Lo sciopero contro il caporalato: una realtà da sconfiggere per la tutela dei diritti dell’uomo.

caporalato

Si chiama Aboubakar Soumahoro, è un sindacalista italo-ivoriano che ha deciso di rompere il silenzio intorno ai così detti “invisibili”, ossia il popolo dei braccianti schiavi del caporalato nel Sud Italia, organizzando una mobilitazione.

La giornata del 21 maggio è stata dedicata allo sciopero dei braccianti, sostenuti da agricoltori e consumatori, chiamati a non acquistare frutta e verdura e a chiedere giustizia e contratti stabili ai lavoratori nei campi.

Il caporalato in Italia sfrutta italiani ed extra-comunitari, senza offrire contratti con previdenza sociale, garanzie, tutele, permessi, ferie, malattie e salari equi. Si lavora 14 ore al giorno per 20 euro al giorno: in Puglia, alcune donne pugliesi raccontavano come 13/14 ore di lavoro al giorno tutti i giorni fruttassero circa 600/700 euro, perché le spese di trasporto a/r dai campi erano a loro carico. E quando veniva loro chiesto come mai accettassero certi trattamenti al limite della schiavitù, rispondevano che non avevano scelta, perché era l’unico lavoro disponibile. Vedere, poi, africani e pakistani lavorare nei campi senza contratto e senza documenti a causa della legge Bossi-Fini e del decreto sicurezza di Salvini fa pensare alle piantagioni di cotone o di caffè o di cacao dell’America schiavista. Invece di avanzare nei diritti civili ed umani, l’Italia compie l’ennesimo passo indietro.

A vedere certe cose viene da piangere.

Il governo ha deciso di regolarizzare 300 mila braccianti, ma questo provvedimento nasconde la solita presa in giro all’italiana: la regolarizzazione, infatti, ha una data di scadenza, molto ravvicinata. Il contratto che verrà proposto ai braccianti è di tipo determinato con durata di sei mesi, come se stessero offrendo un tirocinio. E dopo? Si tornerà alla situazione attuale, è chiaro, questo provvedimento serve a far vedere la buona volontà del governo, l’idea di non lasciare nessuno da solo, la capacità di istituire provvedimenti e riforme concrete, tuttavia, non strutturali.

Per sconfiggere il caporalato, va sconfitto il precariato del mondo del lavoro del Sud, che non è poca cosa.

Per sconfiggere il lavoro in nero senza tutele né diritti a 700 euro al mese bisogna creare lavoro sano, creare opportunità di impresa e di profitto legali e bisogna mettere le persone nelle condizioni di non dover accettare ricatti pur di sopravvivere. In altre parole, bisogna riformare tutto il mondo del lavoro del Sud, il caporalato è una delle tante sfaccettature del lavoro in nero senza diritti, esattamente come la gente chiamata ad “aiutare” nei cantieri per 40 euro settimanali, le stesse persone che sono state costrette a fuggire da questa precarietà ed ingiustizia, per cercare i diritti all’estero.

Per rompere il silenzio e cambiare la vita dei cittadini del Sud e di chi al Sud vive e lavora serve un vero impegno a cambiare le cose e ritrovare il senso della difesa e tutela dei diritti dell’uomo.

Martina Seppi

Immagine: Foto di ManicSylph da Pixabay

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