) ma anche scioccato perché questa offerta incessante di armamenti non è controllata in alcun modo e tutti, in un modo o nell’altro, possono accedervi. Ed è sufficiente che un’arma finisca nelle mani sbagliate per scatenare un massacro. Infatti, oltre ai fatti di Columbine e di Las Vegas, il numero di stragi in ambito scolastico è quanto mai preoccupante: dal 1927 ad oggi si sono verificati sette episodi di più grave entità, senza contare i massacri avvenuti in altri luoghi pubblici come quello di Aurora (2012) o di Orlando (2016). Insomma, un vero e proprio bollettino di guerra che Bowling a Columbine presentava già in tutta la sua complessità e gravità e che rischia, con molta probabilità, di allungarsi nei prossimi anni.

“La deterrenza è l’arte di creare nell’animo dell’eventuale nemico il terrore di attaccare. Ed è proprio a causa dei congegni che determinano la decisione automatica irreversibile, escludendo ogni indebita interferenza umana, che l’ordigno ‘Fine del Mondo’ è terrorizzante, eh, eh, eh.. è di facile comprensione. E assolutamente credibile e convincente.”
(da Il dottor Stranamore, di Stanley Kubrick)

Elisa Ceccon

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