Nella paranoia di “Hotel California” di Dalila Porta

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Come spiega il sottotitolo del libro, il romanzo breve Hotel California, scritto da Dalila Porta, racconta la storia di una paranoia, condivisa da tutti i protagonisti della storia, in maniera più o meno diretta.

La trama è incentrata su una famiglia italiana benestante, in particolare sui due figli Annie e Papercut, un fratello e una sorella separati da piccoli per colpa di una grande bugia e della malattia inquietante di lei: la piccola Annie, infatti, soffre di schizofrenia e ha delle visioni mostruose e terrificanti, e quando i mostri si materializzano davanti ai suoi occhi, la bimba perde il controllo di sé e inizia a urlare, contorcersi, girare gli occhi in maniera febbrile.

Tutto questo appartiene al passato di Papercut, che vive a Coimbra dove studia all’università e dove conduce una vita apparentemente normale, perché in realtà è lui stesso perseguitato da allucinazioni fatte di scarafaggi e uomini violenti dalle mani insanguinate. Sono gli stessi loro che vedeva la sua sorellina?
A Coimbra vive anche California, che da il nome al racconto, una ragazza stravagante, che vive alla giornata e che in apparenza è sempre allegra e vitale, sebbene in certi momenti abbia come un dolore nascosto, una malinconia inspiegabile…

I due si incontrano e si innamorano: ne nasce uno scontro tra paranoie, che porterà prima tanto dolore, e poi uno spiraglio di speranza. Attraverso il loro incontro, infatti, il giovane riuscirà piano piano a fare i conti col passato e il lettore capirà il terribile segreto della sua famiglia, che ha legato con una corda di orrore la madre, il padre, la sorellina e la famiglia della loro governante per tanti anni.

In effetti il sottotitolo “storia di una paranoia” è davvero calzante, perché non soltanto i protagonisti sono tormentati dai loro incubi, dalle loro ambizioni o dalle loro colpe, ma anche tutti i personaggi secondari hanno le loro fissazioni, e vivono trasformando i loro bisogni o sentimenti in vere e proprie paranoie: così è per Bep e Ivete, le amiche di California, l’una bisognosa di dare supporto agli altri quasi fino alla malattia, l’altra con il suo dolore di non essere potuta diventare madre; così è anche Eclipse, che trasforma il suo innamoramento per Papercut in una specie di ossessione che si nutre solo della fantasia di lei.

Il confine tra malattia mentale – quella che, prima ancora che in Annie, potremmo scorgere in Annabelle, la madre – e una più semplice “paranoia quotidiana” diventa la linea guida del romanzo breve, e riesce a smorzare i toni inquietanti della vicenda.

Perché una delle chiavi di riuscita del testo è proprio questo suo oscillare tra suspense a tratti orrorifica e toni da commedia sentimentale: nei capitoli dedicati al passato di Annie e della sua famiglia, non poche volte il lettore è spinto a guardarsi intorno o alle spalle, per controllare che loro non siano anche intorno a lui, e la voglia di sapere cosa succede nelle menti turbate dei protagonisti lo tiene attaccato alle pagine. Allo stesso modo, però, chi legge è curioso di sapere cosa succede all’eccentrica e simpatica California, al suo mondo incasinato, alle sue amicizie e ai suoi amori.

Il racconto è pieno di citazioni tratte dal mondo della musica rock: i nomi dei protagonisti sono presi da canzoni storiche, e l’autrice si è premurata di scrivere i riferimenti musicali e di fornire una breve descrizione per ogni carattere del romanzo, citando alcuni versi da cui sono tratti i loro nomi.

Questo ingrediente aggiunge interesse per un racconto già di per sé vincente, che trascina e che fa nascere nel lettore inquietudine e compassione insieme, e che ci regala un lieto fine ai limiti dell’inverosimile – dato quel filo di magia che troviamo in tutto il libro – ma non scontato.

Maria Chiara DAgostino

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