“L’amica geniale” di Saverio Costanzo: una storia di amicizia che smuove, confonde, emoziona

Un filo si srotola tra il bisogno e la fascinazione. Autrici ed inermi, Lila e Lenù (Elena) sono le protagoniste de L’amica geniale, un film di Saverio Costanzo, tratto dal romanzo di Elena Ferrante.

Da bambine ad adolescenti, la bella e misera Napoli le trascina ed incorpora. Ed invertendo il circolo fisiologico della sudorazione entra prepotentemente nei pori, immerge e corrode. Lila e Lenù se la stringono tra i denti, la sposano nella parlata e la lasciano esplodere nella sua tenacia distruttiva. È un mondo di poveri, di camorristi, di frodatori, di violentatori, ma anche di donne che si attrezzano per il riscatto sociale, scardinando la necessità di un futuro segnato negli avi. È uno sfondo importante, che coccola un rapporto indefinibile, a tratti dolce, ad altri ipnotico. Elena non può fare a meno di Lila. Una bambina geniale, che alla sola età di sei anni sa leggere e scrivere da autodidatta. Una donna mossa da un’ ardente curiosità ma anche da una potenziale pericolosità fatale. Dotata di un’acuta intelligenza e furbizia stringe ogni cosa in suo pugno e ne stabilisce la direzione. E con l’imposizione e la forza vince ogni volta. Forse perché in un mondo di forti non si ha altra scelta, o forse al contrario perché è lei che ha deciso così. Per Elena è però irresistibile. In lei in suo possibile riscatto, con lei la sua crescita, la sua sfida, la sua insoddisfazione così come la premessa per superarsi.

Impossibile non lasciarsi assorbire da una storia di amicizia che smuove, confonde, emoziona. Difficile parteggiare, così come fissare etichette definite. Il buono e l’amaro stridono e si confondono, pungono e stimolano, disturbano a assuefanno. Un invito a interrogarsi senza la bellezza di una risposta esaustiva, quanto di un’ assenza conturbante. Perché anche Lina in fondo è una “smarginata”.

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