“Nessun nome nei titoli di coda” di Simone Amendola: attraverso la vita di Antonio Spoletini, il ricordo e il racconto del cinema e delle sue maestranze.

Nessun nome nei titoli di coda

“Nessun nome nei titoli di coda” di Simone Amendola, dopo il debutto all’ultima Festa del Cinema di Roma, è ora finalista ai Nastri D’Argento 2020 ed è fruibile dal 17 giugno sulla piattaforma Chili.

L’opera è una produzione Hermes Production e ha avuto il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale Cinema.

Il documentario è un viaggio nel mondo della settima arte, nello specifico consente di conoscere le sue componenti più necessarie ma sconosciute: le maestranze.

Attraverso la figura di Antonio Spoletini, fondatore di un’agenzia di casting insieme ai suoi 4 fratelli, oramai scomparsi, si assapora la storia del cinema italiano, dal dopoguerra ad oggi.

Le riprese dall’alto di Cinecittà fanno comprendere la dimensione che il documentario “Nessun nome nei titoli di coda” rappresenta. Le scene di vita quotidiana, dal contattare le comparse al montare gli allestimenti, vengono riprese con la finta noncuranza necessaria a rappresentare un lavoro governato da gesti quotidiani ma anche da imprevisti.

La comprensione e la conoscenza degli elementi sottostanti ad un’opera cinematografica consentono di osservare aspetti “curiosi” del “dietro”, come le comparse vestite da cardinali per la serie tv “The New Pope” e il volto dello stesso Anthony Hopkins che attraversa la telecamera.

Cinecittà, attraverso il lavoro e la testimonianza di Antonio, sembra una gigantesca macchina da gestire, in cui la quotidianità appare, in un neofita, straordinaria. Ad esempio, anche solo la ricerca di comparse straniere diviene incontro e dialogo nella Roma multietnica.

Antonio con instancabile energia, nonostante i suoi 82 anni, dirige con autorità e una profonda romanità la sua agenzia ma si affida ai ricordi dei suoi 4 fratelli, ormai scomparsi, per restituirci la sua dimensione più intima. La ricerca della pellicola originaria di Fellini, Roma, in cui tutti i fratelli Spoletini ebbero un ruolo, diventa il conduttore per i suoi personali ricordi, costellati da incontri con alcune delle più grandi personalità del cinema, da Fellini a Orson Welles, da Pasolini ad Anna Magnani.

La dimensione familiare è nella sua casa, in cui Antonio trascorre le giornate alla ricerca di un nuovo set per far lavorare la sua squadra: percepisce molto forte il senso di dovere nei confronti dei suoi collaboratori.

Antonio Spoletini è una presenza quasi “iconica”, un rappresentante del cinema che fu e un uomo i cui ricordi sono preziosi e irripetibili, come quelli raccontati ai turisti che visitano Cinecittà e nello specifico il Teatro 5 di Federico Fellini.

Antonio è storia; si apprende, ad esempio, che è l’unico componente della troupe originaria di Ben Hur del 1958 ad aver lavorato anche nel nuovo film, 50 anni dopo.

La telecamera riprende la realtà nella sua interezza, non attutisce la dimensione esterna e i suoi rumori ma ce li restituisce, consentendoci di seguire Antonio come se fossimo presenza reale.

Il cinema nel protagonista è vita, perché ogni suo aspetto è legato alla sua storia e a quella dei suoi fratelli.

Il volto di Fellini in cera appare e scompare nel documentario, evanescente ma pur tuttavia esistente, come se fosse un lascito.

La ricerca e la visione di “Roma” di Federico Fellini diviene per Antonio eredità, ricordo, esistenza e il sorriso di chi osservandosi ancora giovane vede il senso profondo di un’intera esistenza.

NOTE DI REGIA

C’è una sequenza, i funerali di Fellini, che è in qualche modo la chiave del documentario. Mentre monta la commozione negli occhi dei presenti (da Gassman alla Vitti ci sono tutti) la regia si sofferma qualche istante su un gruppo di uomini di mezza età, una decina circa. Paolo Frajese emozionato ce li racconta: ‘Questi che vedete sono gli artigiani che hanno fatto il cinema, volti a me e a voi sconosciuti ma che a ognuno Fellini aveva dato un soprannome affettuoso’.

Al centro del gruppo, commosso, c’è Antonio Spoletini.

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