Facebook vs Cambridge Analytica. Le due facce dello scandalo “datagate”
La normativa sui dati di Facebook – aggiornata al 31 gennaio 2018 – permette al colosso di raccogliere i dati dei propri utenti, anche attraverso l’accesso a siti web o ad applicazioni che utilizzano i servizi offerti dal social network (ad esempio il “Like” o il login tramite Fb). Questo aspetto è cruciale per ripercorrere le tappe principali dello scandalo sul “datagate”, che vede coinvolte Facebook e la società di analisi dati, Cambridge Analytica.
L’azienda è stata fondata nel 2013 in Gran Bretagna dal miliardario repubblicano, Robert Mercer. Il nome, Cambridge Analytica, è stato invece scelto da Steve Bannon. Prima di diventare il consigliere di Donald Trump alla Casa Bianca – dal 20 gennaio al 18 agosto 2017 – Bannon è stato anche presidente della Cambridge Analytica. Il primo incarico della società britannica ha riguardato la campagna elettorale del senatore federale repubblicano, Ted Cruz, candidato per lo Stato del Texas nel 2016. La Cambridge Analytica è nata come affiliata di un “provider”, la SCL Group, che da 25 anni – come si legge sulla homepage del sito – lavora in diversi ambiti, dalla politica, alla ricerca, alla sicurezza alimentare, alla difesa fino al narcotraffico. Sin dal principio l’attività di Cambridge Analytica è stata quella di fornire ricerche sui consumatori e realizzare pubblicità mirata, attraverso l’analisi dei dati, non solo in ambito aziendale, ma anche politico. Venire a conoscenza dei clienti della società è però praticamente impossibile, perché non esiste un elenco.
È grazie alla confessione rilasciata al New York Times e al The Observer dall’ex dipendente dell’azienda, Christopher Wylie, che è stata scoperta la raccolta illegale dei dati degli utenti di Fb da parte di Cambridge Analytica, al fine di influenzare la campagna elettorale del Tycoon nel 2016. La società britannica si è impossessata delle informazioni di oltre 50 milioni di utenti, anche se per stessa ammissione del numero uno di Facebook, Mark Zuckerberg, la Cambridge Analytica avrebbe acquisito i dati di almeno 87 milioni di iscritti in tutto il mondo. Violando i termini di un accordo stipulato con Facebook per scopi di ricerca, Aleksandr Kogan, un accademico britannico, sviluppatore dell’applicazione “thisisyourdigitallife”, già nel 2014 avrebbe ceduto le informazioni degli utenti, raccolte sul social network, alla Cambridge Analytica. Questa app sarebbe stata scaricata inizialmente da 270 mila utenti di Fb. Attraverso l’accesso da parte degli iscritti, tramite il social network, Kogan avrebbe acquisito indirettamente anche le informazioni di altri utenti che non ne avevano usufruito. Come ha spiegato Wylie alla stampa, l’applicazione conteneva un test di personalità per creare pubblicità mirate. Entrata in possesso dei risultati raccolti da Kogan, Cambridge Analytica avrebbe realizzato messaggi politicizzati. Il giovane ventinovenne, un genio nell’elaborazione dei dati e un appassionato di politica, prima di lasciare la società nel 2014, ha lavorato sulle informazioni di milioni di persone, ideando un sistema che potesse «utilizzare i tratti psicologici per veicolare il comportamento degli elettori».
Questo strumento è stato poi implementato e sfruttato per condizionare, oltre alle presidenziali americane, anche l’esito del referendum sulla Brexit. Il fondatore della Cambridge Analytica, Mercer, un miliardario reazionario di estrema destra, negli anni ha intrattenuto contatti stretti sia con il nazionalista britannico Nigel Farage, promotore della Brexit, sia con lo stesso Steve Bannon, nel 2013 a capo dell’emittente televisiva di estrema destra Breitbart e della Cambridge Analytica. Divenuto poi il braccio destro di Donald Trump prima e dopo la sua elezione. Oggi il presidente americano è finito nel mirino del Procuratore, Robert Mueller, nell’ambito dell’inchiesta sul “Russiagate”, poi intrecciatasi con lo scandalo della Cambridge Analytica.
Nell’audizione dinanzi al Congresso americano, il fondatore di Facebook, ha ammesso la propria responsabilità sulla fuga di dati, avvenuta nel 2014, tenendo deliberatamente all’oscuro i propri utenti. Lo scandalo ha però pesato sul colosso, che a metà marzo, ha perso miliardi di dollari di capitalizzazione in Borsa. Dopo questo iniziale crollo, Facebook è riuscita, in modo sorprendente, a recuperare le perdite. Mentre per Cambridge Analytica non è rimasto che avviare la procedura d’insolvenza in Gran Bretagna. Una scelta – sembrerebbe – inevitabile per le alte spese legali e la fuga di tutti i clienti.
L’unico vero indagato resta l’ex amministratore delegato della società di analisi dati, che ha collaborato a stretto giro con il responsabile della comunicazione sui social di Donald Trump, Brad Pascale, al cd “progetto Alamo”. Progetto finalizzato a sommergere milioni di elettori americani di messaggi propagandistici mirati, grazie alle informazioni raccolte da Kogan e finite poi nelle mani di Cambridge Analytica. Non è invece sotto inchiesta Zuckerberg, che pur non avendo pienamente convinto il Congresso americano, ha rilanciato Facebook promettendo maggiore rigore per la tutela della privacy – fatta anche davanti al Parlamento europeo – insistendo sulla vera ‘missione’ del social network: «connettere miliardi di persone in tutto il mondo».