Le elezioni del 4 marzo viste dai mercati. E dal mercato, al banco della sora Tina.

Concetta, per tutti solo la “sora Tina”, ha un banco di frutta e verdura al mercato rionale. Il mercato lo conosce bene, ha visto crescere bambini urlanti tra le bancarelle, ora giovani adulti, che continuano a rivolgersi a lei per la migliore produzione delle fertili terre laziali.
Con il marito, elettricista, hanno cresciuto due figli maschi. Entrambi hanno proseguito gli studi fino al conseguimento della laurea, il vero orgoglio della sora Tina che a malapena aveva potuto finire le scuole medie (ma come fa lei i conti sulla busta di carta neppure un matematico del MIT).
Uno, Fabio, ingegnere a Milano, l’altro, Alberto, architetto che, dopo anni di contratti a progetto e contrattini di vario genere, ha tentato la fortuna a Parigi, trovandola come tutti quelli che si sono armati di buona volontà, sacrifici e dolore di abbracciare qualcuno in un aeroporto e salutarlo fino a chissà quando.
La sora Tina si è alzata all’alba da tempo ormai immemore, ha servito i migliori prodotti a persone di ogni estrazione sociale, pensiero politico ed orientamento sessuale. Ha pagato tasse, molte e ha lavorato duro pensando che i suoi figli dovessero studiare per assicurarsi un futuro migliore. Ha votato comunista quando aveva un senso ancora farlo, ha esultato con Pertini ai Mondiali, ha visto la caduta di Craxi e della Prima Repubblica, ha assistito alla contestuale discesa in campo di Berlusconi e al radicarsi del berlusconismo in ogni strato e settore della società. Vedrà, probabilmente, la pensione minima dopo anni di duri lavoro. Ora si prepara alle prossime elezioni, con un misto di rabbia, rassegnazione e frustrazione per un Paese che non ha rappresentanza alcuna. Voterà, perché ha sempre votato, ma la convinzione, la passione, la speranza che con un tratto di matita su di un foglio si possa partecipare al destino comune, quella è molto lontana.

“So tutti dei magnaccioni”, questa è la sintesi del comune pensiero di chi cammina per i banchi traboccanti di puntarelle e cicoria romana e, naturalmente, della sora Tina, che voterà Cinque Stelle. Molti come lei, scorati dalla vecchia politica, lo faranno. E di certo non perché Giggino piaccia o non destino perplessità la loro comunicativa, la sovente aggressività verbale, i programmi fumosi. L’incompetenza talvolta conclamata. Lo faranno per esprimere dissenso, come rottura nei confronti della vecchia politica. Se la sinistra non lo capisce è più fregata di quanto non lo sia già…

L’elettore medio grillino è profondamente deluso dalle istituzioni, tende al rabbioso. Fa parte di quella piccola borghesia italica che, prima, attraverso il duro lavoro, l’alta propensione al risparmio, la capacità di investire nell’acquisto di una casa riusciva a far studiare i figli, a vivere una vita decorosa e, nelle buone annate, ad agosto ci uscivano pure le agognate ferie in qualche meta estiva. È perlopiù nostalgico della lira, dell’Iri che svalutava la moneta per permettere agli italiani di acquistare beni nonostante l’elevata inflazione causata da un debito pubblico monstre (anche se di questo, probabilmente, non è pienamente consapevole). Amava comprare titoli di stato, Bot, Btp, buoni fruttiferi postali, perché con enorme pazienza riusciva ad avere un rendimento più che dignitoso ad un rischio praticamente azzerato.
La sora Tina fa parte di questa fetta di popolazione che, armata del solo olio di gomito, di speranza e onestà ha realizzato cose enormi per sé e per i figli. Come può, quindi, sentirsi rappresentata da Renzi e i suoi salvataggi bancari, dalla Boschi e le sue dubbie parentele con Banca Etruria, le amicizie con Ghizzoni, ma anche solo dalla boria e dalla spocchia di chi si è ritrovato lì con poca famiglia e molte relazioni. Come può ergersi a rappresentanza di questa fetta di popolo?

