Legge Lotti e i diritti televisivi sul calcio: cosa non funziona?

È di recente acquisizione la notizia dell’aggiudicazione da parte di Mediapro, gruppo audiovisivo spagnolo, dei diritti per la trasmissione delle partite di Serie A per il triennio 2018-2021.

Trattasi di una svolta epocale perché, per la prima volta, mette seriamente in discussione il duopolio detenuto da Sky e Mediaset, che ha dominato incontrastato nel settore negli ultimi anni. Ci avevano provato, più di 10 anni fa, La7CartaPiù e Dahlia, ma il fatto stesso che nessuno ricordi l’esistenza dell’iniziativa intrapresa da queste due, è indicativo del fallimento del progetto.

Proprio in occasione dell’inserimento di questo terzo soggetto, facciamo il punto sugli effetti che potrà avere questa novità in combinazione alle modifiche introdotte dalla legge Lotti. Come si sa, la legge Lotti è stata varata in riforma alla precedente legge Melandri. Scopo della nuova normativa, in esclusivo riferimento all’ambito calcistico, è quello di favorire la crescita delle società calcistiche di medio-piccola grandezza, grazie all’aumento della percentuale d’incasso dei proventi televisivi. Non per niente, negli ultimi anni il livello qualitativo dello spettacolo in Serie A è drasticamente diminuito, con le squadre d’alta classifica a macinare punti su punti, e le cosiddette provinciali a ristagnare sempre più in basso, in un turbine di mediocrità da cui sembrano non essere capaci di uscire. Il divario in classifica fra le “big” e le “piccole” è, ormai, talmente ampio da non potersi più considerare valida la prassi di vincere lo Scudetto riuscendo a non perdere punti negli stadi di provincia, ma semplicemente vincendo lo scontro diretto con la rivale, senza incorrere nei pericoli che qualche volta riservano le trasferte. E se un tempo la quota salvezza era raggiunta alla soglia dei 40 punti, oggi la permanenza in A è assicurata portando a casa la modica cifra di poco più di 30 punti. Il nodo cruciale del precedente sistema prevedeva una ripartizione egualitaria degli incassi in una cifra pari al 40%. Ciò significa che il 40% dei proventi veniva suddiviso egualmente fra le 20 società di Serie A, e il restante 60% sulla base di una serie di altri criteri. La riforma Lotti, fra le altre cose, incrementa l’ammontare dal 40% al 50%.

Ci domandiamo: tutto questo è sufficiente? Per rispondere a questo quesito partiamo da alcuni dati raccolti da importanti testate giornalistiche. Attualmente la squadra che percepisce la quota più alta dalla ripartizione dei diritti televisivi è la Juventus, con ben 107 milioni di euro. Si tratta, dunque, di una cifra considerevole. Con il nuovo sistema, la società torinese percepirebbe una somma ben al di sotto di quella corrente, pari a 66 milioni di euro e, perciò, con un calo degli introiti pari a 41 milioni di euro. Le cose si metterebbero non troppo diversamente anche per le altre grandi società, con Milan, Inter, Roma, Napoli e Lazio che vedrebbero diminuire le loro entrate, in termini di milioni di euro, rispettivamente da 80 a 63, da 78 a 65, da 68 a 60, da 68 a 61 e da 56 a 53. Unica a guadagnarci, fra le big, la Fiorentina, grazie all’accrescimento dei proventi da 48 a 54 milioni di euro. A lucrarne, come vuole lo scopo della legge, sarebbero tutte le altre società. A colpire, però, è la modica cifra messa a disposizione in sostegno delle altre 13 società sportive, che si aggira intorno ad una media di poco superiore ai “soli” 6,6 milioni di euro. Fra queste, a frugarsi maggiormente le mani sarebbe l’Udinese, con un balzo in positivo a +9 milioni di euro.

Torniamo, quindi, alla domanda iniziale: tutto questo è sufficiente? Probabilmente la risposta è no. Come emerge da questi numeri, gli ammonti cui sarebbero costrette a rinunciare le grandi squadre sarebbero di troppo superiori a quelli finalizzati al soccorso delle altre, con probabile perdita di competitività nelle competizioni europee, a fronte di un recupero solo parziale di spettacolo del campionato italiano, data la scarsa incisività delle nuove entrate. La riforma Lotti si presenta, così messa, soltanto come una cura palliativa, uno specchietto per le allodole, se non accompagnata da una più sistematica riforma del sistema calcio, cui finalmente si sta dando attenzione dopo la recente mancata qualificazione ai prossimi Mondiali. Prima di tutto, una Serie A a 18 squadre incrementerebbe gli introiti di tutte le società, costrette a dividerli con due concorrenti in meno. In combinazione all’elisione di due compagini dal campionato, l’inserimento di un play-out fra le squadre tra la 13esima e la 16esima posizione in classifica (con le ultime due retrocesse di diritto) produrrebbe una duplicità di effetti positivi sulla competizione: anzitutto, anche le squadre di medio-bassa classifica sarebbero costrette ad un maggiore impegno finalizzato alla salvezza. Con i primi sette posti che valgono la qualificazione alle competizioni europee e gli ultimi sei a rischio retrocessione, le posizioni di metà classifica sarebbero solo 5, andando a ridurre quello stagno in cui molte squadre quasi si crogiolano, consapevoli delle infime possibilità di raggiungere le più ambiziose vette dell’Europa e, al tempo stesso, consce dell’improbabile spauracchio della retrocessione in seconda divisione. Una classifica più corta, invece, renderebbe più agguerrita la lotta per ambire a qualunque posto. In secondo luogo, la stessa presenza di un mini-torneo rimpinguerebbe le casse delle squadre più in difficoltà, tra vendita dei biglietti allo stadio e diritti televisivi di trasmissione. Quest’ultimo discorso, legato alle presenze negli stadi e agli ascolti in tv, vale a maggior ragione in una nuova valorizzazione della competizione della Coppa Italia, con partite in andata e ritorno come si vedevano un tempo, e sarebbe un’ulteriore freccia nell’arco della Lega Serie A per il fine voluto dalla legge Lotti. Analogamente sarebbe da considerare un’ottimizzazione della Supercoppa italiana per rendere più appetibile all’estero l’intero pacchetto calcio italiano. Altro punto, preso in considerazione dal legislatore ma purtroppo non portato a compimento, sarebbe la messa in chiaro di una partita a settimana. Inutile dire quanto sarebbe lucroso in termini di ascolti e quanto aiuterebbe a fronteggiare gli streaming illegali. Pleonastico anche rimarcare l’importanza di vincolare una parte dell’entrate al merchandising e, soprattutto, alla ristrutturazione e all’ammodernamento dei fatiscenti impianti sportivi che abbiamo in Italia. Ultima, ma non meno importante, l’introduzione delle squadre B e un più generale investimento sui vivai darebbero nuova linfa vitale alla crescita del calcio italiano.

La legge Lotti, in definitiva, si pone un obiettivo molto nobile ma, presa così isolatamente, non può essere altro che solamente un punto di partenza, invece che rappresentare un punto di arrivo per un nuovo sviluppo del nostro sistema del pallone.

 

Riccardo Ciriaco

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