Il centrodestra, con i Salvini, le Meloni e i redivivi “Silvi”, si avvicina più agli umori del popolo, con i proclami contro l’immigrazione, montando l’ondata xenofoba e neofascista.
Questo sembra essere il polso tastato ad una fascia di popolo italiano all’approssimarsi delle elezioni. Poi ci sono i delusi in generale dalla sinistra che propenderanno per l’astensionismo o per un voto, turandosi il naso, a favore del Partito democratico. Ci sono i convinti berlusconiani, tendenzialmente imprenditori interessati a condoni fiscali e di varia natura. Ci sono i disinteressati che continueranno a disinteressarsi, non mancando, però, di esprimere il loro pensiero sui vari social.

Quale, invece, la reazione dei mercati alle prossime elezioni? Ebbene, la finanza sembra essere totalmente disinteressata al voto italiano. La percezione è che nulla si sposterà, che ne uscirà un Governo non operativo e che, da usanza italica ormai radicata, si ripiegherà per una figura di convergenza di varie forze politiche per mandare avanti la baracca. E all’Europa e ai mercati questa soluzione non dispiace, soprattutto in un momento in cui l’economia italiana dà, seppur timidi, segnali di ripresa e il Ftse Mib è in crescente rialzo già da anni. Anche per il rinnovato appealing della Milano post Brexit.
Il vero timore degli operatori finanziari, che potrebbe scuotere i mercati, è rappresentato proprio dalla vittoria dei Cinque Stelle. Il populismo crea discontinuità e caos e si sa gli analisti finanziari sono conservatori di natura, Tutto deve muoversi per restare uguale e per tendere al formarsi e radicarsi dell’ordine mondiale che si sta precostituendo, fatto di diseguaglianze sempre più nette e di concentrazione della ricchezza e del potere nelle mani di pochi.

Quanto può essere lontano, dunque, da questo mondo di valigette nere di pelle, di pochette di Hermes, di viaggi in business da un punto all’altro del mondo, di freddi calcoli da un foglio Excel e statistiche e pulsanti che muovono miliardi con un algoritmo, quello della sora Tina? Fatto, invece, di libretto di risparmio alle Poste, di oro della cresima conservato gelosamente perché si sa in tempi di magra l’oro è il bene rifugio, di mutuo estinto dopo vent’anni di sveglia alle 4.30? Di fazzoletto ricamato tirato silenziosamente fuori dal petto, quando l’angolo del gate 5 di Roma Fiumicino viene svoltato da due larghe spalle che, negli occhi eterni di madre di Tina, restano quelle rosa braccine paffutelle che le stringevano forte l’indice? Perché, quindi, sottovalutare quanto questa distanza possa essere in qualche modo rivendicata da chi già da un po’ non può reclamare nulla per sé stesso, se non frustrazione e rabbia?
Come sempre sarà il silenzio dell’urna, lontano da occhi indiscreti a decretare se ci dovrà o meno essere continuità, se i mercati crolleranno all’indomani delle elezioni o resteranno quieti. Tenendo ben a mente sempre che sul lungo periodo, aldilà del sensazionalismo, i mercati finanziari restano lo specchio dell’economia reale, quindi ad una crescita reale gli indici permangono invariati.

Resta o resterebbe una riflessione da fare: l’incolmabile distanza tra “il mercato” inteso come metafora di un’Italia che lavora, che si vede depauperata, tradita dallo Stato, che ha dovuto veder andare via i propri figli migliori e “i mercati” luogo ormai non più fisico di contrattazioni e scambi, ma ideale (con pochi ideali) di decisione sulle sorti degli Stati, soprattutto di quelli più indebitati più facilmente bersagliabili con acquisto di debito pubblico nei momenti di bisogno.
La finanza, quella buona, nasce come mezzo attraverso il quale le imprese acquistano celermente nuova liquidità, da investire in produzione e, dunque, occupazione. L’occupazione permette alle famiglie di guadagnare, risparmiare e, a loro volta, investire parte dei risparmi che sono quelli che in ultima analisi la finanza gestisce. Il corto circuito che si è creato giova a pochi, pochissimi, restituendoci questa società svilita, culturalmente ed economicamente impoverita, che impedisce ai futuri nipoti della sora Tina, ma già ai suoi figli, di vedere nell’osservanza dei valori precedenti (lavoro, fatica, impegno, onestà, risparmio) una speranza di miglioramento per il futuro. Arroccata nella propria casta e nei propri privilegi. Ma ogni ordine costituito se portato all’estreme conseguenze sfocia in voglia di rivoluzione…

Buone elezioni a tutti, che siano di rottura.

Annarita Lardaro

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